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Ipazia di Alessandria

di Giusy Randazzo

[Dal blog di Giusy Randazzo -e con l’autorizzazione dell’Autrice- trascrivo qui una intensa, colta, appassionata lettura del film di Amenábar]

Ore 22.00, 28 aprile 2010

Questa sera ho visto un film. Non vado mai al cinema, ma questa sera sono andata. Un film che aspettavo da tempo, su Ipazia di Alessandria, Agorà, del cileno Alejandro Amenábar. Sono appena tornata. L’anno scorso ho concluso la mia ultima lezione in prima liceo parlando proprio di lei.

Rachel Weisz, attrice protagonista, presta se stessa a Ipazia, riuscendo a far trapelare l’intelligenza arguta, il fascino misterico, la passione teoretica della filosofa.

Basta navigare un po’ in internet per conoscere le polemiche che hanno preceduto il film. Tutti si affannano a scoprire se la Santa Sede abbia o meno fatto pressioni per evitare l’uscita della pellicola nelle nostre sale. Ovviamente c’è chi la considera una trovata della produzione per preparare l’approdo in territorio italiano. Lo stesso regista sembra affermare, in un’intervista, che in realtà il Vaticano non c’entra nulla. Non sono mancati i denigratori del film, che invece lascia incantati e sconcertati. Non mi ha sorpreso trovare così poche persone in sala. Questa è l’Italia. E quando non sono le ragioni di tipo consumistico, arrivano le bieche logiche del potere dominante a impedire il risveglio delle coscienze. La cultura è detenuta in Italia da una schiera di baroni asserviti: ateoretici puri impegnati nella conquista del potere.

Quasi tutti cattolici, ovviamente. Buoni e puri.

Non mi stupisce più niente in questo Paese. Più niente. Un Paese che venera Cirillo come santo (27 giugno) può permettersi di tutto, persino di sospendere il giudizio su un assassino del calibro del personaggio che ho appena citato e che il cursore si vergogna di scrivere nuovamente. Proprio come ha detto durante una conferenza lo storico Franco Cardini, che sospende il giudizio su Cirillo perché la storia non si scrive facendo la lista dei buoni e dei cattivi (conferenza al Museo di Sant’Agostino, Genova, 21 aprile). Tuonava, invece, in quella stessa sede Don Gallo per il quale bisognerebbe eliminarlo dal martirologio.

D’altronde è possibile sospendere il giudizio, senza far ricorso all’epoché fenomenologica, unica soluzione nel rapporto intenzionale col mondo. Sì, sospendiamo il giudizio. Tutti, da domani. Facciamolo, da buoni cristiani. Andiamo per strada e proviamo a spegnere ogni singolo pensiero, a muoverci impedendo che l’automatismo si generi. Spegniamo il cervello ogni qualvolta, imperterriti e senza alcuna formale richiesta da parte nostra, i pensieri si generano: a milioni durante una giornata. D’altronde la televisione ci sta insegnando un modo: pensare i pensieri di altri eludendo i nostri. Forse servirà qualche altro decennio per ritrovarci tutti lobotomizzati, finalmente potremo dire di aver sospeso il giudizio ed essere diventati buoni cristiani così da andare a messa puri come neonati. Sì, perché il cristianesimo ci insegna che non bisogna giudicare, che bisogna porgere l’altra guancia, aiutare gli ammalati, dar da mangiare agli affamati.

E ora ascoltiamo San Paolo, nella prima lettera a Timoteo:

Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e ornamenti d’oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà.

La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia.

Eh, sì, San Paolo c’era riuscito, aveva sospeso il giudizio. Un puro. Non possiamo dire che sulla via di Damasco non sia stato folgorato. Sarà stato un fulmine. Bisognerebbe mandare questa lettera al ministro Gelmini che sa come far funzionare la scuola e anziché proporre le leggi razziste per compiacere la Lega Nord risolverebbe subito qualche problema di sovrannumero licenziando tutte le donne che sciagurate vogliono insegnare anche agli uomini. Roba da pazzi. Ovviamente anche lei dovrebbe dimettersi essendo donna (in quel caso festeggerò anch’io il 29 giugno).

E invece io, screanzata come sono, giudico Cirillo, forte del fatto che non sono cattolica. Non sono assoggettata a nessuna logica papista e quindi mi posso permettere non soltanto di insegnare (San Paolo e Gelmini permettendo), ma di dire senza paura che il giudizio non si può sospendere, neanche quello sui santi che mi ritrovo sul calendario. Giudico Cirillo e giudico la chiesa di ieri e di oggi. E dico che, del messaggio del giovane Gesù di Nazareth (Jeshu-ha-Notzri), Cirillo ha volutamente travisato tutto. Come ha fatto la chiesa dopo e prima di lui.

Vediamo cosa scrive Benedetto XVI, invece, di questo assassino:

[Cirillo di Alessandria] Legato alla controversia cristologica che portò al Concilio di Efeso del 431 e ultimo rappresentante di rilievo della tradizione alessandrina, nell’Oriente greco Cirillo fu più tardi definito «custode dell’esattezza» – da intendersi come custode della vera fede – e addirittura «sigillo dei Padri». Queste antiche espressioni esprimono bene un dato di fatto che è caratteristico di Cirillo, e cioè il costante riferimento del Vescovo di Alessandria agli autori ecclesiastici precedenti (tra questi, soprattutto Atanasio) con lo scopo di mostrare la continuità della propria teologia con la Tradizione. Egli si inserisce volutamente, esplicitamente nella Tradizione della Chiesa, nella quale riconosce la garanzia della continuità con gli Apostoli e con Cristo stesso. Venerato come Santo sia in Oriente che in Occidente, nel 1882 san Cirillo fu proclamato Dottore della Chiesa dal Papa Leone XIII, il quale contemporaneamente attribuì lo stesso titolo anche ad un altro importante esponente della patristica greca, san Cirillo di Gerusalemme. Si rivelavano così l’attenzione e l’amore per le tradizioni cristiane orientali di quel Papa, che in seguito volle proclamare Dottore della Chiesa pure san Giovanni Damasceno, mostrando anche in questo modo la sua convinzione circa l’importanza di quelle tradizioni nell’espressione della dottrina dell’unica Chiesa di Cristo. (BENEDETTO XVI- UDIENZA GENERALE – Piazza San Pietro – Mercoledì, 3 ottobre 2007)

Secondo Nietzsche è esistito un solo cristiano ed è morto sulla croce. Sostiene, inoltre, che Gesù di Nazareth morì troppo giovane: se fosse vissuto ancora avrebbe cambiato idea su tante cose. A mio parere sarebbe diventato pagano praticante e il primo sacrificio che avrebbe fatto per gli dèi, da visionario qual era, l’avrebbe compiuto per allontanare la sventura cristiana dal mondo.

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