di Alejandro Jodorowsky
(La montaña sagrada)
Messico-USA, 1973
Un percorso di iniziazione dalla pianura politica e sociale alla montagna splendente e solitaria. La ricerca dei nove immortali che vi abitano è una foresta di simboli attinti dalle più diverse tradizioni religiose -compresa la cristologica-, magiche, astrologiche, esoteriche, alchemiche. Paure e potenze ancestrali si coniugano a un erotismo quasi meccanico e freddo; l’animalità intride ogni scena; i corpi vengono dipinti, sventrati, crocifissi, imbalsamati, ibridati; le istituzioni ecclesiali rappresentano la decadenza di ogni autentico sentimento religioso e sono punite con una costante irrisione; il potere è pura e insensata violenza; l’individuo un frammento del mondo.
Lo stile underground tipico dei Settanta appesantisce la già strabordante simbologia di colori, di costumi, di sfondi, nei quali prevalgono spesso il grottesco e l’orrorifico. L’invenzione espressiva è però ammirevole e probabilmente frutto di sostanze allucinogene. Il surrealismo diventa psicomagia e Jodorowsky -che del film è anche interprete, compositore, sceneggiatore- sembra porsi tra i Buñuel-Dalí di Un chien andalou e il Cronenberg di Videodrome e Naked Lunch. Lo scarto rispetto a ogni genere codificato emerge nell’imprevedibile chiusa, dove la finzione è svelata e il percorso deve ricominciare. Come sempre.
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