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Miró. La materia felice

Miró. La materia felice

Joan Miró. La forza della materia
Museo delle Culture – Milano
Sino all’11 settembre 2016

«Bisogna avere il massimo rispetto per la materia. È lei il punto di partenza. È lei che detta l’opera».
È il benvenuto di Miró a una mostra fatta di donne, uccelli, costellazioni. Fatta di un gesto assolutamente libero e insieme rigoroso. Una pittura ‘infinita’ nel senso in cui lo sono le lingue, capace quindi di esprimere senza fine concetti ed esperienze mediante il diverso assemblaggio degli stessi segni. Un’arte che ha sconfitto l’angoscia, un’arte felice. È anche questo il significato del cromatismo di Miró. Il segno nero che percorre i suoi quadri emerge ed è generato dal colore. E al colore dà senso. In Donna nella notte (1973), l’artista comincia da una macchia blu. Poi utilizza il nero per dividere il quadro in tre aree che colora di rosso e di giallo (oltre che di nero). Al blu/occhio iniziale si aggiungono tre capelli, la stella e un punto viola che è un pianeta, un corpo celeste. Infine dipinge le gambe. Il risultato è potente, plastico, archetipico.
La materia di un quadro è anche il suo supporto, al quale Mirò dedica sempre grande attenzione. I segni sono tracciati su carta, tela, legno. Le sculture sono fatte di oggetti sparsi e casuali, che poi l’artista unifica nella forma del bronzo e del legno. Con Donna e uccello del 1967 Miró introduce il colore nella scultura, che diventa totem, speranza, timore, potenza. Sculture arcaiche e futuriste, che enfatizzano il corpo umano, in particolare i piedi, poiché –si chiede l’artista- «non è attraverso il piede che l’uomo entra in contatto con la terra? ».
Nelle ultime opere la semplicità, il rigore, la nettezza aumentano. Della forma è rimasto l’essenziale. Della materia è rimasta la poesia. Questo Miró voleva: «Che la mia opera sia come una poesia musicata da un pittore. Il pittore lavora come il poeta: prima viene la parola, poi il pensiero». E voleva anche che l’opera andasse al di là della sua persona, del nome, dell’individuo. Che fosse collettiva e universale, come quelle dei maestri antichi, che tanto ammirava.
«L’inizio è qualcosa di immediato. È la materia a decidere». Un mondo di bellezza materica, colta e infantile, questo è il mondo di Joan Miró.

1 commento

  • fausta squatriti

    Agosto 4, 2016

    Sulla freschezza del segno e del colore di Mirò, non si può eccepire, è la sua più grande qualità. Sull’uso della materia però, mi apre che l’artista abbia trasferito il valore del colore da lui creato direttamente sulla tela, o sulla carta, alla ceramica, adattandolo il colore al supporto, perdendo, ovvio, l’impatto principale, che è l’immediatezza.
    Si fa presto a dire colore, certo, tutto è colore, anche il nero e il bianco. Ogni materia ha il suo colore, e poi ci sono quelli che si aggiungono alla materia, usata come supporto.
    La linea nera nell’opera di superficie di Mirò, designa lo spazio, all’interno e al di fuori del quale si collocano i – pianeti – una macchia rossa, una stellina stilizzata, se qualcuno non avesse capito che siamo nello spazio del firmamento, ma la stellina è disegnata come un asterisco, e poi ci sono le vaste aree irregolari del blu, che sta anch’esso per spazio celeste. Il tutto, senza pathos, a vantaggio dell’allegria, tratto della psiche umana, assai raramente di primo piano nell’arte, tanto meno in quella moderna, dove però, tutto è lecito, anche l’allegria di Mirò, che gli darà fama e consenso di pubblico. Del suo breve periodo di appartenenza al surrealismo, durante il quale ha creato, a mio parere, i suoi più interessanti lavori, non si è salvato nulla, ma il suo tratto nero sinuoso e ampio, pieno di energia, nei suoi dipinti migliori, ha insegnato un po’ a tutti gli informali, e questo fa si lui un maestro.

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