Lunedì 14 maggio 2018 alle 10,00 nell’Aula A7 del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania Dario Generali terrà un seminario a partire dal volume da lui curato L’idioma di quel dolce di Calliope labbro. Difesa della lingua e della cultura italiana nell’epoca dell’anglofonia globale (Mimesis, 2017).
Inserendosi nel dibattito in atto sulla funzione e identità dell’italiano come lingua di ricerca -e non soltanto di comunicazione- Generali sostiene, nel suo contributo al volume, che «la decisione di rendere anglofoni i livelli più alti della formazione universitaria e delle successive specializzazioni non può che determinare quella separazione, anche linguistica, fra gli studiosi e il resto della società, che Galileo e buona parte della scienza moderna hanno voluto superare scegliendo di utilizzare, nella stesura delle proprie opere, gli idiomi nazionali e non il latino, lingua universale del tempo.
Operare in tale direzione, oltre a rendere le lingue nazionali e, nella fattispecie, l’italiano, dei dialetti, abbandonerebbe la società civile alla subcultura massmediatica e commerciale, con conseguenze devastanti da tutti i punti di vista sul livello intellettuale, ma anche produttivo ed economico, della nazione» (p. 120).
Delegare ad altre lingue l’espressione della nostra cultura significa rinunciare alla nostra identità di umani collocati in uno spaziotempo ben preciso. È questa una radicale forma di colonizzazione, quella che non tocca soltanto le modalità economiche, le decisioni amministrative, le strutture politiche ma giunge al nucleo stesso del nostro essere parlanti e dunque pensanti.
- Ulteriori informazioni sull’evento (link all’Agenda di Ateneo)
- Una mia recensione al libro il manifesto – 21 febbraio 2018
- Scheda editoriale del volume
- Tags:
- anglofonia,
- Dario Generali,
- Dipartimento di Scienze Umanistiche,
- ermeneutica,
- filosofia,
- Filosofia del linguaggio,
- inglese,
- italiano,
- L'idioma di quel dolce di Calliope labbro,
- lezioni,
- lingua,
- linguaggio,
- parola,
- Salvatore Claudio Sgroi,
- società,
- Subalternità linguistica,
- Università di Catania
9 commenti
agbiuso
Per gli umani le parole sono il mondo.
Chi non rispetta le parole non rispetta niente e nessuno.
==========
Gruppo Incipit, comunicato n. 20: La preparedness e readiness ad interim: un modo sbagliato di parlare di sanità alla scuola
Accademia della Crusca – 23 agosto 2022
Il 5 agosto 2022 sono state diramate, senza firma, ma con i loghi dell’Istituto Superiore di Sanità, del Ministero della Salute, del Ministero dell’Istruzione e della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, le «Indicazioni strategiche ad interim per la preparedness e readiness ai fini della mitigazione delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito scolastico (a.s. 2022-2023)». Già il titolo di questo documento, con i termini tecnici preparedness e readiness, sconosciuti alla quasi totalità degli italiani e di non facile interpretazione anche ricorrendo a dizionari inglesi, uniti al latinismo burocratico ad interim (con probabile allusione al fatto che si tratta di norme provvisorie, suscettibili di modifica), mostra un atteggiamento assolutamente refrattario alla buona comunicazione (per tacere, inoltre, del pesante “burocratese” della frase ai fini della mitigazione delle infezioni da SARS-CoV-2 in ambito scolastico).
Nel resto del documento ricorrono espressioni come setting scolastico, razionale nel significato inglese di rationale e non nel significato italiano, etichetta respiratoria per ‘igiene respiratoria’, e via dicendo. Inutile da parte nostra analizzare il documento, che ci pare pessimo nella veste linguistica oscura e farraginosa, perché l’operazione è stata già condotta molto bene e con grande tempismo da Licia Corbolante nel suo sito: blog.terminologiaetc.it.
Non ci resta che dichiarare il nostro pieno accordo con quanto la studiosa ha scritto e unirci all’invito a “fare di meglio” che Licia Corbolante ha rivolto ai ministeri coinvolti, invitandoli, semplicemente, a usare la lingua italiana. Facciamo notare che quello esaminato non è un documento interno per addetti ai lavori, ma un elenco di azioni che dovranno essere applicate in tutt’Italia da dirigenti scolastici e insegnanti. Lo specialismo esagerato e immotivato, con conseguente ricorso a prestiti non adattati e a calchi approssimativi dall’inglese, non trova in questo caso alcuna giustificazione plausibile, e la critica deve essere netta e severa.
Dedichiamo questo Comunicato n. 20 alla memoria di Luca Serianni. Il grande studioso, tragicamente venuto a mancare il 21 luglio scorso, ha firmato con noi tutti i precedenti interventi di Incipit. Questo è il primo Comunicato che viene diramato senza di lui. Il nostro pensiero va alla sua memoria, ai suoi consigli, alla sua intelligenza e alla conoscenza impareggiabile della lingua e dei valori della buona comunicazione. Luca Serianni era molto ascoltato anche dal Ministero dell’Istruzione. Speriamo che anche in sua memoria il biasimo nostro e di Licia Corbolante venga preso in considerazione.
Ricordiamo che il gruppo Incipit si occupa di esaminare e valutare neologismi e forestierismi “incipienti”, scelti tra quelli impiegati nel campo della vita civile e sociale, nella fase in cui si affacciano alla lingua italiana, al fine di proporre eventuali sostituenti italiani. Incipit è costituito da Michele Cortelazzo, Paolo D’Achille, Valeria Della Valle, Jean-Luc Egger, Claudio Giovanardi, Claudio Marazzini, Alessio Petralli, Annamaria Testa. I comunicati Incipit si leggono nelle pagine web dell’Accademia della Crusca, all’indirizzo: http://www.accademiadellacrusca.it/it/attivita/gruppo-incipit.
Ufficio Stampa: 392-3478421 – ufficiostampa@crusca.fi.it
I comunicati Incipit si leggono nelle pagine web dell’Accademia della Crusca, all’indirizzo: http://www.accademiadellacrusca.it/it/attivita/gruppo-incipit.
Comunicato stampa in formato pdf
agbiuso
Emanuele Zinato indica con vivace intelligenza il significato e gli obiettivi del tracimare di termini angloaziendalistici nelle comunicazioni interne alle Università italiane.
Soft Skills: un porridge per tutti
letteratura e noi – 9.6.2021
Ogni settimana mi arrivano da parte dello Staff dell’ateneo delle mail inerenti l’implementazione (sic) di una qualche virtuosa e finanziatissima innovazione della didattica e della ricerca, nel senso, parrebbe da tutti auspicato, del Digital Learning e del Virtual Exchange Methodology. Ignorando il Documento di politica linguistica che il medesimo ateneo ha varato qualche anno fa sul dovere di mantenere l’italiano come lingua di insegnamento, in questi messaggi si glorifica la vera lingua universitaria del futuro: il veicolo standard angloaziendale, tanto protervo quanto ridotto all’osso dall’efficienza ideologica. Il messaggio implicito che giunge attraverso quella posta istituzionale, e che pazientemente cestino, è il seguente: “non pensare che oggi si possa fare università senza questa terminologia”.
Da ultimo: nel dizionario di questa neolingua d’ateneo, che si vorrebbe parlata da tutti, ora trionfano le Skills, o meglio le Digital Skills e le Soft Skills. Ora: sapevo che nelle aziende con Skill si definisce la capacità di portare a termine compiti lavorativi, distinguendo (grossolanamente, come nell’informatica) fra Hard e Soft Skills e intendendo queste ultime come competenze relazionali (emotive, comunicative, inerenti la postura, il sapersi vendere e proporre, il saper essere leader, dunque inerenti la mentalità e l’ideologia). Non mi sarei però aspettato che, così in fretta, nei luoghi deputati alla formazione pubblica, il termine “competenze” (le famose “otto competenze” europee) sarebbe stato rimpiazzato dalla parola magica Skills che ne è, a un tempo, la banalizzazione e l’adempimento.
A favore o contro le competenze (e sul modo di intendere un’eventuale “competenza interpretativa” e letteraria), come si sa, si è sviluppata in questi anni a scuola (a esempio, nella sezione didattica dell’ADI) una discussione complessa: un dibattito tuttavia che ora sembra destinato all’obsolescenza perché, – più o meno con la medesima rapacità con cui Bonomi ha ottenuto di ripristinare dopo la debole parentesi di Welfare pandemico, la libertà di licenziare, – la governance delle Università comincia a parlare diffusamente di Skills. Non si tratta, si badi, della semplice traduzione anglofila del termine “competenze” ma di una sua curvatura iperaziendalista. Delle “otto competenze” promosse dalle Raccomandazioni del Parlamento europeo, l’egemonia delle Skills punta, a ben guardare, a promuoverne una sola: la settima (la cosiddetta “competenza imprenditoriale”). Le Soft Skills esaltano infatti le capacità relative “alle attitudini, agli stili di comunicazione e alle doti empatiche ed espressive” necessarie a “una carriera di successo”: il Problem Solving, il Lateral Thinking, il Team Management. Per dirla in altri termini, un ottuso e disinvolto mix di psicologismo comportamentista d’accatto e di ideologia panaziendale. Il tritacarne linguistico non risparmia nemmeno il concetto-termine di “pensiero critico” che, privato di ogni tradizionale nesso con la critica sociale, è risemantizzato come la Soft Skill che più delle altre pertiene alla “creatività” e alla capacità d’innovazione.
Annusando l’aria che tira, credo che il prossimo passo sarà quello di additare ai docenti, mail dopo mail, con la medesima protervia quale ambita Soft Skill il modello supremo del TED (Technology Entertainment Design): palco, disco rosso e megaschermo, lezione performativa ad alto grado spettacolare entro la retorica discorsiva della persuasione liberale. Una piattaforma digitale metterà in rete, per migliaia di studenti, queste TED talks accademiche (un tempo chiamate “lezioni”) secondo un format nato nella Silicon Valley per diffondere “ideas worth spreading”, come: “superare le sfide”, “costruire l’autostima”, “pensare laterale”, “valorizzare resilienza e vulnerabilità”, ecc.
Così, a furia di vedere allungarsi ogni giorno il brodo anglofilo delle innovazioni didattiche iperaziendali e postpandemiche finisco per confondere, e certo a causa del mio cattivo inglese, il termine Skill con Skilly, per i britannici una pappa molto liquida, un porridge vegetale annacquato, una brodaglia per tutti, insomma.
E, del resto, il capitalismo odierno non è solo una forma economica: è un “ordine sociale istituzionalizzato” per tutti che, come l’ordine feudale, implica una sola forma di vita, oggi incentrata sul dogma dell’efficienza e della crescita, una struttura di tutte le relazioni, compresi i nomi dati alle cose. Se i docenti a scuola e all’università avessero ancora una funzione, anziché inchinarsi alla inevitabilità delle Skills dovrebbero viceversa lavorare con gli studenti a demistificare il tabù culturale che le presuppone. Dunque, a «trasformare il nutrimento delle persone, la salvaguardia della natura e l’autogoverno democratico in priorità sociali massime, che battono efficienza e crescita». (Nancy Fraser, Cosa vuol dire Socialismo nel XXI secolo? Castelvecchi, 2020).
agbiuso
Fare scienza anche in italiano
di Nuccio Ordine
Roars, 25.1.2021
Nature ha lanciato in ottobre «Nature Italy» in versione bilingue (inglese/italiano). Si tratta del primo esperimento europeo di una versione in cui, finalmente, anche la lingua nazionale assume un ruolo di primo piano. Questa iniziativa assume un valore simbolico straordinario in un momento in cui le lingue nazionali sono state completamente sostituite da un inglese globalizzato, unica forma di comunicazione universale. È uno scandalo che ormai bandi e progetti di ricerca nazionali, congressi e seminari, fino all’estremo utilitarismo di alcune università che propongono insegnamenti solo in inglese per acquisire maggiori punteggi nelle valutazioni, siano sottoposti alla dittatura di un pericoloso monolinguismo. Perseverando su questa strada non solo si impoveriscono le lingue nazionali (la scienza, con le sue veloci evoluzioni, ha sempre bisogno di coniare nuovi vocaboli), ma si finirà anche per impoverire la qualità stessa del linguaggio scientifico. Studiamo bene l’inglese, per carità. Ma continuiamo a favorire lo sviluppo della scienza, degli altri saperi in generale e delle stesse lingue pensando e redigendo saggi ognuno nella propria lingua. La vera lingua dell’Europa, aveva genialmente affermato Umberto Eco, è la traduzione.
La prestigiosa rivista scientifica Nature, la più importante al mondo assieme a Science, ha lanciato in ottobre «Nature Italy» in versione bilingue (inglese/italiano). Diretta da Nicola Nosengo, si tratta del primo esperimento europeo di una versione in cui, finalmente, anche la lingua nazionale assume un ruolo di primo piano. Una scelta significativa, se si pensa che il gruppo «Nature» ha ben centocinquant’anni di storia alle spalle e una consolidata posizione apicale nella comunità scientifica internazionale.
Al di là degli stimoli che potranno venire per qualificare ancora di più il dibattito sulla scienza e la sua divulgazione nel nostro Paese, questa iniziativa assume un valore simbolico straordinario in un momento in cui le lingue nazionali sono state completamente sostituite da un inglese globalizzato, unica forma di comunicazione universale. È uno scandalo che ormai bandi e progetti di ricerca nazionali, congressi e seminari, fino all’estremo utilitarismo di alcune università che propongono insegnamenti solo in inglese per acquisire maggiori punteggi nelle valutazioni, siano sottoposti alla dittatura di un pericoloso monolinguismo.
Ora persino i PRIN (finanziati e banditi dal Ministero dell’Università e della Ricerca) considerano accessoria la versione italiana e obbligatoria quella in inglese (su questa autolesionistica decisione è recentemente intervenuto il Presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, con una lettera di protesta indirizzata al ministro Gaetano Manfredi).
Tra le varie sette che si battono contro il volgare, Dante ne segnala una in particolare – la citazione è opportunamente riproposta nel sito dell’Accademia della Crusca – i cui argomenti sono animati da «cupiditate di vanagloria»: «Sono molti che per ritrarre cose poste in altrui lingua e commendare [lodare] quella, credono più essere ammirati che ritraendo quelle de la sua. E sanza dubbio non è sanza loda d’ingegno apprendere bene la lingua strana [straniera]; ma biasimevole è commendare quella oltre a la verità, per farsi glorioso di tale acquisto» (Convivio, I, XI, 15). Già all’epoca di Dante, insomma, circolava l’erronea convinzione che parlare in un’altra lingua possa renderci degni di maggiore ammirazione.
Perseverando su questa strada (come ha spiegato persuasivamente la scienziata Maria Luisa Villa in L’inglese non basta) non solo si impoveriscono le lingue nazionali (la scienza, con le sue veloci evoluzioni, ha sempre bisogno di coniare nuovi vocaboli), ma si finirà anche per impoverire la qualità stessa del linguaggio scientifico. Gli studiosi non di madrelingua, pur esprimendosi in un inglese corretto, non riusciranno (tranne in rari casi) a manifestare il loro pensiero con quella profondità e ricchezza che solo la propria lingua può offrire. Einstein aveva sottolineato – con una brillante battuta: «Nessun matematico pensa per formule» – l’importanza delle lingue “naturali” quando bisogna spiegare concetti e idee. Studiamo bene l’inglese, per carità. Ma continuiamo a favorire lo sviluppo della scienza, degli altri saperi in generale e delle stesse lingue pensando e redigendo saggi ognuno nella propria. La vera lingua dell’Europa, aveva genialmente affermato Umberto Eco, è la traduzione.
agbiuso
Segnalo una Lettera aperta dal titolo Cattive notizie nell’anno di Dante: l’italiano negletto del PRIN, inviata dall’Accdemia della Crusca al ministro dell’Università Gaetano Manfredi.
È chiaro che le burocratiche e gravissime decisioni denunciate da Claudio Marazzini sono segno di un colonialismo culturale il cui esito è la riduzione dell’italiano a lingua d’uso quotidiano e non di cultura e di ricerca.
Un vero e proprio cupio dissolvi attuato da ministri, politici, burocrati ed ‘esperti’ ai quali ben si attaglia una rude parola italiana: cialtroni.
agbiuso
Difendiamolo! 🙂
agbiuso
Nell’ambito del Seminario CRES che si terrà mercoledì 14.11.2018 alle 15.00 nell’Aula Zorzi B, Palazzo Zorzi Polfranceschi, Lungadige Porta Vittoria, 17, Dipartimento di Culture e Civiltà, Università degli Studi di Verona, Dario Generali terrà una relazione su La comunicazione scientifica nell’epistolario di Diacinto Cestoni.
agbiuso
Segnalo l’intervista di Rosario Gullotto a Dario Generali sulla questione della lingua nella scuola e nell’università italiane, uscita su LiveUnict, 16.5.2018
Dario Generali al DISUM parla dell’italiano: “La qualità dei nostri laureati messa a rischio dalle ultime riforme”
Pasquale
Non ho altro da dire che sono lì con voi. Dovesse servire vi manderei un saluto pubblico. Abbracci Psq.
agbiuso
Grazie, Pasquale! Con la tua opera narrativa mostri e confermi quale sia la potenza del nostro idioma millenario.