Aleksandr Dugin
Platonismo politico
(Political Platonism: The Philosophy of Politics, Arktos Media Ltd., Londra 2019)
Traduzione di Donato Mancuso
Edizioni AGA, Milano 2020
Pagine 190
[Questa recensione è in gran parte descrittiva di uno degli elementi più significativi del pensiero di Aleksandr Dugin, la conclusione del testo è invece critica.
La pubblico come gesto di solidarietà nei confronti della tragedia che Dugin sta subendo, dell’attentato che ha ucciso sua figlia Darya – ricercatrice universitaria che si stava occupando della falsificazione sistematica che l’informazione finanziata dalla NATO produce nelle nostre menti ‘occidentali’ – e che certamente avrebbe dovuto uccidere anche lui.
Il terrorismo ucraino e statunitense è probabilmente il responsabile di questo gesto di intimidazione politica e filosofica, nei confronti del quale ribadisco – per quello che posso e che conto – la mia totale, completa e convinta difesa della libertà di pensiero, di parola, di interpretazione del mondo, contro ogni imposizione di un’identità unica e universale perseguita dal cosiddetto “globalismo“]
La radice filosofica di ogni opzione politica emerge con chiarezza da questa raccolta di interventi, analisi, interviste di Aleksandr Dugin, per il quale «considerare la politica come un fenomeno separato, scollegato dalla filosofia, è completamente estraneo alle origini della tradizione filosofica» (p. 35). La politica nella sua essenza e struttura non ha alcuna autonomia dalla filosofia e piuttosto ne costituisce una parte. Ogni prospettiva filosofica, infatti, «anche la più astratta, ha una dimensione politica, in alcuni casi espressa esplicitamente» (37).
Uno di questi casi, il più importante, il caso che ha fondato l’Europa, è Platone. Anche per Dugin, come per Whitehead ed Emerson, «Platone rappresenta tutta la filosofia – la filosofia nella sua interezza, la filosofia in toto» (42) anche se, naturalmente, la filosofia non rimane nei limiti di Platone e non finisce certo con lui, come con lui non comincia. Ma «chi non conosce o non capisce Platone non può sapere o capire nulla. Platone è il creatore del terreno fondamentale della filosofia. La filosofia, a sua volta, è lo sfondo della teologia, della scienza e della politica. Platone, quindi, è alla base della teologia, della scienza e della politica» (81).
Dugin attinge soprattutto al Parmenide per delineare una articolata struttura di opzioni politiche, esattamente otto, tutte basate sullo statuto dell’Uno e sulla sua relazione con la molteplicità. Nella sua forma più pura e più compiuta, nella sua forma ideale, «il potere nel platonismo è sacrale, razionale, trasparente e ideale. Rappresenta la cristallizzazione del mondo dei paradigmi (57).
Platone rappresenta per Dugin l’emblema della filosofia apollinea, sempre in feconda identità/differenza con quella dionisiaca. A entrambi si contrappone un elemento/modello che a Platone risulta lontano sino all’indifferenza e che tuttavia pesa, pesa molto, nei destini politici dell’Europa. Questo elemento è la Grande Madre, è Cibele, e con lei i Titani. È Cibele, sono i Titani, ad aver preso il potere nella modernità, che proprio per questo è modernità; ad aver preso il potere nell’Europa contemporanea, che proprio per questo è la nemica dell’Europa e della sua Tradizione, parola e concetto fondamentali nella filosofia di Dugin.
Con uno scarto e arricchimento notevoli, a questi paradigmi teoretico-politici qui si coniugano delle analisi che riguardano lo gnosticismo antico e moderno, analisi complesse che riguardano la natura femminile del Demiurgo, il Padre, il Pleroma, gli eoni, in particolare nelle elaborazioni di Valentino. Dugin richiama l’attenzione sulla complessità intrinseca allo gnosticismo, sulla natura dello gnostico come «un portatore della coscienza infelice, ma secondo Hegel solo la coscienza infelice è capace di filosofare» (110), sullo gnostico quale prigioniero della Grande Madre e della sua potenza materica, sullo gnostico il quale «porta in sé l’abisso» (111).
Anche sul fondamento di tutto questo, si accenna alla Quarta Teoria Politica, tema per il quale Dugin è particolarmente noto, come superamento delle tre teorie politiche del liberalismo, del comunismo del fascismo/nazionalsocialismo, forme tutte alienate perché fondate su diverse interpretazioni ed effetti del soggettivismo moderno: «Nelle tre teorie politiche moderne abbiamo a che fare con tre interpretazioni più ristrette del soggetto. Il liberalismo interpreta il soggetto come individuo: i comunisti come classe; i fascisti come Stato, nazione o razza (nel nazionalsocialismo). Heidegger mostra che il soggetto è un costrutto della Modernità, edificato sul Dasein, obliato e sepolto sotto di esso. Questo è il motivo per cui la distruzione filosofica inizia con uno smantellamento del soggetto e una breccia che porta a ricongiungersi al Dasein» (130).
Come si vede, elemento ispiratore della Quarta Teoria Politica è Heidegger, cosa esplicitamente riconosciuta da Dugin, il quale intreccia le questioni heideggeriane della metafisica e dello statuto del soggetto con quelle relative alla tecnica, sino a dare alla sua teoria e prassi politica un compito quasi anarchico e forse nella tradizione del populismo russo: «La distruzione dello Stato, come apparato, come Machenschaft» (133) per far emergere al suo posto la centralità del popolo, inteso non come somma di individui, classi, interessi ma come unità organica.
L’elemento più metafisicamente interessante, e per certi versi sorprendente, di tali prospettive – per quello che è possibile capirne da una antologia piuttosto eterogenea di scritti – è la vicinanza costitutiva della filosofia alla morte come tensione verso il nulla. Il legame tra filosofia e morire è certo classico, antico e decisamente socratico-platonico ma sorprendenti sono le conseguenze che Dugin ne trae in relazione al Niente e al Caos.
Il Niente appare infatti costitutivo del mondo, un oceano che circonda la piccola isola dell’Essere, la quale appare a noi così vasta soltanto perché «guardiamo il niente attraverso gli occhi del Logos» (141). E invece ciò che Heidegger chiama der andere Anfang, l’altro inizio della filosofia, è una prospettiva che abbia il coraggio del Caos, di rivolgersi al Caos contro il primato del Logos, il quale è solo «un pesce che nuota nelle acque del Caos» (149). Il Logos può dunque respirare e sopravvivere soltanto dentro le acque caotiche del Nulla e quindi -è l’invito conclusivo del testo – «il nostro compito è costruire la filosofia del Caos» (151).
Questi i contenuti principali che ho cercato di portare a chiarezza e unità di un libro che solo a tratti è unitario e chiaro, che presenta molte suggestioni ma che appare anche radicato in modo convinto e forte dentro non la Tradizione in generale ma la Tradizione del cristianesimo ortodosso quale elemento di identità slava. Un cristianesimo che Dugin intende innervare di platonismo per salvarlo dalla sterilità epistemologica e da una sostanziale perifericità. Intento che comporta un rifiuto quasi totale non soltanto della scienza moderna ma anche e soprattutto delle grandi metafisiche che pongono in qualche modo al centro la struttura e la dimensione materica del cosmo, pur essendo niente affatto riduzionistiche: da Aristotele a Spinoza, dall’atomismo alla termodinamica.
E questo sembra un esito piuttosto deludente anche perché molto confessionale.
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5 commenti
agbiuso
Come era chiaro, e logico, a uccidere Darya Dugin è stato il governo ucraino.
Il governo italiano guidato da Mario Draghi e l’Unione Europea sostengono, finanziano, tengono in vita un organismo terroristico, che organizza attentati contro cittadini inermi, in questo caso contro dei filosofi.
agbiuso
Ulteriori conferme delle pratiche terroristiche messe in atto dalla NATO e dall’Ucraina.
agbiuso
I puritani e i crociati del Politically Correct, che condannano il cosiddetto Hate Speech, che tuonano contro l’incitamento all’odio, sono i massimi odiatori. È sempre stato cosi.
Le reazioni all’assassinio di Darya Dugin lo confermano ancora una volta.
Da twitter, 25.8.2022
agbiuso
Segnalo questa interessante presentazione del pensiero di Dugin.
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Qui est Alexandre Douguine ? Anatomie d’une pensée radicale et complexe
L’assassinat de Daria Douguine a conduit de nombreux commentateurs à proférer quantité de contre-vérités sur son père, le philosophe et géopolitogue Alexandre Douguine. Les uns, qui ont la rime facile (Poutine, Douguine, Raspoutine), le confondent avec le confident et guérisseur de l’épouse de Nicolas II. Les autres l’imaginent en héritier de Gengis Khan et de sa Horde d’or. Sans parler de ceux qui le traînent dans la boue. Prenons de la hauteur, ce à quoi nous invite la mort de Daria. La hauteur, c’est du reste ce qui qualifie le mieux Alexandre Douguine. Sa pensée est riche, complexe, radicale, savamment structurée, la voici en exclusivité pour nos lecteurs (source : Éléments numéro 192, octobre-novembre 2021).
agbiuso
Alcuni brani del ricordo che la rivista éléments ha dedicato a Darya Dugin:
Notre hommage à Darya Douguine
Darya Douguine est morte assassinée hier soir dans l’explosion d’une bombe destinée à son père Alexandre Douguine, non loin de Moscou. La rédaction d’Éléments a le cœur déchiré et adresse toutes ses pensées à la famille Douguine.
“Darya Douguine est morte brûlée vive dans l’explosion d’une bombe placée dans la voiture qu’elle conduisait, samedi 20 août, vers 21 h 30, sous les yeux de son père Alexandre Douguine, terrassé et désemparé. Et c’est bien cette atroce vérité qui laisse la rédaction d’Éléments sous le choc devant le déluge de fausses informations qui tournent en boucle depuis ce matin. Les Occidentaux voulaient la tête du père depuis 2014, date d’une interdiction de séjour inique sur le sol de l’Union européenne, ils viennent d’avoir celle de la fille du « cerveau de Poutine », selon la terminologie moutonnière des médias, de la manière la plus honteuse et lâche possible. Pas de doute : Darya est bien morte à cause d’un mythe que les Occidentaux ont eux-mêmes forgés et entretenu : « Douguine, le Raspoutine de Poutine » terme qu’il récusait il y a moins de trois mois, lors de notre dernière rencontre, dans les pages d’Éléments, et que sa fille, Darya avait comme de coutume organisée avec efficacité”. […]
Alain de Benoist a avoué son immense peine à l’annonce de la mort de la journaliste russe : « Darya nous a toujours témoignés beaucoup d’amitié et sollicitude. Sa mort, c’est un acte de guerre, plus qu’un attentat. Un acte de guerre… On a voulu tuer un intellectuel, on a tué sa fille. Un jour, c’est Rushdie, un autre c’est Douguine. La question, c’est qui sera le prochain ? » […]
le rédacteur en chef de Krisis ne voudrait pas oublier l’autre grande passion de la vie de Darya : la philosophie néoplatonicienne. « Elle en parlait avec fougue, et jonglait avec les grands concepts aussi allègrement qu’avec les blocs géopolitiques ». […]
La seule présence de Darya embellissait la vie. […]
« Daria est morte victime de l’infinie bêtise qui se déchaîne aujourd’hui contre son peuple et son pays, conclut Slobodan Despot. Par on ne sait quelle stratégie cruelle de la Providence, elle a offert son corps en sacrifice pour préserver son père. Pour le restant de ses jours, Alexandre Douguine se demandera pourquoi il n’avait pas pris sa place, pourquoi au moins il n’était pas monté dans sa voiture à ses côtés comme cela était prévu. Je me mets à sa place: il est mille fois pire de survivre à une telle tragédie que d’y rester. J’espère qu’il verra un sens, et non seulement une horrible ironie du sort, dans cette substitution et que la conscience de sa mission et son archaïque sagesse en feront le bouclier et l’épée d’un combat décuplé. Mémoire éternelle à l’étoile Daria ! Et puisse la consolation de cette destinée qui aura été parfaite apaiser les cœurs de ses proches. »
Chère Darya, les héroïnes ne meurent jamais. Sit tibi terra levis, Puisse la terre te paraître légère