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Mente & cervello 60 – Dicembre 2009

M&C_60

«La medicina, data la complessità e le variabili del corpo umano, non può essere una scienza esatta» (P. Garzia, p. 32). È questa, probabilmente, la chiave più plausibile per ragionare sul miracoloso. Che cosa c’entra? Molto. Il miracolo, infatti, può essere definito come un «fenomeno eccezionale non spiegabile con le leggi naturali conosciute» e forse «altro non è che un effetto placebo all’ennesima potenza», come lo definisce Vincenzo Soresi, o, ancora più efficacemente, uno «shock carismatico», (Id., 30-31). In ogni caso, aggiunge l’endocrinologo Antonio Liuzzi, «un fatto va accettato per ciò che è: non può essere negato per la nostra incapacità di spiegarlo» (Id, 32), un principio epistemologico tanto semplice quanto fondamentale. Ciò che chiamiamo miracolo può quindi accadere, è un fatto. Attribuirne la causa a un’entità divina è invece un’inferenza indebita. È del tutto condivisibile, pertanto, l’affermazione di Marco Cattaneo: «per la medicina, allora, la sfida è scoprire il segreto delle complesse interazioni tra psiche e corpo, la dinamica con cui il nostro stato emotivo influenza -a volte in misura decisiva- il benessere dell’organismo» (5). C’è qualcosa che comunque guarisce (quasi) sempre i mali umani. È il tempo. Ne parlano lo psichiatra Leonardo Tondo (p. 9) e lo psicobiologo Alberto Oliverio, il quale scrive giustamente che «ogni nostra azione è definita dal tempo» e «che nel nostro cervello ci sia un meccanismo segnatempo, anche se impreciso» (16).

Altre questioni assai interessanti affrontate in questo numero di M&C sono la decisione di non avere figli (che sempre più donne e anche uomini prendono), la quale «se consapevole, è sana e naturale quanto quella di essere madre» (Geni Valle, intervistata da P.E. Cicerone, 40); il rapporto tra natura e cultura, il cui presunto contrasto è ormai dimostrato falso dalla ricerca scientifica nei più svariati campi; il diffondersi di robot sempre più raffinati, teriomorfici e antropomorfici, macchine apprezzate sino a quando non diventano troppo simili agli umani, poiché in questo caso producono un effetto inquietante e la cui radice sta forse nel fatto «che i robot ci ricordano inconsciamente i corpi morti, e quindi la nostra mortalità» (M.Ruhenstroth, 104).

Un errore molto diffuso in Italia viene ripetuto in una scheda dedicata al rapporto tra avarizia e religioni. Vi si legge, infatti, che «se per il Cristianesimo è uno dei peccati più gravi, per le altre religioni non è sempre da condannare. Ebraismo e Protestantesimo, per esempio, vedono nel successo materiale un segno della grazia di Dio» (M.Barberi, 64). I protestanti sono ovviamente dei cristiani a tutti gli effetti; la differenza è tra di loro e i cattolici

Il numero si chiude, come sempre, con delle recensioni. In una di esse, dedicata al libro di Maryanne Wolf Proust e il calamaro, P.Garzia afferma che «leggere è uno dei massimi piaceri che il nostro cervello possa concedersi», un piacere che «cambia il nostro cervello in meglio» (108). Verissimo.

2 commenti

  • agbiuso

    Dicembre 12, 2009

    La ringrazio molto per il suo commento così argomentato e informato. Ha ragione: la medicina è troppo importante per lasciarla soltanto ai medici. Sarebbe bene ricordarci che i pensatori dell’origine erano anche fisici e medici. Recuperare quell’antica unità sarebbe impossibile in un contesto nel quale le conoscenze si sono moltiplicate in modo esponenziale. E però il tentativo di cogliere l’unità del mondo e dei suoi fenomeni rimane una delle giustificazioni più concrete della filosofia.

  • biagio guastella

    Dicembre 12, 2009

    Una riflessione sulla prima parte della recensione di M&C che ritengo particolarmente interessante.
    La medicina è forse uno dei campi del sapere in cui è più evidente l’impostazione dualistica cartesiana. Così la specializzazione medica ricalca proprio questa visione: hai problemi all’organo x? Lo curiamo con y anche se poi, il principio attivo di y, danneggia z! Si concepisce il corpo come una macchina, aggiusto un pezzo, lo sostituisco, senza tener conto dell’equilibrio psichico o della condizione di disagio cui, a volte, il paziente è vittima e che è causa del disturbo fisico. Non si ha la minima consapevolezza dell’unicità del corpomente (inscindibile e, perciò, scritto “tutto unito e senza trattino” come ci ha detto Lei più volte a lezione), del legame intrinseco del malessere (o benessere) fisico con quello psichico. Non basta che l’esperienza del placebo dimostri quanto conti la convinzione che la medicina x (anche se una pallina di zucchero!) sia un rimedio affinché si guarisca davvero o la convinzione di star bene (o quella di star male) immancabilmente si ripercuota sul fisico per far un attimo riflettere il mondo della medicina? A questo aggiungiamo il principio epistemologico (citato nella presente recensione di M&C con le parole del dott. Liuzzi “un fatto va accettato per ciò che è: non può essere negato per la nostra incapacità di spiegarlo”) disatteso che porta poi ad urlare al miracolo ogni qual volta accada qualcosa di apparentemente strano. Sarebbe bene che, anche nelle facoltà di medicina, si riflettesse su questi temi affinché si possa avere un mutamento culturale nell’approccio all’esserci umano, anche da parte dei medici. A questo proposito, molto brillantemente, si affronta l’inadeguatezza della medicina contemporanea cartesiana, nonché l’approccio eccessivamente tecnicistico dei medici contemporanei in due testi che ritengo molto significativi H.G. Gadamer “Dove si nasconde la salute” e K. Jaspers “Il medico nell’età della tecnica” (in questo testo, poi, ci si confronta anche col concetto di “superstizione scientifica” o wissenschaftsaberglaube, di Jaspers appunto, ovvero l’atteggiamento che mi porta a conoscere il mio corpo vivente solo come mia estraneità).

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