Ha ben appreso il significato della filosofia, e quindi, dell’esistenza, chi pensa che «la vita non vale niente se non vale più della vita». È quanto scrive un mio allievo a conclusione di una testimonianza straordinaria nella sua lucidità, nel suo dolore, nella consapevolezza e nella verità.
«Caro Professore,
Le scrivo per dirLe che al momento non mi sento una persona felice.
Da mesi ormai sento che la vita mi si dà soltanto come ricordo e come esigenza. Al mattino sto, inerte, innanzi alle mie aspettative e a quelle altrui, incapace di rispondere sia alle une che alle altre, e la sera ascolto gli echi della mia vita passata, l’unica che riesco a portare al livello della presenza. Nei miei vent’anni, sento che la vita mi chiede molto e sento di voler chiedere molto alla vita: il peso dei miei desideri e del futuro mi opprime in modo silenzioso, è sufficiente la loro sola esistenza. E le suole di piombo del mio passato mi impediscono di compiere anche un solo passo in avanti.
Da mesi ormai la mia vita è questo oscillare tra il prima e il dopo, senza una linea continua che li unisca e che possa chiamare presente. Mi è stato chiesto di vivere di meno e l’ho accettato, non posso altrimenti. Ne soffro e mi viene chiesto di sentirmi in colpa per questo, perché è poca cosa vivere a un metro dagli altri, perché ho ancora tutta la vita davanti, perché bisogna fare sacrifici e avere rispetto dei morti, dell’emergenza sanitaria, bisogna essere responsabili e comportarsi bene. Per carità, non lo nego.
Ma la filosofia mi ha insegnato che per avere rispetto della vita occorre avere rispetto del tempo e della morte, porgere loro la propria amicizia. Ho imparato presto qual è la differenza tra una vita e un’esistenza e temo che la nostra epoca abbia, da molto ormai, dimenticato che la vita è un’altra cosa dall’essere-in-vita, dai parametri che la medicina, l’economia e la politica usano per governare i nostri corpi. La vera tragedia di questa pandemia non è né la morte né il dolore, ma le morti asettiche in ospedale, il fallimento delle attività commerciali, la privazione di un sorriso o di un abbraccio. Per molti la filosofia è solo chiacchiera; per me è l’unico vaccino che ci salva.
E così sto qui, ad un metro di distanza dalla vita, a ricordare impotente che la vita non vale niente se non vale più della vita.
La ringrazio per l’ascolto,
D., uno studente responsabile».
La condizione della quale parla D. è complessa. Un suo evidente elemento è la clausura, la reclusione, il confino. Elementi che non a caso sono parte delle strutture punitive degli Stati. Elementi che, al di là degli autoinganni della cosiddetta ‘società aperta’, diventano sempre più universali, imponendosi a tutti i cittadini. Infatti, «oltrepassata la soglia, la società diventa scuola, ospedale, prigione, e comincia la grande reclusione. Occorre individuare esattamente dove si trova, per ogni componente dell’equilibrio totale, questa soglia critica» (Ivan Illich, La convivialità, Red, Como 1993, pp. 11-12).
Del tutto empatico con quello dello studente D. è stato il mio sentimento di docente di tre corsi svolti nel Dipartimento di Scienze Umanistiche di Unict nell’a.a. 2019-2020. Conclusa la finta lezione, posto fine al collegamento, rimaneva l’aula silenziosa, vuota, perduta. L’amarezza di quegli istanti per il mancato incontro, per la distruzione del fatto educativo – che è un evento in primo luogo fisico, corporeo, spaziotemporale – è un sentimento che non dimenticherò.
Una conseguenza positiva è che questi sentimenti di amarezza e dolore mi hanno aiutato a capire. Mi hanno aiutato a comprendere meglio le motivazioni delle potenze economiche digitali (come Microsoft, proprietaria di Teams e cioè della piattaforma utilizzata per le finte lezioni di Unict) e dei decisori politici al loro servizio, come il governo italiano e le amministrazioni universitarie. E mi hanno quindi spinto ad agire come posso – insieme ad altri colleghi – contro la distruzione dell’Università, perché è questo l’obiettivo ultimo: la trasformazione delle Università pubbliche in cloni di Unipegaso.
Ivan Illich aveva compreso a quale barbarie conduce il culto per la ‘vita’ a ogni costo, per un fantasma che ignora le dimensioni psicosomatiche, complesse, temporali della salute; aveva compreso dove conduce il culto per un totem collettivo al quale sacrificare ogni pietà, ogni buon senso, ogni fermarsi davanti al limite delle tecnologie sanitarie e politiche e alla necessità che gli umani nutrono di incontrare l’altro.
Il risultato è che si muore sempre più soli e sempre più disperati; l’epidemia da Covid19 sta portando al culmine tale dinamica.
«L’attuale frenesia medica è una chiara manifestazione di ciò che i greci definivano hybris: non più soltanto una trasgressione del limite -la qual cosa sarebbe ancora, malgrado tutto, un modo di riconoscerne l’esistenza- ma un’ignoranza o una ricusazione dell’idea stessa di limite. La Nemesi che colpisce questo accecamento non consiste solo nel morire male, ma anche nel vivere male. L’impresa medica, che si presenta come la punta avanzata e meno contestabile del progresso, è divenuta un fattore di decivilizzazione. Questa era, in ogni caso, la convinzione di Illich, il quale riteneva che i cittadini di un paese non avessero bisogno di una politica ‘sanitaria’ nazionale organizzata per loro, ma piuttosto di ‘fronteggiare con coraggio certe verità:
-non elimineremo mai la sofferenza;
-non guariremo mai tutte le malattie;
-moriremo’»
(Olivier Rey, Dismisura [Une question de taille, 2014], Controcorrente, Napoli 2016, p. 52; trad. di G. Giaccio).
Il lavoro filosofico questo lo sa da sempre. Ad esempio in Hegel: «Seine Unangemessenheit zur Allgemeinheit ist seine ursprüngliche Krankheit und [der] angeborene Keim des Todes [La sua (dell’animale) inadeguatezza all’universalità è la sua malattia originale; ed è il germe innato della morte]» (Enzyklopädie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse, § 375) e in Heidegger: «So wie das Dasein vielmehr ständig, solange es ist, schon sein Noch-nicht ist, so ist es auch schon immer sein Ende. [L’Esserci, allo stesso modo che, fin che è, è già costantemente il suo ‘non-ancora’, è anche già sempre la sua morte]» (Sein und Zeit, GA, vol. 2, § 48, p. 326; trad. di P. Chiodi).
Mesi di regioni ‘rosse’ allo scopo di ‘abbracciarci a Natale’. E il risultato è, appunto, «la grande reclusione». Non basteranno 10 giorni di chiusura tra il 2020 e il 2021. Non basterà mai nulla. Perché non si tratta di salute e di scelte politiche, si tratta di un’ideologia magica e fanatica. Si tratta di nichilismo.
[La lettera di D. è stata pubblicata anche in corpi e politica e su girodivite, con una breve presentazione. Photo by Denny Müller on Unsplash]
21 commenti
agbiuso
Basta con questa misura profondamente antidemocratica, inutile, vessatoria, sciocca.
agbiuso
Almeno sono ragazzi vivi, nello spazio, nella festa.
Non chiusi nel torpore di un televisore, di uno schermo, del vuoto virtuale. Accanto a mammina e a papà.
Sono ribelli. Li apprezzo.
agbiuso
Nessuna pietà verso i bambini, i ragazzi, i più fragili tra i giovani.
Nessuna pietà: isolamento, autolesionismo, anoressia, bulimia, suicidi.
Nessuna pietà. In nome del Covid19, in nome del lockdown miracoloso, superstizioso.
agbiuso
[Fonte: https://www.nicolaporro.it/caro-porro-ecco-il-tema-di-mia-figlia-piegata-dal-lockdown]
Buonasera,
la seguo sempre e ho letto la lettera della mamma con due figli adolescenti. Anche i miei figli hanno 14 e 18 anni ma non si lamentano più, la loro è apatia totale. Il maschio passa dalla sedia in Dad alla poltrona con la Play Station al letto con TikTok, come una larva. Almeno in zona arancione rimaneva lo sport, il calcio (mai un positivo in squadra).
Ora da due settimane e ne abbiamo da affrontare altre due (Veneto), c’hanno tolto pure quello. Mia figlia, a differenza del maschio, riesco a convincerla a uscire con me, chiacchierando, visto che c’hanno tolto il diritto di lavorare e ho tempo da dedicare a loro, è concesso passeggiare. Ci si fanno tante domande visto che in giro trovi tanti anziani, quelli da proteggere, i miei figli a casa… e ci si arrabbia perché 12 mesi sono lunghi per chiunque.
Siamo sani! E ci stanno facendo morire dentro. Le scrivo perché vorrei farle leggere il tema di mia figlia. Perché c’è tutta la sua sofferenza, è seguita da uno psicoterapeuta perché i social fanno danni irreparabile come l’ossessione delle diete, del fisico perfetto. La bulimia e l’anoressia è vero c’è sempre stata… ma era immersa nel suo studio, nel suo sport nei suoi obbiettivi quotidiani. È difficile, ne usciremo, l’ho promesso ai miei figli. Facciamo fatica ad arrivare a fine mese ma siamo fortunati.
È assurdo come la classe politica non si accorga che senza aiuti non ce la facciamo. Arriva tutto da pagare, le discussioni sono all’ordine del giorno. Grazie che combatti per noi!
Cordialmente, una mamma.
========
Tema: I giovani d’oggi tra paure e attese per il futuro
Mi chiamo *** e ho diciotto anni, compiuti poco più di un mese fa, nel bel mezzo di una pandemia globale, circostanza che mi ha impedito di festeggiare il giorno che pensavo sarebbe stato il più bello e indimenticabile della mia vita.
Ho diciotto anni e non posso andare a scuola. Ho trascorso gli ultimi anni di liceo nella mia camera da letto, davanti a un pc, senza interagire con nessuno, con la testa bassa e gli occhi spenti. Senza il minimo desiderio o interesse nel voler apprendere. Senza avere la possibilità di confrontarmi con i miei compagni, di condividere i momenti di gioia e quelli di sofferenza, di prendere un caffè alle macchinette, di ridere guardando i ragazzi del quinto anno, di fare le gite. Di crescere.
Ho diciotto anni e non posso fare sport. Non mi è nemmeno più concesso andare in palestra per un’ora quelle tre volte a settimana che mi facevano staccare la mente da tutto e che mi davano quell’energia di cui avevo bisogno per affrontare la settimana.
Ho diciotto anni e non posso andare la domenica a pranzo dai miei nonni. Non so per quanto ancora potrò averli al mio fianco e invece di sfruttare questo tempo, mi è stato strappato completamente.
Ho diciotto anni e non posso viaggiare, scoprire, conoscere. Ho diciotto anni e non posso vedere i miei amici. Ho diciotto anni e non posso più divertirmi, ridere, sognare, sperare. Non posso godermi quella spensieratezza che rende questi anni di adolescenza i più belli della vita di ognuno. Ho diciotto anni e mi è stato portato via tutto. Mi alzo, mangio, dormo.
Una parte di me continua a sperare in un imminente soluzione, e vive cercando di non farsi sopraffare dalla situazione generale, ma lasciandosi trasportare dai noiosi e piatti eventi quotidiani. L’altra parte di me però ogni tanto prende il sopravvento e fare finta di niente diventa impossibile. In quei momenti il mondo mi cade letteralmente addosso e sento una voragine assordante farsi strada nel mio petto. Non riesco a non pensare a quello che ho perso e che nessuno mai mi ridarà indietro.
Forse è meglio non pensare. La pandemia mi ha tolto tanto, ma più di tutto mi ha tolto la fame. La fame di vita. Ho perso interesse per qualsiasi cosa. Sto quasi meglio da sola a casa alla fine dei conti. Non trovo la forza per uscire, non mi va. Non riesco ad alzarmi dal letto e a vestirmi. E se lo faccio mi dispero, guardando la mia immagine così fastidiosa nello specchio.
Questo tempo vuoto, senza nulla da fare, a cui pensare, a cui dedicarmi, mi ha portato a concentrarmi sul cibo. Ora convivo con una voce che non fa altro che ricordarmi quanto sia sbagliata, ingombrante e inferiore. Tutto questo non è vittimismo e nemmeno egoismo come sostengono la stragrande maggioranza degli adulti che sembra aver dimenticato la loro gioventù (ma d’altronde è facile parlare quando loro l’hanno vissuta, no?). Tutto questo è semplicemente la nostra (non) vita.
Ho diciotto anni e ho paura. Ho paura del futuro, cosa mi succederà, se mi porterò per sempre questi danni dentro di me o se tornerò ad essere la ragazza che ero prima. Ho paura che non finisca mai e che non ci sarà futuro per me. Per noi.
agbiuso
«Sui social chiedono che il Paese torni in lockdown, perché durante il periodo di restrizioni per il Covid almeno non c’erano sparatorie».
Se poi fossimo messi tutti in galera, e pochi a sorvegliarci, il mondo diventerebbe un luogo totalmente sicuro.
Siamo oltre la «servitù volontaria», oltre la «nuda vita» siamo alla follia securitaria, che è la radice di ogni dittatura.
agbiuso
«Penitenziàgite» proclamavano fra’ Dolcino, Lutero e altri bravi negatori del mondo.
«Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino».
«Fate penitenza perché la curva s’allontani».
Escatologie da quattro soldi.
agbiuso
A proposito di Milano e delle persone che in questi giorni frequentano i Navigli, leggo molte affermazioni che confermano come l’effetto più grave dell’epidemia, del Covid19, sia l’assoluta introiezione del controllo, del divieto, dell’autorità diventata l’anima stessa delle persone.
È davvero il trionfo di Foucault.
Alle persone che invocano polizie e punizioni non posso che ripetere: «La cantina, un posto sicuro».
agbiuso
Che fosse un atteggiamento dettato nei profani dalla paura, è comprensibile.
Ma che i laureati in medicina (la più parte, infatti, non sono virologi) che fungono da consiglieri tecnico-scientifici del governo Conte non abbiano previsto il danno enorme alla salute pubblica che si sta infliggendo ai cittadini è un fatto imperdonabile.
Stefano Piazzese
A conferma di ciò ho il piacere di condividere le parole di Alessandra Peru, studentessa dell’Università degli Studi di Udine, rese pubbliche attraverso un post su Facebook:
« Buongiorno, stamattina sono qui per ricordarvi che gli studenti universitari non rientrano in ateneo da 11 mesi. Noto che anche dopo le feste nessuno si è degnato di considerare la categoria degli studenti universitari, totalmente abbandonata dalle istituzioni e da un ministro che ormai latita da un pezzo. In questi 11 mesi abbiamo continuato a pagare le tasse nonostante i problemi economici che tante famiglie avranno avuto e non è stato trovato uno straccio di soluzione. Sono 11 mesi che ci stiamo spersonalizzando davanti a un computer, ci sono docenti che non sanno nemmeno che faccia abbiamo e noi non sappiamo che faccia abbiano i docenti. L’Università con la U maiuscola è un posto dove si coltivano menti e si scambiano idee, menti e idee che non possono essere coltivate e scambiate tramite un pc, tramite una didattica a distanza che funge solo da palliativo per una situazione di agonia. Un paese che non si interessa del futuro dei suoi giovani è un paese vecchio, che si lamenta però quando quei giovani se ne vanno via per venire valorizzati in altri paesi. Io ormai sono esausta, stanca di sentire ogni giorno le stesse parole e di non ricevere risposte. Risposte che il paese mi deve e ci deve perché siamo anche noi cittadini, gli studenti universitari non sono studenti di serie B, sono studenti che meriterebbero un encomio per come hanno vissuto e gestito questa situazione, lasciati fondamentalmente ad “autogestirsi”. Sono momenti di vita che non ci restituirà nessuno, e non me ne vogliano i genitori di figli piccoli, però la laurea non capita tutti i giorni, la gioia di uscire dall’università dopo aver passato un esame difficile che ci stava addosso come un macigno, il poter avere un confronto diretto con i docenti e non dover sgomitare “virtualmente” su una piattaforma per farci sentire, la stesura della tesi (che vi lascio solo immaginare cosa significhi non avere il relatore vicino), sono tutti momenti che a nessuno è venuto in mente di considerare, e di considerare quanto per noi sia doloroso andare avanti così. Sto iniziando il mio secondo semestre del secondo anno di magistrale e quindi sto concludendo il mio percorso universitario davanti a uno schermo e non lo auguro a nessuno».
agbiuso
Caro Stefano,
la ringrazio per averci fatto conoscere la lettera saggia e commovente di Alessandra Peru.
Una testimonianza struggente, concreta e splendida da parte di una studentessa la quale ha compreso che cosa significhi essere parte della Communitas universitaria e di che cosa la stiano privando le irrazionali, contraddittorie, miopi scelte dei decisori politici e accademici, a partire da uno dei più discutibili tra di loro, soggetto politico e insieme accademico, il ministro dell’Università Gaetano Manfredi, che anche alla Federico II di Napoli, della quale è stato rettore, ricordano senza nostalgia.
Almeno la ‘nostra’ laureata (al Disum di Unict) Lucia Azzolina si è battuta, pur con scarsi risultati, per tenere aperte le scuole, mentre Manfredi è, come scrive la studentessa Peru, «un ministro che ormai latita da un pezzo».
agbiuso
Sul Bollettino d’Ateneo dell’Università di Catania leggo questa notizia, del 30 dicembre scorso:
Unict, sei rappresentanti degli studenti i primi vaccinati contro il Covid
Mi è stato segnalato il seguente commento di Matteo Iannitti.
L’articolo del Bollettino è introdotto da una frase del Magnifico Rettore: «La salute degli studenti una priorità per il nostro Ateneo»
Qualche giorno fa avevo inviato al Rettore una lettera della quale riporto un brano dedicato proprio alla salute:
«…che dimostra essere la salute qualcosa di non riducibile alle sole dimensioni organiche, attingendo invece alle strutture psichiche, ambientali, relazionali. Aver ignorato e continuare a ignorare la complessità della salute è una delle cause più gravi del malessere collettivo che si sta diffondendo».
Il corpo sociale sta sempre più restringendo la propria esistenza a una salute intesa come semplice fatto virale e non a quell’evento complesso che è; costituito da dimensioni organiche, metaboliche, immunitarie, relazionali, psicosomatiche, temporali. Un’esistenza che priva i ragazzi del sapere e del futuro, gli adulti della pienezza, gli anziani della compagnia che lenisce l’inevitabile morire.
Le Biblioteche di Unict sono ancora sprangate. Perché? Il virus rimane sulla carta dei libri (posti in quarantena come appestati) ma non sulla carta delle banconote che tutti -docenti, bibliotecari, studenti- ci passiamo di mano in mano, ignorandone la provenienza?
Gli studenti del biennio magistrale stanno rischiando di trascorrere solo un quarto del loro percorso negli spazi universitari, il resto davanti a un monitor. Si erano iscritti, questi studenti, a Unipegaso? Ci stiamo trasformando in Unipegaso? Con l’entusiasmo verso la cosiddetta Dad non stiamo facendo pubblicità a Unipegaso?
La depressione, la tristezza, l’angoscia, il ritorno infantile al ‘guscio’ domestico stanno dilagando.
Tutto questo non tocca la «salute degli studenti»?
agbiuso
Da un’intervista ad Alain de Benoist
éléments, 5.1.2020
===========
Je ne suis pas de ces complotistes qui s’imaginent que le terrorisme islamique ou l’épidémie de Covid-19 ont été créés de toutes pièces pour servir de noirs desseins. Je vois très bien, en revanche, combien il est aisé, pour les élites en place, d’instrumentaliser ces circonstances à leur profit afin de porter atteinte aux libertés.
Aux États-Unis, le Patriot Act a été adopté pour faire face au terrorisme, après quoi, il a servi à tenir en laisse toute la population. Les lois d’exception finissent par entrer dans le droit commun, ce qui fait que l’exception devient la règle. Le Covid-19 est une maladie bien réelle (elle aura bientôt tué, aux États-Unis, plus de gens que d’Américains durant toute la Seconde Guerre mondiale), mais on ne peut qu’être frappé par le caractère disproportionné de ces mesures d’une ampleur jamais vue adoptées à l’échelle planétaire pour venir à bout d’un virus dont le taux de mortalité ne dépasse pas 0,5 %.
En raison de ce que beaucoup de gens perçoivent comme une « dictature sanitaire », la majorité des Français ont, depuis mars dernier, accepté de bouleverser leur vie quotidienne avec une docilité confondante.
Les masques qu’ils portent ressemblent de plus en plus à des bâillons.
agbiuso
A conclusione di una coinvolgente e dotta riflessione su Gaia e Ctonia (28.12.2020), Giorgio Agamben scrive che:
“Secondo ogni evidenza, l’identificazione dei limiti della biosfera con la superficie della terra e con l’atmosfera non può essere mantenuta: la biosfera non può esistere senza lo scambio e “l’interfaccia” con la tanatosfera ctonia, Gaia e Ctonia, i vivi e i morti devono essere pensati insieme.
Quello che è avvenuto nella modernità è, infatti, che gli uomini hanno dimenticato e rimosso la loro relazione con la sfera ctonia, non abitano più Chthon, ma soltanto Gaia. Ma quanto più eliminavano dalla loro vita la sfera della morte, tanto più la loro esistenza diventava invivibile; quanto più perdevano ogni familiarità con le profondità di Ctonia, ridotta come tutto il resto a oggetto di sfruttamento, tanto più l’amabile superficie di Gaia veniva progressivamente avvelenata e distrutta. E quello che abbiamo oggi sotto gli occhi è l’estrema deriva di questa rimozione della morte: per salvare la loro vita da una supposta, confusa minaccia, gli uomini rinunciano a tutto ciò che la rende degna di essere vissuta. E alla fine Gaia, la terra senza più profondità, che ha perso ogni memoria della dimora sotterranea dei morti, è ora integralmente in balia della paura e della morte. Da questa paura potranno guarire solo coloro che ritroveranno la memoria della loro duplice dimora, che ricorderanno che umana è solo quella vita in cui Gaia e Ctonia restano inseparabili e unite”.
agbiuso
Eh sì, questo Ricciardi è il vero ministro della sanità, del quale Speranza è un portavoce.
Le parole che qui vengono riferite sono puro terrorismo, poca medicina, molta politica. Forse anche crimine.
agbiuso
Nei confronti del vaccino anticovid ci sono medici e operatori sanitari prudenti, com’è naturale che accada se si sa che cosa un vaccino sia. Gli urlatori dei Social Network -e ahimè anche alcuni decisori politici e altri medici- rispondono con richieste di censura, punizione, radiazione e altre violenze. Tipico di tutta la questione Covid19. Da mesi.
In ogni caso spero che saranno in molti a vaccinarsi liberamente, se questo potrà restituire un poco di razionalità al corpo sociale e ai decisori politici.
A proposito dell’atteggiamento dogmatico e oscurantista in medicina e dei gravi danni da esso prodotti, ricordo il tragico argomento della tesi di laurea del Dott. Louis Ferdinand Auguste Destouches (Céline), da lui discussa il 1 maggio 1924.
Tesi di storia della medicina dedicata al caso del Dottor Ignác Fülöp Semmelweis.
Qui una mia recensione alla tesi/libro: Céline, gli umani, la medicina, pubblicata sul numero 3 di Vita pensata (settembre 2010), alle pp. 60-62.
agbiuso
Una catastrofe siffatta -del turismo ma non solo- non è causa di malessere per quanti perdono il lavoro, di dissolvimento della bellezza, di profondo impoverimento culturale? Non è anche e soprattutto questo una gravissima malattia?
Si sta uccidendo il corpo collettivo e riducendo la salute al vegetare ebeti davanti a uno schermo, illudendosi di abitare il mondo.
Luca
“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra” (Vangelo secondo Luca, 2.1). Queste parole iniziali del Vangelo natalizio di quest’anno, ascoltate spesso distrattamente, oggi per me sono apparse come un lampo nel buio, e perfino con un riflesso di sorprendente ironia.
Passeranno anche i decreti dei personaggi minori dei nostri giorni! Ci può essere ancora speranza per l’umanità: spero che questo possa essere il messaggio che questo Natale può rivolgere a tutti, rispettando anche i sentimenti dei non credenti.
Buon Natale!
agbiuso
Condivido, caro Luca, il sentimento di ironia nei confronti delle autorità che vogliono censire tutto e tutti.
Gli attuali piccoli amministratori del mondo passeranno senza lasciare traccia, come meritano.
Auguro a lei e a tutti i lettori di questo sito di trascorrere dei giorni fatti di sguardi e di abbracci reali con le persone che ci sono care.
agbiuso
Oggi ho viaggiato su tre diverse linee della metropolitana milanese (la 5, la 1 e la 3).
Alla vigilia del natale treni sgombri, strade deserte, piazza Duomo come si vede qui sotto, vuota e con veicoli dell’esercito, della polizia, dei carabinieri.
Ho camminato per le strade del centro e comunque per fortuna nessuno mi ha controllato o chiesto certificazioni. Il corpo collettivo, ormai abituato e prostrato da mesi di paternalistiche lusinghe e minacce, rinuncia da solo alla vita, contrariamente a ciò che giornali e televisioni semplicemente bugiarde gridano da settimane.
Davide Amato
Caro professore,
condivido i suoi spunti di riflessione. Il terrore mediatico, i giudizi sommari sugli “untori” da parte dei media, con intere trasmissioni dedicate alla stigmatizzazione di chi osava uscire dalla propria abitazione, è l’aspetto più inquietante di questo momento storico, in Occidente. E altrettanto inquietante è la schizofrenia del potere: con una mano si sollecita (con le varie misure impiegate) all’acquisto in negozio da parte dei cittadini, con l’altra si condannano gli assembramenti nelle vie commerciali, nelle strade delle città, di fronte ai negozi.
In tutto questo i cittadini sono le vittime dell’inefficienza, della malafede, della noncuranza di chi ci governa. E si aggiunge questa vergognosa umiliazione: mentre già sappiamo che il virus si propaga principalmente nei luoghi di lavoro, si chiede invece di rinunciare ai momenti affettivi, alle festività natalizie, ai cenoni in famiglia.
Insomma, non saprebbero in che altro modo dircelo, dato che ormai è così chiaro: nella società di mercato il soggetto deve servire l’accumulazione del capitale; tutto il resto è superfluo, sacrificabile, libertà individuale e legami affettivi compresi.
La conseguenza inevitabile è il nichilismo, come lei stesso ha detto…
agbiuso
La ringrazio, Davide, per la sua riflessione.
Aggiungo alla sua analisi della struttura politica dell’epidemia un elemento del tutto evidente ma che sembra non emergere mai: il cosiddetto smart working o lavoro agile (in questa vicenda gli eufemismi e gli anglicismi sono parte del crimine) significa che non c’è più differenza psicologica e ontologica tra lo spaziotempo del lavoro e lo spaziotempo privato, che il primo ha divorato il secondo, che la macchina del capitale divora 24 ore su 24. Con il lavoro telematico da casa (comprese, per i docenti, le lezioni) lo sfruttamento non ha più limiti spaziali, temporali, interiori. Siamo diventati davvero parte di un ingranaggio che non si ferma mai.