Lo chiamavano Jeeg Robot
di Gabriele Mainetti
Italia, 2015
Con: Claudio Santamaria (Enzo), Luca Marinelli (Zingaro), Ilenia Pastorelli (Alessia), Antonia Trupo (Nunzia)
Trailer del film
Enzo fugge dai poliziotti tra i vicoli di Roma. Si nasconde nel Tevere ma uno dei bidoni sui quali poggia si rompe e lui vi precipita dentro. Quando ne riemerge è sporco di una sostanza viscida, nera. A poco a poco si accorge di aver acquisito una forza fisica davvero fuori dell’ordinario. La dovrà utilizzare per difendere Alessia -la sua vicina fragile e bambina, che pensa di vivere nel mondo dei cartoni animati giapponesi- dalle insidie di un gruppo di criminali guidati dallo Zingaro. Alessia gli ripete di continuo che lui è il supereroe Jeeg Robot e la sua missione è salvare l’umanità.
Una favola che ripete l’antico scontro tra il bene e il male ma nella quale per fortuna il ‘buono’ è un piccolo bandito dalla vita squallidissima, che si muove nel mondo con uno sguardo spento, malinconico e sperduto. I cattivi sono davvero cattivi, specialmente lo Zingaro, un autentico sadico. I poliziotti sono ambigui e su tutto domina il bisogno mediatico di farsi conoscere, di diventare ‘famosi’ con la televisione, con i video, con youtube.
Lo chiamavano Jeeg Robot deve gran parte della sua efficacia a Claudio Santamaria e a Luca Marinelli. I due attori, infatti, riescono a dare plausibilità a una storia così lontana dal tessuto reale dei giorni. Come sempre, lo stile è il film. E qui lo stile non è banale.
2 commenti
Riccardo Montone
Gentile professor Biuso,
ho visto “Lo chiamavano Jeeg Robot”: è un trionfo di movimenti interni alle inquadrature, di trovate ironiche e invenzioni visive, un tour de force di montaggio creativo e fotografia ispirata (per non dire di effetti digitali a costo contenuto), tutto ciò che serve per raccontare un mito senza crederci troppo e divertendosi molto. La sua recensione è, come sempre, sintetica e precisa. Concordo con lei sulle note della “dieta mediatica” di cui hanno bisogno (quasi) tutti, una necessità quasi fisiologica. D’altra parte lo stesso Türcke in “La società eccitata” scrive che «se la réclame diventa l’agire comunicativo per eccellezza, essa equivale allora alla presenza sociale. Chi non fa pubblicità, non comunica, è come un’emittente spenta: praticamente non esiste». Questo film lo mette in evidenza con diverse scene.
PS. Recentemente ho scritto l’analisi di un nuovo film diretto da Ciro Guerra. Per un confronto: https://rivistagradozero.wordpress.com/2016/09/30/el-abrazo-de-la-serpiente-le-buone-cause-del-cinema-di-ciro-guerra/
Certo di una sua cortese risposta,
Le porgo cordiali saluti.
Riccardo
agbiuso
Gentile Riccardo, la ringrazio molto per le sue parole e la condivisione. Mi fa molto piacere che le analisi di Türcke risuonino spesso nei suoi discorsi. Evidentemente questo studioso è riuscito a cogliere elementi profondi del nostro vivere attuale.
Lei ha il merito di segnalarmi autori e opere che non conosco. Tra questi, Ciro Guerra e l’interessantissimo film da lei analizzato. La recensione a El abrazo de la serpiente mi è sembrata la più riuscita tra le sue che ho letto sino a ora. Complimenti.