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Paure

Paure

Individui e società sono fatti anche di paure, senza le quali rischierebbero gli effetti e i danni di decisioni e atteggiamenti spericolati. Avere paura è anche una forma di salvaguardia dell’equilibrio in cui si vive e dell’equilibrio che si è. E tuttavia quando la paura verso qualcosa diventa una paura assoluta, quando è il mondo a essere visto come il pericolo, allora la vita ha intrapreso la strada della propria dissoluzione. La paura indotta dall’epidemia da Sars2 è questa forma di terrore.
Il conformismo pronto, immediato, pervasivo che si è imposto in relazione a tale paura ha in realtà radici sociali e culturali ormai pluridecennali.
Paura della propria identità sovrana, il cui contrario – come giustamente afferma Michel Onfray «è il vassallaggio, la sottomissione, la dipendenza, l’assoggettamento, la tutela» (in Diorama Letterario, n. 357, p. 7).
Paura della pluralità, dell’incertezza, della libertà, cancellati dalla «colonizzazione dei media del servizio pubblico e delle istituzioni educative statali da parte dei propalatori del Pensiero Unico» (M. Tarchi, p. 3).
Paura dell’identità e della differenza. L’identità di una lunga storia di emancipazione che si innesta sull’accoglimento delle differenze, tra le quali sono fondamentali le differenze etiche, politiche, ideologiche, estetiche, epistemiche; in generale le differenze nelle concezioni del mondo e dei valori, che invece il dogmatismo etico-politico del presente tende ad annullare in una concezione monocorde del Bene, che sempre più pervade un discorso pubblico profondamente autoritario, qual è quello che si esprime nel politicamente corretto.
Esso nasce dalla paura delle parole, del linguaggio, della sua molteplicità, della forza, novità, plasticità, innovazione, che il politically correct cerca di dissolvere «riparandosi dietro il proprio Muro delle Lamentazioni», sotto la cui protezione «ogni minoranza convoca la terra intera al capezzale della sua presunta sofferenza di cui si è arrogata il lucroso usufrutto, capitale lacrimale» (F. Bousquet, 25).
Paura dell’Europa, della sua storia, della sua identità, del suo pluralismo, della sua cultura, della sua filosofia, alla quale si preferisce «l’Unione europea, vera anti-Europa […] non più riformabile, giacché ha voluto fare dell’Europa un mercato mentre essa avrebbe dovuto diventare una potenza autonoma, e nel contempo un crogiolo di cultura e di civiltà» (A. de Benoist, 7).
«Bella esperienza vivere nel terrore, vero? In questo consiste essere uno schiavo» (Ridley Scott, Blade Runner, 1982).

3 commenti

  • agbiuso

    Febbraio 1, 2021

    A proposito di paura, Jacques Cotta oggi (1.2.2021) scrive questo:
    “La peur, sans doute la plus mau­vaise conseillère, a permis de dis­ci­pli­ner le peuple dont la répu­ta­tion était jusque là aux anti­po­des de la sou­mis­sion. La peur du virus bien sûr, mais aussi la peur des forces de police char­gées de contrô­ler et si besoin de ver­ba­li­ser tout contre­ve­nant aux ordres venus d’en haut. Cette peur est un véri­ta­ble venin dis­tillé à flots conti­nus par les poli­ti­ques de tous bords, par les radios, les télés, la presse écrite, sans dis­tinc­tion de titre”.

    Il testo integrale si trova su La Sociale:
    Vivre et pas survivre, tout simplement ! L’exemple de la Roya

  • Davide Amato

    Gennaio 23, 2021

    Ha sottolineato un aspetto decisamente importante degli effetti (sociali) di questa pandemia e del modo in cui è stata gestita in Occidente. In alcuni casi questa paura del virus, la cui diffusione e i cui effetti meriterebbero uno studio sociologico approfondito, ha raggiunto livelli persino religiosi: quegli individui che temevano di uscire di casa per fare la spesa, o per una passeggiata, o per prendere i mezzi pubblici, non ricordano i primi cristiani, che abbiamo studiato insieme a lei? Ovvero quelli che temevano di essere aggrediti da legioni di demoni, che potevano colpire ovunque e da qualunque direzione? E allo stesso modo, per paura di questo nemico invisibile, si rinuncia alla vita e a tutto ciò che di valore vi sia in essa, proprio come i cristiani rinunciavano alla vita cittadina e mondana, fonte di “corruzione e impurità”.

    Oggi persino i gesti che vengono compiuti per proteggersi dal virus hanno un significato rituale: non importa che siano efficaci o meno nel difendere dal contagio, ma importa la loro carica purificatrice. Essi tengono a bada la pandemia così come la preghiera teneva a bada i demoni, che nulla potevano contro i puri di cuore, coloro che seguivano pedissequamente le ingiunzioni dei preti e dei monaci. Per alcuni i nuovi preti sono i medici e gli scienziati. Mentre i primi monaci dicevano di praticare l’atto sessuale senza però farselo piacere, alcuni scienziati oggi suggeriscono di praticarlo usando la mascherina. E’ vero che la mascherina protegge dal contagio, ma è anche vero che essa ha acquisito un significato puramente simbolico, come confermava il ministro Speranza tempo fa, sulla questione che ricorderà dell’obbligo di uso di mascherine all’aperto, nonostante fosse dubbia la loro utilità. Un significato in alcuni casi di conformismo, di adeguamento passivo a regole insulse e che hanno come unico scopo quello di colpevolizzare i deboli e assolvere i più forti.

    • agbiuso

      Gennaio 24, 2021

      Caro Davide, la ringrazio molto per aver ricordato ed evidenziato gli aspetti superstiziosi che sempre nella storia umana si accompagnano alle epidemie. Quella attuale non fa certo eccezione, nonostante l’illusione (e la presunzione) che molti nutrono di essere giunti a uno stadio di razionalità che dalla superstizione rende immuni.
      Come lei afferma, invece, molti aspetti della vita collettiva e simbolica confermano la dimensione anche religiosa, e non certo soltanto sanitaria, che la maschera ad esempio ha assunto. Si tratta di oggetti e pratiche diventati apotropaici: «non importa che siano efficaci o meno nel difendere dal contagio, ma importa la loro carica purificatrice», come lei giustamente scrive.
      Rispetto a siffatto diluvio di irrazionali credenze, dobbiamo cercare di mantenere -da studiosi- uno sguardo aperto, lucido, critico. È in questi casi che la filosofia mostra la propria differenza.

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