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Connettoma

Mente & cervello 118 – ottobre 2014

Etienne_saint-amant_Autoportrait_connettomaIl cervellomente ci costa molto in termini di energia. Nell’infanzia assorbe fino al 66% delle risorse e il 43% dell’introito calorico quotidiano (anche da adulti la percentuale rimane assai alta -tra il 20 e il25%- rispetto a qualunque altro organo). E tuttavia non ricordiamo nulla dei primi anni di vita. Non solo: in ogni fase dell’esistenza i ricordi vengono continuamente trasformati. Questo accade perché è l’intero cervello che ricorda e che dimentica, non soltanto l’ippocampo, come si pensava sino a tempi recenti. L’ippocampo infatti svolge anche altre funzioni. La specializzazione cerebrale è sempre relativa e «dobbiamo fare molta attenzione a identificare i concetti mentali, come la memoria, con specifiche strutture neuronali, come l’ippocampo. […] Perché il cervello non è un atlante della mente» (F. de Brigard, p. 101). Bellissime anche artisticamente sono le immagini di questo nostro organo che è possibile ottenere con le più avanzate tecnologie che puntano a rendere visibile il connettoma, l’insieme delle connessioni neurali del cervello umano. Senza però dimenticare che tali immagini non sono il cervellomente, «non restituiscono i collegamenti anatomici reali, ma sono ricavate statisticamente» (I. Bareither, 87).
Il nostro cervellomente è capace di qualcosa che nessun software è in grado di fare, neppure i sofisticatissimi e fondamentali programmi che aiutano i piloti di aereo nel loro lavoro. Ai dati che elabora, infatti, «il computer non è in grado di dare un significato» mentre gli umani continuano a pensare «anche in presenza di dati ambigui e difficilmente riconoscibili. Il computer è ineguagliabile nella velocità di confronto dei dati senza interpretazione e in quella del calcolo, ma l’uomo si dimostra enormemente superiore nell’esplorazione della realtà circostante, tramite una serie irrazionale e a volte casuale di associazioni che danno significato al mondo esterno» (C. Dellonte, 55-56).
Significati e forme sono i veri contenuti del cervellomente, quelli che la Gestalttheorie –la psicologia della forma- indaga e spiega. Uno degli esempi più efficaci della verità della Gestalt è la pareidolia -dal greco parà (simile) e eidolon (immagine)-, la nostra irresistibile tendenza a trovare e a vedere dappertutto dei volti umani. Per l’Homo sapiens infatti il riconoscimento di un volto amichevole oppure ostile è stata ed è questione di sopravvivenza. Lo mostrano i volti di Mooney ma ancor più lo mostrano i volti che identifichiamo nelle nuvole, nelle montagne, negli alberi, in oggetti e anche in forme semplicissime come quella che vedete qui sotto:

 :- )

Un altro esempio è la cosiddetta metereopatia. Le condizioni meteorologiche, infatti, «agiscono solo in maniera marginale sul nostro umore. Il malessere nasce piuttosto dalla convinzione soggettiva che questo legame esista davvero» (A. Hofmann, 60). Fu un filosofo, ancor prima di tanti psicologi, a sintetizzare in modo icastico la struttura di questo fenomeno: «Le conseguenze del tempo su di noi sono invece una questione di atteggiamento. A quanto pare, aveva ragione anche il filosofo francese Blaise Pascal, che scriveva: ‘La nebbia e il sole sono dentro di me’» (Id., 63)
Non vediamo enti, vediamo significati. Questo è il lavoro del dispositivo semantico che chiamiamo cervello.

2 commenti

  • Federico

    Novembre 6, 2014

    “Un volto non esiste se non nello sguardo di chi lo fissa; una forma disegnata su un foglio è tale – ha un valore semantico al di là della materia spalmata sulla carta – per chi la osserva […]”

    A.G.Biuso, Dispositivi Semantici, Villaggio Maori, Catania, 2008, pag.57

  • diego

    Novembre 5, 2014

    Davvero un argomento di grande interesse e fascino. Mi sovviene una conferenza di Boncinelli al Festival della Mente in cui rivela come la memoria sia assolutamente distribuita nel cervello, addirittura presente in ogni sua parte, e attraverso un meccanismo biologico ancora assolutamente ignoto. Del resto, caro Alberto, già nel tuo «Cyborgsofia» si mostra l’inadeguatezza della metafora mente/computer, per la radicale diversità fra i due (in primis l’assenza del corpo come elemento costitutivo del corpomente). Probabilmente l’umana tendenza a «vedere» volti è presente anche in altri animali (nei pulcini per esempio), ma sicuramente nell’uomo si dispiega con ampiezza inegualiabile. C’è un bel passo de «la lingua salvata» dove si racconta delle fantasticherie del bimbo che osserva i disegni della tappezzeria, vedendovi volti, bocche, addirittura voci.

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