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Hopper, l’attesa

Hopper, l’attesa

Edward Hopper
Milano – Palazzo Reale
Sino al 31 gennaio 2010

James Hillman ha scritto che le finestre di Hopper sono come quelle di Rembrandt e di Vermeer. Forse ha inteso dire che esse aprono frammenti di speranza ma in realtà chiudono gli umani in un’angoscia che sembra inoltrepassabile.
Dagli inizi francesi, in particolare l’assai amato Degas, Edward Hopper ha costruito quadro dopo quadro la metafisica degli Stati Uniti d’America in ciò che essa ha di migliore e quindi di più straziante. L’architettura vi diventa tutto lo spazio e la natura mostra il segreto del proprio dolore: la luce. Perché questa luce di Hopper illumina il nodo che stringe solitudine e individualismo in un legame che non si può sciogliere. Gli umani, quasi sempre soli appunto, diventano colore e forma di una struttura unitaria, fatta di cielo e di pali del telefono, di letti in stanze vuote e di mare. Come un Beckett figurativo, Hopper dà sostanza all’attesa, perenne sconfinata e tragica, di qualcosa che dovrà pur arrivare e il cui più probabile nome è la morte. La prova che il mondo è privo di senso è del tutto formale, sta nella prospettiva apparentemente realistica ma intimamente distorta delle scene con le quali questo Maestro ha dipinto un nulla fatto di luce.

2 commenti

  • Adriana Bolfo

    Giugno 11, 2010

    La solitudine. Eppure sono ‘vedute’ urbane, dove ci si aspetterebbe dinamismo e folla. Qui tutto è fermo e ‘le persone’ sono una per volta, o poche, e in compresenza sensa comunicazione. E’ come se volesse significare la solitudine nel mondo attuale – o nel mondo, sotto le sembianze di quello attuale nel paesaggio più vulgato, la città.
    La mostra documenta i vari momenti del pittore e mi ha lasciata desiderare le opere di luce-colore più greve, come quella che che rende giallo-verdi i volti degli umani agli sportelli di un ufficio (posta?), e ciascun umano isolato nella propria immobilità.
    Quella specie di iPad, che consente di sfogliare il virtuale-reale taccuino di schizzi e note, ci voleva proprio, come lo stanzino ludico in cui poter illudersi di disegnare Hopper ricalcando alcune sue figure. Mi riferisco all’allestimento romano visto pochi giorni fa -la mostra è fino al 13 corrente, poi va a Losanna. A proposito di mostre a Roma: anche quella di Caravaggio chiude il 13. Prima di fare una coda di quattro ore più l’eventuale viaggio, accertarsi che sia veramente fino al 13 compreso.

  • giuseppe cerruti

    Gennaio 18, 2010

    è il problema dell’ evidenziarsi, ovvero della sua evidenziazione visiva (artistica) del superamento della soglia, dello stare un po’ prima-sulla-e-un po’ dopo il limitare della percezione dell’essere, ripetuto per l’ennesima volta: angosciose metafore, porte e finestre, più o meno inoltrepassabili…

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