DADA e SURREALISMO riscoperti
Roma – Complesso del Vittoriano
Sino al 7 febbraio 2010
Dada è gioco, gratuità, slancio oltre i significati, nichilismo che sa come senso non si dia se non quello che alle forme e al tempo noi per avventura, fortuna, talento riusciamo a offrire. È il divertimento che dando a ognuno il compito di scegliere una parola all’insaputa dell’altro crea la prima frase -celebre, inquietante, enigmatica e insensata- che da allora divenne il nome stesso del gioco: «Il cadavere squisito berrà il vino nuovo».
Surrealismo è la profondità concettuale che sa come la realtà sia una costruzione della mente e la veglia un risultato del sogno. I surrealisti trasformano dunque in colore e forma la materia dei sogni. Il risultato non può che essere l’orrore, per quanto lieve e divertito. C’è e non poteva non esserci nel Surrealismo un sentore profondo di cadavere (appunto) perché quando la mente sogna non fa altro che perlustrare i confini della propria morte, l’impensabile del non più esserci una volta che si è stati.
Ma in Dada e nel Surrealismo non è possibile trovare alcun legame tra i vari artisti. Ognuno, per definizione, va per conto proprio; da sé sperimenta, crea linguaggi anche irriducibili e inconfrontabili coi linguaggi degli altri. E quindi se al Vittoriano si possono toccare i celebri readymade di Duchamp (la ruota di bicicletta sul piedistallo di legno, la fontana-orinatoio, la vanga appesa al tetto…) o le sue gioconde baffute, l’occhio può spaziare molto oltre, in una difforme varietà di espressioni: i 63 attaccapanni di Man Ray, il paradossale invito al viaggio in una stanza chiusa di Pierre Roy, il pianoforte afono e capovolto di John Cage, il potente castello/roccia sospeso tra mare e cielo di Magritte, il fallo costruito con legno e clessidre (Coming and Going) di Marcel Mariën, gli scheletri di Delveaux in tranquilla attesa della liberazione, le sculture arcaiche e insieme avveniristiche di Alberto Giacometti…e molto, molto altro a dire la potenza e la disperazione dei sogni.
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