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Sul terrorismo statunitense

Sul terrorismo statunitense

Lo scorso 10 agosto ho scritto che «l’Iraq era una società laica e multietnica. La stolta guerra degli USA e dei loro servi lo ha consegnato agli islamisti più fanatici».
Ieri mi sono trovato a leggere, tra le molte altre, queste parole:

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1) Innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli USA non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà.
Hanno dichiarato guerra al terrorismo e il risultato che hanno ottenuto è stato il moltiplicarsi del fenomeno stesso. A Roma, nel 2003, manifestammo contro l’intervento militare italiano in Iraq. Uno degli slogan era “se uccidi un terrorista ne nascono altri 100”. Siamo stati profeti anche se non ci voleva un genio per capirlo. Pensare di fermare la guerra in atto in Iraq armando i curdi è una follia che non credo che una persona intelligente come il Ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare la poltrona di Ministro degli esteri della Commissione europea, l’hanno spinta ad avallare le posizioni di Obama e degli USA ormai autoproclamatisi, in barba al diritto internazionale, poliziotti del mondo.Loro, proprio loro, che hanno sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano oltre il 50% delle risorse mondiali.
Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan con il pretesto di distruggere le “cellule del terrore” ma che hanno soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata USA del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25.000 contractors in Iraq, uomini e donne armati di 24ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una meraviglia per le tasche di qualcuno.

2) L’Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la UE promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell’ALBA, della Lega araba, l’Iran, inserito stupidamente da Bush nell’asse del male e soprattutto la Russia un attore fondamentale che l’UE intende delegittimare andando contro i propri interessi per obbedire a Washington e sottoscrivere il TTIP il prima possibile. Essere alleati degli USA non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin nell’abbattimento dell’aereo malese. Non dovrebbe bastare la parola di Washington, soprattuto alla luce delle menzogne dette sull’Iraq.
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È soltanto un brano dell’ampia analisi che Alessandro di Battista dedica alla situazione geopolitica contemporanea. Analisi che chiede ciò che ormai è improrogabile: uscire dal Novecento e dalle sue guerre, a partire da quella del 1914-1918.
Ho fatto proprio bene a votare, alle ultime elezioni politiche italiane, per queste persone.

[p.s. Ancora una volta il sistema implacabile dei media -della «Società dello spettacolo»- ha ridotto alla misura della propria inevitabile superficialità un intervento storico-politico lungo, articolato e complesso. Abbandonate le varie Pravde, cari amici, e cercate, là dove è possibile, di andare alle fonti dei fatti e delle parole].

[Photo by Chandler Cruttenden on Unsplash]

18 commenti

  • agbiuso

    Dicembre 11, 2019

    Il governo Usa ha mentito sulla guerra in Afghanistan per anni

    Secondo un lungo dossier ottenuto dal Washington Post, la Casa Bianca e l’esercito hanno manipolato le informazioni sullo stato del conflitto. I testimoni: «Non sapevamo cosa stavamo facendo».
    Lettera 43 – 10 Dicembre 2019

    I vertici dell’amministrazione Usa, da George W. Bush in poi, hanno più volte ingannato nel corso degli anni l’opinione pubblica americana sulla situazione in Afghanistan, per nascondere i fallimenti di una guerra che oramai dura da 20 anni e a cui il presidente Donald Trump sta tentando di porre fine con un accordo con i talebani.

    DA DOVE PARTE IL RAPPORTO

    La notizia esplosiva è uscita sulle pagine del Washington Post che ha condotto un’inchiesta sulla base di oltre duemila pagine di documenti ottenuti grazie al Freedom Of Information Act. In realtà il quotidiano aveva raccolto le informazioni già negli anni precedenti ma solo con l’intervento di un tribunale è stato in grado di pubblicare. Le carte che fanno parte di un rapporto del 2014 intitolato Lessons Learned e in cui si esaminano le origini degli insuccessi del coinvolgimento Usa nel Paese, iniziato all’indomani degli attentati dell’11 settembre 2001. Uno studio, costato 11 milioni di dollari, condotto attraverso oltre 600 interviste, comprese quelle a diversi responsabili ed ex responsabili della Nato e del governo afghano che «aveva l’obiettivo di individuare le fallimentari misure applicate in Afghanistan affinché gli Stati Uniti non commettessero gli stessi errori la prossima volta che avrebbero invaso un paese o cercato di ricostruirne uno».

    TESTIMONIANZE MANIPOLATE PER MOSTRARE CHE SI STAVA VICENDO LA GUERRA

    «Dalle testimonianze», ha scritto il Wp, «emerge come era comune nei quartier generali militari a Kabul, ma anche alla Casa Bianca, alterare e manipolare le statistiche per far apparire che gli Usa stavano vincendo la guerra, mentre non era così». «Queste carte», ha messo in luce l’inchiesta, «assomigliano molto ai famosi Pentagon Papers sulla storia segreta della guerra del Vietnam». Bob Crowley, colonnello del colonnello dell’esercito in pensione che lavorò come consulente nel Paese tra il 2013 e 2014 ha raccontato che si trovavano modi migliori per presentare il miglior quadro possibile.

    LA MANCATA CONOSCENZA DELL’AFGHANISTAN

    Tra i documenti esaminati anche alcuni memo inediti che risalgono al periodo tra il 2001 e 2006 dell’ex segretario alla Difesa Donald Rumsfeld. Il generale Douglas Lute, che sotto le amministrazioni Bush e Obama servì come war czar dell’Afghanistan alla Casa Bianca, è arrivato a dichiarare «non sapevamo quello che stavamo facendo». «Cosa stiamo cercando di fare qui? Non avevamo la più pallida idea di ciò che stavamo intraprendendo», aveva detto in un colloquio del 20 febbraio 2015. Un altro funzionato ha messo in luce come Washington fosse convinta di poter instaurare un forte governo centrale a Kabul, ma che la pretesa non teneva conto del fatto che il Paese, in tutta la sua storia, non aveva mai auto una forte autorità centrale: «La cornice per creare un simile governo è di almeno 100 anni, ed è un tempo che noi non abbiamo».

    I NUOVI COLLOQUI COI TALEBANI

    Ufficialmente la guerra è iniziata nell’ottobre del 2001, poco più di un mese dopo gli attacchi contro il Word Trade Center organizzati da al Qaeda, l’organizzazione creata e diretta all’ora da Osama Bin Laden e che aveva trovato riparto presso i talebani. Da allora il conflitto si è protratto a fasi alterne entrando quest’anno nel 18esimo anno di vita. Da allora i costi umani sono stati altissimi, così come quelli economici stimati intorno a 930 miliardi di dollari. Intanto il 4 dicembre il dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che l’inviato Usa per l’Afghanistan Zalmay Khalilzad, attualmente a Kabul, tornerà in Qatar per «riprendere i colloqui con i talebani per discutere le tappe che possono portare a negoziati interafghani e ad una soluzione pacifica della guerra, in particolare ad una riduzione della violenza che porti ad un cessate il fuoco».

  • agbiuso

    Marzo 19, 2017

    La Turchia e Erdogan accusano di terrorismo (e nazismo) Merkel e la Germania, altri Paesi europei e gli Stati Uniti d’America. Chi di slogan ferisce, di slogan perisce.

    TELEVIDEO
    Erdogan: Merkel usa metodi nazisti
    19/03/2017 17:17

    17.17 Nuova tensione tra Ankara e Berlino. Il presidente Erdogan ha accusato la cancelliera Merkel di ricorrere a “metodi nazisti” riguardo al divieto di tenere comizi in Germania a favore del sì al prossimo referendum costituzionale turco.”Stai usando metodi nazisti contro i miei concittadini turchi in Germania e contro i miei ministri”, ha detto. Poi l’ha accusata di sostenere i terroristi, riferendosi al caso del giornalista turco-tedesco, Deniz Yucel:”Grazie a Dio è stato arrestato e tu stai chiedendo indietro un agente terrorista”.

  • agbiuso

    Ottobre 16, 2015

    E i marines americani girano la testa da un’altra parte…

    “Siamo in Afghanistan per portare democrazia e libertà.” Questa è la litania di tutti gli armati – italiani compresi – che sono in quel Paese.
    Gli ufficiali afgani – ma non solo – abusano di minori, attorno ai dieci anni, come pratica usuale. Ed i marines americani “che li sentivano urlare di notte” vicino alle loro postazioni, non potevano fare nulla. Non era nel loro contratto di intervento. “La pratica si chiama Bazi Bacha” che significa prendere piacere dai ragazzini. (dal sito de La Repubblica).
    Una forma di democrazia afgana, una pratica comune che i Talebani avevano abolito. Chi arriva primo alla gara democratica nello schifo totale? Afgani violentatori, ma nella cultura del Paese, i marines americani che girano la testa da un’altra apre, i Talebani?

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    Tiziano Tussi su Gramsci oggi, ottobre 2015, p. 2

  • agbiuso

    Settembre 17, 2014

    Ancora una volta la Costituzione -che proibisce all’Italia di entrare in guerra se non viene attaccata- viene calpestata. Invece di sostenere la spesa sociale, si distrugge denaro pubblico nella guerre volute dagli Stati Uniti d’America.
    Concordo con questo intervento in aula di Di Battista ma non con il suo conclusivo riferimento alla situazione dei due fucilieri italiani in India. i quali sono soltanto degli assassini che l’India ha ragione a voler processare.

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    Oggi in aula la proroga del Decreto Missioni. Il M5S interviene in Aula con Alessandro Di Battista. Il suo intervento:

    “Vi e’ mai capitato di domandarvi: “come ho fatto a spendere 50 euro che non ho comprato nulla?”. Ce li avevo in tasca stamattina e sono spariti. Capita a tutti noi e tutti noi sappiamo darci una sola risposta: “li ho buttati”. Bene, questo fa il governo Renzi. Butta i nostri soldi.
    Il ministro Madia sostiene che non ci sono soldi per sbloccare gli stipendi degli insegnanti? Le scuole crollano? I genitori ai loro figli un tempo davano la merenda, oggi sono costretti a dare loro anche la carta igienica? I posti letto negli ospedali sono inesistenti anche se hai un parente malato di cancro che ha bisogno immediatamente di una terapia? Cosa interessa al governo?
    Meglio spendere 400 milioni di euro per la proroga delle missioni internazionali grazie a questo decreto che voterete oggi, 400 milioni di euro.
    Andiamo per gradi. Cos’e’ il decreto missioni? Il decreto missioni e’ un decreto che serve a destinare altri soldi alle missioni internazionali che vedono coinvolta l’Italia, missioni giuste e utili come quella in Libano, missioni di guerra come quella in Afghanistan. La guerra in Afghanistan è la guerra piu’ lunga dalla II guerra mondiale in poi, e’ costata all’Italia 53 morti tra i nostri soldati e oltre 5 miliardi di euro. Sapete quanti sono 5 miliardi di euro? Per farvi un’idea, considerate che qualche mese fa il governo Renzi non e’ riuscito a trovare 48 milioni di euro, milioni non miliardi, per sostenere gli alluvionati della Sardegna. Pero’ la casta ha speso 5 miliardi di euro in Afghanistan per una guerra in cui non siamo mai stati coinvolti direttamente: ci hanno mai attaccato gli Afghani? Sapete come prima Berlusconi, poi Prodi, poi di nuovo Berlusconi, poi Monti, Letta e poi il governo attuale ci costringono a restare in guerra in Afghanistan? Semplice.
    Con gli inganni delle parole, con le truffe semantiche…. cambiano il nome alle cose per farcele digerire. Perché se le chiamassero con il loro nome, non le accetteremmo mai. E cosi’, magicamente, la guerra in afghanistan diventa “missione di pace”, i bombardieri F35 sistemi di difesa, l’IMU diventa TASI, gli inceneritori termovalorizzatori, le mazzette si trasformano in regalie da parte degli imprenditori. E Berlusconi diventa Renzi…. cambiano il nome ma sono la stessa identica cosa. Questo decreto costa al contribuente italiano oltre 400 milioni di euro.
    Il governo Renzi spende 400 milioni di euro per rifinanziare missioni internazionali da oggi al 31 dicembre 2014.
    Ma come per aumentare di pochi euro gli stipendi delle forze dell’ordine i soldi non ci sono ma per le guerre sì? Pensate che 400 milioni di euro sono la somma che il governo sta cercando per finanziare, nel 2015, una prima fase di sblocco dei salari delle forze di sicurezza e dei militari. Secondo voi oggi dove andrebbero investiti i nostri soldi? In Afghanistan o qui in Italia per far sì che le forze di sicurezza e soccorso possano lavorare in condizioni dignitose? C’e’ sicurezza in Italia? Voi cittadini vi sentite tutelati?
    Il debito pubblico ha raggiunto una cifra mostruosa, oltre 2000 miliardi di euro. Il dramma e’ che questo debito che ci inchioderà fino a che non torneremo un Paese sovrano dal punto di vista monetario, non e’ cresciuto a causa di un grande investimento sulla scuola pubblica, sul lavoro o sulla sanita’. NO!!!!
    Il debito è cresciuto a causa della corruzione e di piccole “piccole per noi comuni mortali” spese folli come questi 333.000€ che questo decreto autorizza per tradurre un manuale di utilizzo di alcuni veicoli che abbiamo regalato alla Repubblica di Gibuti. 333.000 per tradurre un manuale? A parte il fatto che se proprio dovevate regalare dei mezzi a Gibuti meglio regalare 3 ambulanze, ma vi sembra accettabile questa cifra? Ma a chi l’avete fatto tradurre? A Molière? A Proust? Avete riportato in vita Victor Hugo per fargli tradurre i manuali per Gibuti? “Si tratta di manuali tecnici” ci ha risposto il governo in commissione. A quel punto il mio collega Bernini ha scoperto che a Gibuti quei mezzi li avevano già utilizzati senza i manuali tecnici che gli dobbiamo ancora mandare dopo averli fatti tradurre. La risposta del sottosegretario alla difesa Rossi e’ stata straordinaria: “e’ vero, li hanno già utilizzati, ma i manuali che gli stiamo mandando servono per la manutenzione, non per il funzionamento dei mezzi”. Ci verrebbe da ridere, ma poi pensiamo che questi soldi potrebbero essere investiti per riparare una scuola che cade a pezzi. L’Italia potrebbe essere il Paese più bello del mondo e invece e’ stato violentato e continua ad essere violentato da corrotti, corruttori, traditori di ideali, amici dei lobbisti, mediatori stato-mafia, diversamente berlusconiani o semplici inetti. L’indignazione è forte se pensiamo a due soldati italiani, due fucilieri che hanno comunque obbedito agli ordini ricevuti, trattenuti da due anni in India. Questo e’ uno dei tanti esempi dell’incapacità del governo Renzi di gestire crisi internazionali. Eppure i mezzi diplomatici per riaverli a casa ce il avremmo. Siamo nella NATO, bene perche’ non avete detto ai nostri alleati O CI AIUTATE A RIPORTARE A CASA I MARO’ O CE NE ANDIAMO DOMANI MATTINA DALL’AFGHANISTAN?
    Gli aut-aut li sapete fare solo ai lavoratori dell’ILVA vero? Al personale di Alitalia, agli studenti costretti a pagare tasse universitarie esorbitanti altrimenti non li fate laureare? Mesi fa il presidente Renzi disse: “Fuori da questo palazzo c’e’ una disperazione”. Bene, la disperazione è reale e i suoi slogan tweet gelati e selfie la sviliscono quotidianamente. Tutto questo dimostra la vostra assoluta lontananza dall’unica missione che un parlamento serio dovrebbe finanziare, quella per salvare un Paese che avete distrutto e continuate a distruggere.”

    Alessandro Di Battista, portavoce M5S alla Camera

  • agbiuso

    Settembre 3, 2014

    Condivido per intero questa lucida e preoccupata analisi di Tommaso Di Francesco sul manifesto di oggi

    O l’Europa o la Nato

    «La mag­gio­ranza dei mem­bri della Com­mis­sione Ue non capi­sce nulla di que­stioni mon­diali. Vedi il ten­ta­tivo di far entrare nella Ue l’Ucraina. È mega­lo­ma­nia… hanno posto a Kiev la scelta o Ue o Est…ci vuole una rivolta del Par­la­mento euro­peo con­tro gli euro­crati di Bru­xel­les, così si rischia la terza guerra mon­diale»: (prima di quelle di Ber­go­glio) sono le parole allar­mate dell’ex can­cel­liere tede­sco Sch­midt in un’intervista alla Bild di tre mesi fa che non parla ancora di ingresso esplo­sivo di Kiev. Peri­colo sul quale, con ten­ta­tivo non riu­scito di influen­zare le scelte di Obama che invece rilan­cia il riarmo atlan­tico sulla base del pre­sunto sconfinamento-invasione russa dell’Ucraina, si sono pro­nun­ciati gli ex segre­tari di Stato Usa Kis­sin­ger e Brze­zin­ski e per­fino l’ex capo del Pen­ta­gono dell’amministrazione Obama, Robert Gates che nel suo libro di memo­rie ha scritto: «L’allargamento così rapido della Nato a est è un errore e serve solo ad umi­liare la Rus­sia, fino a pro­vo­care una guerra». Non è ser­vito a nulla a quanto pare.

    Lamen­tano i governi euro­pei che è in gioco l’unità ter­ri­to­riale dell’Ucraina e Fede­rica Moghe­rini, Mrs Pesc in pec­tore davanti al Par­la­mento euro­peo, per farsi per­do­nare di essere con­si­de­rata filo­russa dati gli inte­ressi dell’Eni, ha la fac­cia tosta di accu­sare: «È colpa di Putin». Se gli stava vera­mente a cuore l’unità ter­ri­to­riale dell’Ucraina, per­ché i governi euro­pei insieme alla Nato e agli Usa con tanto di capo della Cia John Bren­nan, sena­tori repub­bli­cani gui­dati da McCain e segre­ta­rio di stato Kerry tutti su quella piazza, hanno ali­men­tato e soste­nuto dalla fine del 2013 fino al mag­gio 2014 la rivolta, spesso vio­lenta e di estrema destra, di Piazza Maj­dan che ha rimesso di fatto in discus­sione l’unità ter­ri­to­riale del Paese. Men­tre l’ambasciatrice Usa man­dava affan… l’Europa. Era colpa di Putin anche la rivolta di piazza Maj­dan? Magari per­ché aveva soc­corso, pronta cassa, le richie­ste di Kiev quando l’Ue se ne lavava le mani in preda alla sua crisi?

    E come dimen­ti­care che quella rivolta è stata nazio­na­li­sta ucraina e anti­russa, non solo anti-Putin, ma con­tra­ria ai diritti delle popo­la­zioni dell’est che ave­vano soste­nuto ed eletto Yanu­ko­vitch — certo cor­rotto, ma non meno dell’attuale Poro­shenko e del pre­mier dimis­sio­na­rio Yatse­nyuk. La rivolta di Maj­dan è stata nazio­na­li­sta anti­russa, con­tro gli inte­ressi poli­tici e sociali delle popo­la­zioni dell’est, di lin­gua russa all’80%, quando non pro­prio russe e comun­que filo­russe, legate alla Rus­sia per appar­te­nenze sto­ri­che, reli­giose e cul­tu­rali e per legame eco­no­mico impre­scin­di­bile e com­ple­men­tare alla pro­pria soprav­vi­venza, tutt’altro che garan­tita dall’associazione delle regioni dell’ovest all’Ue.

    È lì, in quel soste­gno stru­men­tale e ideo­lo­gico, come se fosse un nuovo ’89, dato dall’Occidente euro­peo ed ame­ri­cano che si è con­su­mata l’unità dell’Ucraina che a quel punto si è asso­ciata all’Ue solo a metà.
    Ora accade che il governo di Kiev dimis­sio­nato pochi giorni fa dal pre­si­dente Poro­shenko annunci, di fronte alla pre­sunta inva­sione — è il quarto allarme in due mesi — la richie­sta di ade­sione all’Alleanza atlan­tica. «Il governo ha sot­to­po­sto al par­la­mento un pro­getto di legge per annul­lare lo sta­tus fuori dei bloc­chi dell’Ucraina e tor­nare sulla via dell’adesione alla Nato» ha dichia­rato quasi in fuga il pre­mier uscente, già lea­der di Maj­dan, Yatse­niuk. E subito il segre­ta­rio della Nato Ander Fogh Rasmus­sen, ha ammic­cato: «Ogni paese ha diritto di sce­gliere da sé le pro­prie alleanze». Tanto più che la deci­sione sem­bra andare incon­tro alle ultime parole di Obama che, ormai inca­pace di uscire dal «mili­ta­ri­smo uma­ni­ta­rio» degli Stati uniti, scio­rina per fer­mare l’orso russo (quel Putin che gli ha impe­dito di impe­la­garsi ancora di più nella guerra in Siria) la «nuova» agenda del riarmo ame­ri­cano e Nato nell’Europa dell’est, dalla Polo­nia, ai Paesi bal­tici — andrà in Esto­nia per que­sto domani — e alle finora neu­trali Fin­lan­dia e Svezia.

    Altro che nuova agenda: è la scel­le­rata stra­te­gia della Nato in atto da più di venti anni a par­tire dalle guerre nei Bal­cani, con rela­tiva redi­stri­bu­zione di costi per la difesa sullo scac­chiere euro­peo, tra gli stessi paesi ora alle prese con la lace­rante crisi eco­no­mica. Una stra­te­gia che in que­sti venti anni ha visto l’ingresso di tutti i paesi dell’ex Patto di Var­sa­via nella Nato, con mis­sioni in guerre alleate, a par­tire dall’ex Jugo­sla­via (dove, a spec­chio capo­volto della sto­ria, i raid Nato hanno aiu­tato i ribelli dell’Uck — cri­mi­nali, dice ora l’indagine della stessa com­mis­sione Ue Eulex — ad otte­nere l’indipendenza) e ancora tante basi, strut­ture d’intelligence, siti mis­si­li­stici, ogive nucleari, scudi spa­ziali tutti quanti ai con­fini russi.

    Senza l’allargamento a est della Nato non ci tro­ve­remmo sull’orlo di un con­flitto spa­ven­toso in Ucraina, né ci sarebbe stata la sce­neg­giata arro­gante di una lea­der­ship di oli­gar­chi vol­ta­gab­bana che ha desta­bi­liz­zato l’Ucraina con la vio­lenza della piazza «buona» per­ché sedi­cente filoeu­ro­pea, e che ora cavalca la repres­sione san­gui­nosa della piazza «cat­tiva» per­ché filo­russa. Senza la Nato esi­ste­reb­bero una poli­tica estera e di difesa dell’Ue. Intanto in que­ste ore nell’est ucraino si com­batte, Kiev è all’offensiva. Secondo l’Onu i morti, tanti i civili, in quat­tro mesi sono più di 2.600.

    Se dal ver­tice Nato che si apre domani a Car­diff, in Gal­les, arri­vasse un sì alla richie­sta incen­dia­ria di Kiev e se si avvia, come accade, lo schie­ra­mento di forze mili­tari Nato in dichia­rate eser­ci­ta­zioni anti-Russia o ai con­fini russi, come ha chie­sto l’irresponsabile Came­ron, è l’inizio della fine. Cioè la sepa­ra­zione delle regioni dell’est con l’intervento, sta­volta vero, della Rus­sia nella guerra, a quel punto moti­vata a difen­dere dalle truppe occi­den­tali le popo­la­zioni russo-ucraine, lo sta­tus pro­cla­mato dagli insorti filo-russi ma anche lo stesso ter­ri­to­rio russo. Quando invece è chiaro che l’Ucraina resterà unita fin­ché non appar­terrà ad alcun blocco mili­tare e se ci sarà un tavolo nego­ziale per una fede­ra­liz­za­zione del paese capace di garan­tire l’autonomia sostan­ziale dell’est. È quello che chiede anche Putin quando dichiara: «Devono essere imme­dia­ta­mente avviati nego­ziati sostan­ziali non su que­stioni tec­ni­che, ma sull’organizzazione poli­tica della società e sul sistema sta­tale nel sud-est dell’Ucraina allo scopo di garan­tire incon­di­zio­na­ta­mente gli inte­ressi delle per­sone che vivono lì», ma le sue parole sono tra­dotte in modo pro­pa­gan­di­stico dai media veli­nari: «Voglio uno Stato nell’est».

    È la stessa richie­sta che for­mula, ina­scol­tato, sul Cor­riere della Sera, Ser­gio Romano, tra i pochi ad inten­dersi di Rus­sia. Fede­rale e neu­trale sono le due parole chiave garan­zia di pace anche per l’Ue, e certo non aiuta l’elezione a pre­si­dente dell’Unione del polacco Tusk, lea­der della Polo­nia che vanta un con­ten­zioso sto­rico su una parte della terra ucraina con­si­de­rata ancora «polacca».

    Altri­menti sarà, e non a pez­zetti, la terza guerra mon­diale in piena Europa. E siamo a cento anni fa. È il nuovo che avanza, la «nuova gene­ra­zione» alla guida euro­pea tanto cara a Renzi. Ora la Mrs Pesc Moghe­rini, anche se è stata com­mis­sa­riata da un vice-Pesc tede­sco, ha l’occasione di dimo­strarsi per una volta euro­pea e non schiac­ciata sull’Alleanza atlan­tica e sugli Stati uniti. Qual­cosa ci dice che non saremo ascoltati.

  • agbiuso

    Agosto 27, 2014

    Segnalo un articolo di Fabio Mini su Limes a proposito di Russia, Cina, USA. Ne riporto un brano:

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    Quanto alla politica americana, non solo non è flessibile, ma gli Stati Uniti non avendo mai dovuto confrontarsi con una vera invasione sul proprio territorio, si sono specializzati nella guerra oltremare e non si sono mai curati di sviluppare una capacità di risoluzione delle crisi senza interventi militari. Pur rendendosi conto che tali interventi non sono affatto risolutivi e anzi aggravano i problemi esistenti e ne aggiungono altri, ogni presidente americano non ha mai visto altre vie per mantenere la dignità nazionale se non quella di assecondare la voglia di tutti gli americani di mostrare i muscoli e venire alle mani.

    Ogni presidente americano si è dovuto misurare con la guerra non tanto e non solo da combattere quanto da coltivare come ideologia nazionale. La guerra e le invasioni all’estero sono la «costante geopolitica degli Stati Uniti», come disse Dean Rusk, segretario di Stato sotto Kennedy. Ormai gli americani ci hanno abituato a verificare che ogni balzana idea di guerra viene puntualmente messa in pratica. Ciò che appariva rispetto per l’Ucraina prima dell’accordo Russia-Cina era la volontà degli Stati Uniti di mettere in crisi l’Europa nei suoi rapporti con Mosca, far fallire Gazprom e quindi tutta la Russia, rifornire a caro prezzo il minimo di risorse per non far tracollare l’Europa, assimilare il capitale russo di riserve e di strutture estrattive e di trasporto a prezzo stracciato.

    La crisi ucraina non é stata affatto un movimento spontaneo di piazza e una lotta per la libertà, e nemmeno un colpo di Stato nazifascista, ma una ben organizzata serie di destabilizzazioni alla ricerca di un assetto favorevole agli interessi statunitensi piuttosto che a quelli ucraini.
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    Fonte: La strana coppia Mosca-Pechino unita dall’America

  • agbiuso

    Agosto 27, 2014

    Da questa intervista di Gino Strada emerge in tutta la sua ampiezza il fallimento assoluto della sinistra in Italia -vale a dire il Partito Democratico ma non solo- e in Europa.

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    Isis, Strada: “Nel 2003 sinistra contro la guerra. Ora al governo ha cambiato idea”
    Il Fatto Quotidiano, 27.8.2014

    Una volta che ho deciso di andare ad ammazzare qualcuno, la modalità è secondaria perché sto facendo la più grande cazzata che un essere umano possa fare”. Gino Strada vive e lavora in Sudan, ma è in contatto quotidiano con i medici della sua Emergency che gestiscono ospedali e campi profughi ad Arbat e Choman (nel Kurdistan iracheno), dove sono confluiti migliaia di sfollati in fuga dalle regioni sotto attacco dell’Isis e dalla guerra civile in Siria.

    Che cosa sta succedendo in Medio Oriente?

    Ho vissuto tre anni e mezzo nel kurdistan iracheno. Era il 1996 ed era in corso una guerra civile tra le due fazioni curde: il Pdk di Masoud Barzani (l’attuale presidente del Kurdistan iracheno, ndr) e l’Upk di Jalal Talabani. Quando il Pdk stava per essere sconfitto, chiamò in aiuto i carri armati di Saddam Hussein. E quella era una guerra tra curdi. Quello che intendo è che in quello spicchio di mondo lì chi oggi è un nemico forse tra quattro mesi diventerà un alleato . Guardi quello che sta accadendo con al-Assad in Siria.

    Noi cerchiamo sempre di dividere il mondo in buoni e cattivi.

    Non è semplice. Faccio un altro esempio: nel 2003, prima dell’invasione Usa, andai a parlare con il ministro della Sanità iracheno e con Tareq Aziz (vice primo ministro sotto Saddam, ndr). L’incidenza di tumori e leucemie infantili era aumentata di dieci volte a causa delle armi chimiche e radioattive della guerra con l’Iran e del Golfo del ‘91, ma i medicinali non erano disponibili a causa dell’embargo. Proposi di fare arrivare un aereo 747 carico di anti-tumorali, ma mi disse di no.

    Preferiva usare l’embargo come tema politico contro gli Usa?

    Non ho più voglia di occuparmi delle ragioni degli uni e degli altri. Ciò che conta è che sono morti mezzo milione di bimbi.

    E quindi cosa dovrebbe fare, oggi, l’Occidente?

    Tenere a mente che ogni volta che si decide di combattere una guerra – che significa andare ad ammazzare qualcuno – si peggiorano situazioni spesso già disastrate. Non è bastata l’esperienza delle primavere arabe? Tre anni dopo, cos’è rimasto? In Egitto si condannano a morte i civili a cinquecento alla volta. In Libia c’è una guerra civile di cui non frega più niente a nessuno.

    Ma le immagini che arrivano da Iraq e Siria sono raccapriccianti. Tagliano le gole, e non solo al giornalista americano.

    Non mi illudo che l’Isis sia democratico e liberale, figurati! Ma in questo disastro c’è tutto il Medio Oriente, un’area completamente esplosa. Il punto è che quando uno decide di ammazzare qualcun altro, la modalità è secondaria. C’è chi taglia la gola, chi usa armi chimiche, chi bombarda coi droni: ognuno con le sue armi cerca di fare la pelle a qualcun altro.

    L’Italia cosa dovrebbe fare?

    Se io ragionevolmente credo che tu sia un pazzo scatenato, dal punto di vista della sicurezza del mio Paese sono più sicuro se metto in mano le armi al tuo nemico o se non gliele do? Se vogliamo che tra due anni qualcuno ci faccia un attentato, siamo sulla strada giusta. Il ministro degli Esteri, Federica Mogherini, usa argomenti assurdi per giustificare la decisione di dare quella ferraglia ai curdi.

    L’arsenale della Maddalena?

    È folle! Come cavolo è possibile che la Marina militare abbia disobbedito alle decisioni della magistratura, che ordinò la distruzione di quelle armi di contrabbando? Oggi quella roba lì, che non dovrebbe nemmeno esistere, è il regalo per gli amici del momento. Non rispettano la Costituzione, le convenzioni internazionali né la buona pratica di non vendere armi ai Paesi in guerra.

    Il pacifismo che fine ha fatto?

    Quando, nel 2001, il governo Berlusconi decise di invadere l’Afghanistan erano quasi tutti d’accordo. Solo Emergency e pochi altri parlavano ad alta voce contro quella guerra. Due anni dopo, c’è stata Piazza del Popolo, la più grande manifestazione pacifista di sempre in Italia. Tanti politici di centrosinistra si erano ravveduti: quelli che avevano votato per la guerra in Afghanistan, avevano scelto di dire “no” a quella in Iraq. Me li ricordo mentre sfilavano con le sciarpe arcobaleno addosso.

    E poi cos’è successo?

    Poi sono tornati al governo e hanno cambiato di nuovo idea. Ma io i politici li capisco: non sanno nemmeno dove sia l’Afghanistan, anche se siamo lì dal 2001. Invece non capisco la stampa: perché nessuno fa un’analisi e si chiede quante vite abbiamo perso in questi tredici anni, quante persone abbiamo ucciso, se abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati? La verità è che sulla guerra esiste ormai il pensiero unico.

    Forse perché le guerre oggi sono più difficili da raccontare: si usano tanti droni e meno soldati.

    No, viene da più lontano. Tutto comincia con i giornalisti embedded. Nella più grande operazione militare della storia della Nato, ad Helmand, in Afghanistan, non c’era nemmeno un giornalista che non fosse embedded. Quando la gente vede certe immagini medievali, come Abu Ghraib, prende coscienza, perché capisce quanto la guerra faccia schifo.

    Ci sono tanti giovani occidentali che ne rimangono affascinati: partono e diventano jihadisti.

    È lo stesso meccanismo. Quando si accetta la possibilità di ammazzare, si diventa gli esseri umani peggiori. L’unico approccio umano alla guerra è l’abolizione, com’è successo con la schiavitù.

  • agbiuso

    Agosto 24, 2014

    Gli inseparabili Partito Democratico e Forza Italia continuano nei loro loschi reciproci favori.

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    Quelle armi all’Iraq sotto sequestro
    di Sergio Finardi, il manifesto, 24.8.2014

    La scelta del governo ita­liano di inviare armi all’Iraq pren­den­dole dall’arsenale seque­strato sulla moto­nave Jadran Express nel 1994 e con­ser­vato dal 1999 nei depo­siti dell’isola Santo Ste­fano nell’arcipelago della Mad­da­lena, desta pre­oc­cu­pa­zione. L’arsenale era ed è di diritto sotto seque­stro giu­di­zia­rio e la magi­stra­tura ne aveva ordi­nato la distru­zione a con­clu­sione di un pro­cesso (2005) che vedeva impu­tati tra altri i pro­prie­tari di quel carico ille­gale desti­nato alla guerra in Bosnia.

    Non vogliamo qui discu­tere della scelta di inviare armi all’Iraq, ma della scelta di inviare “quelle” armi. Abbiamo il fon­dato sospetto che nel periodo febbraio-maggio 2011 il governo ita­liano gui­dato da Sil­vio Ber­lu­sconi abbia usato parte dell’arsenale della Jadran per invii di armi alle varie fazioni anti-Gheddafi, in fla­grante vio­la­zione dell’embargo sta­bi­lito dalle Nazioni Unite (26 feb­braio 2011). Rive­la­zioni e denunce sull’accaduto, tra cui le nostre, ven­nero pub­bli­cate all’epoca e ad esse si aggiunse un’indagine della magi­stra­tura di Tem­pio Pau­sa­nia, ino­pi­na­ta­mente fer­mata con l’apposizione del segreto di Stato sulla desti­na­zione dei con­tai­ner di armi pre­le­vati a Santo Ste­fano. Tali con­tai­ner venero avviati con scorta di mezzi mili­tari sui tra­ghetti pas­seg­geri Shar­den e Nura­ghes verso Civi­ta­vec­chia con docu­menti di accom­pa­gna­mento che fal­sa­mente descri­ve­vano la “merce” come “motori” e “parti di ricambio”.

    Siamo infor­mati che col­le­ghi delle Nazioni Unite facenti parte del gruppo di esperti che indaga sulle vio­la­zioni dell’embargo sulla Libia stanno inda­gando sull’uso delle armi della Jadran nel con­flitto libico e sulle denunce fatte nel 2011. È chiaro che se “quelle” armi (o ciò che resta dell’arsenale) ver­ranno inviate in Iraq e il carico della Jadran — che il governo ita­liano ha rifiu­tato ille­gal­mente di distrug­gere come ordi­nato dalla magi­stra­tura — scom­pa­rirà, nes­suno avrà più modo di veri­fi­care se, come, e in quale quan­tità quell’arsenale sia ser­vito agli invii alle fazioni anti-Gheddafi.

    Far spa­rire in Iraq l’arsenale della Jadran equi­vale a can­cel­lare ogni pos­si­bi­lità di accer­tare se Ber­lu­sconi abbia vio­lato l’embargo delle Nazioni Unite, cosa che se accer­tata sarebbe ovvia­mente gra­vis­sima. Un’altra impu­nità si aggiun­ge­rebbe di fatto alle molte già godute dall’ex-premier. Oltre all’embargo del’Onu, esi­ste infatti anche una Posi­zione comune euro­pea che vieta ai mem­bri della UE di pro­ce­dere a simili invii.

  • agbiuso

    Agosto 24, 2014

    L’editoriale del numero più recente della rivista di Emergency (71, giugno 2014) conferma la giustezza e giustizia della posizione del Movimento 5 Stelle contro la partecipazione alle guerre imperialiste degli Stati Uniti d’America, poiché -davvero- «la guerra non risolve i problemi, ne genera di nuovi. Non c’è pace senza giustizia. La guerra significa grandi affari per pochi e miseria infinita per tutti gli altri»

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    Niente di nuovo, di Cecilia Strada

    Nel 2001, alla vigilia dell’invasione dell’Afghanistan, l’avevamo detto: la guerra non porta la pace. I diritti non si costruiscono con le bombe. La “guerra al terrorismo” aumenterà il terrorismo, perché è questo che fa la violenza: alimenta altra violenza. 
Oggi siamo alla vigilia del ritiro delle truppe e, in Afghanistan, i nostri Centri chirurgici per vittime di guerra sono sempre pieni. Ogni anno aumentano i feriti. Un terzo sono sempre bambini. Non sappiamo cosa succederà quando i soldati stranieri si saranno ritirati. Dov’è tutta quella pace, dove sono tutti quei diritti in nome dei quali si sono giustificati tredici anni di guerra?. Nel Pronto soccorso dei nostri ospedali, nei registri delle ammissioni, nelle sale operatorie sempre piene non vediamo pace. Non vediamo diritti.
 Nel 2003, alla vigilia dell’invasione dell’Iraq, lo avevamo detto: la guerra non porta la pace. I diritti non si costruiscono con le bombe. La violenza alimenterà altra violenza: funziona così.

    Oggi, undici anni dopo l’invasione, che cosa vediamo in Iraq? Ancora morti, feriti. Ancora attentati, sparatorie. Ancora sfollati, a centinaia di migliaia. Dov’è tutta quella pace, tutta quella democrazia che l’invasione e la guerra dovevano portare? Sulle facce dei profughi non vediamo democrazia, non vediamo pace. Solo dolore e paura. Non sappiamo cosa succederà in Iraq nelle prossime settimane. Ma sappiamo che, purtroppo, avevamo ragione anche su questo. Non è una grande consolazione aver avuto ragione. Non c’è consolazione possibile davanti a tutto questo.

    È molto triste doversi trovare a ripetere, da anni e anni, le stesse cose. Cose semplici, cose che risultano ovvie a chiunque abbia il coraggio di guardare in faccia la guerra. Banalità: come il fatto che la guerra non risolve i problemi, ne genera di nuovi. Che non c’è pace senza giustizia. Che la guerra significa grandi affari per pochi e miseria infinita per tutti gli altri. Che tra i vincitori e tra i vinti è sempre la povera gente a fare la fame. Guardiamoci attorno: dall’Afghanistan alla Libia, dall’Iraq alla Somalia, esiste una guerra che abbia prodotto pace e giustizia? Eppure, c’è ancora chi lo sostiene. A chi toccherà la prossima volta? Qual è il nome del prossimo Paese in cui, qualcuno ci dirà, dobbiamo andare a portare pace e democrazia a colpi di fucile? Non lo sappiamo. Sappiamo che succederà. Per questo non possiamo, non ancora, smettere di ripetere le nostre ovvietà. Le nostre banalità.

    Fonte: http://www.emergency.it/archivio/ml/rivista/EMERGENCY-71.pdf

  • agbiuso

    Agosto 21, 2014

    Il Partito Democratico è una formazione politica irresponsabile e guerrafondaia, come si comprende bene anche da questo articolo del manifesto.

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    Governo con l’elmetto
    di Norma Rangeri, il manifesto 21.8.2014

    Tra gli annunci di una pros­sima stan­gata, con­fusi nei det­ta­gli ma chia­ris­simi nell’obiettivo di rastrel­lare miliardi dalle tasche di un ceto medio impo­ve­rito e rab­bioso, deci­diamo di entrare nella guerra ira­chena con un rapido voto delle com­mis­sioni esteri e difesa con­vo­cate per tre ore nella pausa estiva del parlamento.

    Si respira un’aria strana, come di un paese sospeso che men­tre sta per affron­tare un dif­fi­cile autunno sociale, rimanda nelle case degli ita­liani le imma­gini di un pre­si­dente del con­si­glio che, nel suo stile di poli­tico gio­vane e otti­mi­sta, dall’Iraq annun­cia la pros­sima vit­to­ria ai poli­tici di Bagh­dad («bat­te­remo i ter­ro­ri­sti»), senza slide ma con la stessa sicu­rezza con cui annun­ciava la ripresa eco­no­mica gra­zie agli 80 euro nelle buste paga di dieci milioni di elettori.

    È suc­cesso spesso nella sto­ria euro­pea del secolo scorso e in quella nazio­nale che le avven­ture colo­niali (cri­spine, gio­lit­tiane fino al bara­tro fascista) servissero a met­tere l’elmetto alla ban­ca­rotta eco­no­mica. Oggi, men­tre l’Italia vive la sua più grave crisi dal dopo­guerra, quando molti governi, e facil­mente anche quello in carica, non sapendo come uscirne si risol­vono a col­pire pen­sioni, dipen­denti pub­blici e ser­vizi sociali, il pre­si­dente vola in Iraq a pre­no­tare un posto in prima fila nello schie­ra­mento sul fronte ira­cheno e, più in gene­rale, su quello del Medio oriente che lo com­prende.
    Il sot­tile para­vento dell’intervento uma­ni­ta­rio non impe­di­sce di vedere come, sep­pure per inter­po­sti mili­tari kurdi, l’Italia entri con le armi in quel tea­tro di guerra. Su cosa signi­fi­chi armare i mili­tari kurdi abbiamo già scritto sot­to­li­nean­done la spinta a una ulte­riore divi­sione della tri­par­ti­zione delle forze in campo (con sun­niti e sciiti) in quel paese. Non andiamo in Iraq per «fer­mare» i ter­ro­ri­sti come ha auspi­cato il papa richia­mando l’unico inter­vento legit­timo, quello dell’Onu, e come sarebbe giu­sto. Por­te­remo armi e ne tra­spor­te­remo sui nostri are­rei e navi anche di pro­ve­nienti da altri paesi. Lo ha spie­gato la mini­stro della difesa, Pinotti, con il suo alleato di governo, Cic­chitto, che già spinge per «bom­bar­dare il nemico».

    Come si svi­lup­perà que­sta strana terza guerra mon­diale «a capi­toli» non lo sap­piamo. Sap­piamo che ora ci siamo den­tro anche noi. Quali rea­zioni si inne­sche­ranno quando si giu­sti­fi­che­ranno i finan­zia­menti per por­tare la pace con le armi men­tre si chie­de­ranno sacri­fici a chi già ne sop­porta il carico gra­voso, è l’altra domanda. I gufi, ani­mali pre­veg­genti, rispon­de­reb­bero annun­ciando al bosco la tem­pe­sta perfetta.

  • agbiuso

    Agosto 19, 2014

    Condivido, condivido tutto.
    In particolare la richiesta del fante di Niente di nuovo sul fronte occidentale, libro terribile che descrive la guerra -in particolare quelle ideologiche contemporanee, in stile guerra umanitaria– per ciò che è: un macello.
    Il libro di Remarque è letto in questi giorni su Radio Tre, nel programma Ad alta voce.
    L’altro documento che bisognerebbe far vedere ogni giorno a “caporali e boy scout, napolitaner, obbabàma, re, regine, paggetti e, mi si passi il vernacolo, sucaminchia” è Orizzonti di gloria, ennesimo capolavoro di Kubrick.

    Gli anarchici chiamarono -e chiamano- la I guerra mondiale non “grande” bensì “maledetta”. E come nel 1914 l’Internazionale Socialista crollò miseramente davanti ai fanatismi nazionalisti, così Massimo D’Alema si mise a disposizione per bombardare la Serbia in conto USA e ora il partito cattolico-democratico-di-sinistra continua la tradizione.
    Benito Mussolini, non dimentichiamolo, era uno di loro, un dirigente del Partito Socialista Italiano.

  • Pasquale D'Ascola

    Agosto 19, 2014

    Con­fer­miamo invece, almeno sta­volta, l’articolo 11 della nostra Costi­tu­zione che dichiara di “ripu­diare la guerra come mezzo di riso­lu­zione delle crisi internazionali”

    Basterebbe questo a dire tutto, ma, in questi stessi giorni in cui cento anni fa cominciavano a cadere le prime centinaia, o migliaia non so immaginare, dei 17 milioni che creparono nella prima grande guerra (25 milioni di infettati a parte), mi scusino se cito sempre Kraus e sempre o stesso testo.
    Gli ultimi giorni dell’aumanitào dovremmo dire meglio gironi. Invito a dargli una nuova occhiata. Allora come adesso si guerreggiò per rifare gli arsenali e dar fiato all’industria bombardiera. Allora come adesso si giustificò tutto, si insultava questo a favore di quello, allora come oggi il nemico era cencioso, una banda serba, le aveva tutte sto nemico, mica si faceva lo sciampo (dizione nazionalista) con fructis di garnier; allora come oggi qualche obama annunciava che bisognava fare diga (leggasi NYT di oggi). Argine o blocco sono sinonimi prediletti della cultura della carta straccia, cioè di giornale, ovvero dei più che cumannano e futtono la terra. Allora i detentori della comunella con il Gott der Eisen wachsen läßt erano i visi pallidi. Adesso sono così tanti che verrebbe da dire che la somma di tante verità di segno opposto è quella che è, zero. Guai a dirlo però al cardinale bagnascout o alla multinazionale rabbini & affini.

    A latere, parlando giorni fa con 25enni dabbene e non impegnati in altro che tirare la paga per il lessomi è stato detto che oggi tanto si sente puzza di guerra; sicché l’uno va in palestra il poverino, così da difendersi e scappare nel caso, l’altro, più articolato, vede in chiaro che quando la Russia si stancherà darà una lezione apocalittica all’occidente. Forte di un esercito e di abitudine al combattimento con cui i visi pallidi possono competere ma non vincere, di risorse, e di intelligenza, quella che per ora dimostrano strangolandoci economicamente, ma solo un pochino, appena un po’ di water boarding, giusto per farci capire la lezione.
    Ovvio che si dice lezione e che le lezioni, quelle di scuola in primissi, non si ascoltano e poi si scordano.

    In fondo in fondo la lezione migliore sarebbe quella suggerita dal fante in trincea di All’ovest niente di nuovo: metterli tutti in un gran recinto i capoccia, i capi bastone, caporali e boy scout, napolitaner, obbabàma, re, regine, paggetti e, mi si passi il vernacolo, sucaminchia, tutti tutti i malavistosi; un randello in mano e alè..faites vos jeux.

    Uffa.

  • Biuso

    Agosto 19, 2014

    Molto attenta e del tutto condivisibile anche l’analisi di Tommaso Di Francesco, che ben illustra le ragioni per le quali non bisogna inviare (altre) armi in quella regione, come appunto sostenuto dal Movimento 5 Stelle.

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    Perché no
    di Tommaso Di Francesco, il manifesto 19.8.2014

    Armi ai kurdi? Pre­fe­ri­remmo di no. Non solo e non tanto per­ché il ful­gido sol­dato Casini, che non ricor­diamo più a quale set­tore di destra appar­tenga, è diven­tato il soste­ni­tore di que­sta pro­po­sta scel­le­rata che in piena estate arriva ad una com­mis­sione esteri del par­la­mento con­vo­cata d’urgenza dal governo a pro­nun­ciarsi in fretta sull’argomento, anche se l’esito dell’invio di armi appare scon­tato. Del resto, così fan tutti nell’Europa del bara­tro della crisi eco­no­mica, che non vede come il Medio Oriente sia così stra­pieno di armi, arri­vate spesso a scopo “uma­ni­ta­rio”, che la guerra ne è orma il por­tato quo­ti­diano e san­gui­noso. Ma diciamo no in primo luogo per­ché l’Italia, nella “coa­li­zione dei volen­te­rosi”, ha par­te­ci­pato nel 2004 alla guerra all’Iraq inven­tata dagli Stati uniti di Gorge W. Bush che ha pro­dotto la tra­gica deva­sta­zione che è sotto i nostri occhi.

    E’ da lì infatti che ha avuto ori­gine la rot­tura dell’equilibrio ira­cheno pre­e­si­stente tra sun­niti e sciiti e la scom­parsa di fatto dell’Iraq come Stato, fram­men­tato nelle sue fazioni e con un eser­cito diviso per appar­te­nenza reli­giosa inca­pace di fron­teg­giare la nuova insi­dia mili­tare e poli­tica rap­pre­sen­tata dallo Stato isla­mico dell’Iraq e del Levante (Isil), nato in Siria come effetto col­la­te­rale del soste­gno “uma­ni­ta­rio” in armi e con­si­glieri mili­tari, come già pre­ce­den­te­mente in Libia, della coa­li­zione degli “Amici della Siria”, una acco­lita di part­ner che vanno dagli Usa all’Arabia sau­dita, dalla Gran Bre­ta­gna alla Tur­chia, dall’Italia al Qatar.

    Anzi­ché le armi biso­gna inviare soc­corsi dav­vero uma­ni­tari pen­sando ai civili, ai feriti, ai pro­fu­ghi, ai bam­bini: cibo, sani­tari, ospe­dali da campo, ten­do­poli. Senza dimen­ti­care che soste­nere mili­tar­mente la lea­der­ship del Kur­di­stan del lea­der Bar­zani invece dell’esercito di Bagh­dad rap­pre­senta un soste­gno alla spar­ti­zione dell’Iraq e all’obiettivo dell’indipendenza di uno stato etnico kurdo. Con l’apertura così del vaso di Pan­dora della que­stione kurda nella regione che met­te­rebbe in discus­sione l’esistenza di Stati uni­tari come la Tur­chia, l’Iran e la Siria già ampia­mente distrutta. Ma anche per­ché (reso­conti alla mano dei pochi repor­tage arri­vati da quelle zone a metà-fine luglio), quando l’Isil dila­gava dalla Siria a sud verso il cuore dell’Iraq, la lea­der­ship del Kur­di­stan ira­cheno ha sem­pli­ce­mente scelto di farsi da parte e lasciare pas­sare i jiha­di­sti, di stare a guar­dare l’ulteriore colpo inferto alla fle­bile unità ira­chena, quando non è arri­vata addi­rit­tura ad accor­darsi con l’Isil che in quel momento non met­teva in discus­sione il ter­ri­to­rio kurdo con i suoi pre­ziosi gia­ci­menti di petro­lio. C’erano stragi anche allora ma tutti tace­vano, com­presi i kurdi. Com­bat­te­vano lo Stato isla­mico le poche e male armate mili­zie del Pkk per­ché in prima fila e in fuga da troppi nemici, spesso anche dagli stessi pesh­merga di Bar­zani. Qual­cuno adesso ci spie­ghi per favore il sot­tile para­dosso dell’invio di armi dell’Italia ai kurdi ira­cheni che, come scam­bio di potere e con­ces­sioni di spa­zio, faranno com­bat­tere al loro posto in prima fila le mili­zie del Pkk, quando pro­prio l’Italia ha con­se­gnato nelle mani dell’intelligence ame­ri­cana e alle galere tur­che il “ter­ro­ri­sta” Abdul­lah Oca­lan, lea­der tutt’ora indi­scusso del Pkk. Ecco che tor­niamo al “ter­ro­ri­smo” a geo­me­tria varia­bile, a seconda degli inte­ressi stra­te­gici glo­bali dei potenti della terra.

    Si dirà subito che chi dice no all’invio di armi ai pesh­merga kurdi chiude gli occhi sulle stragi di cri­stiani e jiha­zidi. L’impressione è che ancora una volta la dispe­ra­zione delle mino­ranze venga uti­liz­zata a scopi tutt’altro che uma­ni­tari. Il papa stesso alza la voce sulla per­se­cu­zione dei cri­stiani – certo più di quanto abbia denun­ciato lo scem­pio delle decine di moschee distrutte dai raid israe­liani nella Stri­scia -, ma dice “basta guerra” e ricorda che non si fa “in nome di dio”. Intanto sono in troppi a pian­gere per le vit­time jiha­zide tutte le lacrime che non hanno ver­sato per le stragi di Gaza. Per la quale nes­suno, imma­gi­niamo, sen­ti­rebbe l’obbligo morale di chie­dere l’invio di armi ai pale­sti­nesi chiusi nelle pri­gioni a cielo aperto di Gaza e Cisgior­da­nia. I mas­sa­cri di cri­stiani — in corso in Iraq da due anni nel silen­zio ame­ri­cano della Casa bianca che enfa­tiz­zava il suo “miglior ritiro” da una guerra — come quelle della mino­ranza jiha­zida sono vere e feroci, ma non vanno enfa­tiz­zate e mol­ti­pli­cate nel reso­conto gior­na­li­stico, tanto più che nella stampa estera già qual­che accorto repor­ter, a corto di veri­fi­che, comin­cia a dire “pre­sunte”. A Gaza, a pro­po­sito di stragi, per certo hanno cele­brato in que­ste ore più di due­mila fune­rali, per l’80% di bam­bini, donne e vec­chi inermi.

    Non è inviando armi, aggiun­gendo guerra su guerra, che il Medio Oriente sarà paci­fi­cato e verrà fer­mata la mano degli assas­sini e delle stragi. Se Obama vuole fer­mare dav­vero lo Stato isla­mico dell’Iraq e del Levante — non è più solo Al Qaeda, que­sto è un eser­cito — rompa i rap­porti eco­no­mici che legano gli Stati uniti alle petro­mo­nar­chie arabe, le stesse che sosten­gono l’Isil con finan­zia­menti e armi sofi­sti­cate. Sarebbe un momento di verità sulle crisi inter­na­zio­nali capace di cam­biare la fac­cia del mondo e dare l’alt all’avanzata del radi­ca­li­smo jiha­di­sta. Diven­tato inar­re­sta­bile, non lo dimen­ti­chiamo, anche gra­zie alle troppe guerre “uma­ni­ta­rie” occi­den­tali che hanno uti­liz­zato in chiave desta­bi­liz­zante il ter­ro­ri­sta di turno pro­mosso per l’occasione a utile “libe­ra­tore”. Con­fer­miamo invece, almeno sta­volta, l’articolo 11 della nostra Costi­tu­zione che dichiara di “ripu­diare la guerra come mezzo di riso­lu­zione delle crisi internazionali”

  • agbiuso

    Agosto 18, 2014

    Avete ragione, cari amici, “ci comportiamo come una colonia” perché siamo una colonia.
    Per quanto riguarda i giornalisti, strumento di ogni menzogna, vi segnalo il modo in cui molti quotidiani (compreso il paludato e orribile Sole 24 ore) e la Rai hanno presentato una delle tante insensate classifiche sulle università mondiali. Tra gli atenei italiani, Bologna al primo posto per il semplice fatto che la classifica da un certo punto in poi colloca le Università …in ordine alfabetico. Ma i giornalisti non se ne sono accorti:
    http://www.roars.it/online/universita-la-migliore-ditalia-secondo-shangai-facile-la-prima-in-ordine-alfabetico/

    Proporrò al mio Ateneo di chiamarci Università Aetnea In modo da arrivare primi.

  • Enrico Galavotti

    Agosto 17, 2014

    Il problema è che non esiste l’Europa come soggetto politico e quando parliamo politicamente non diciamo nulla di diverso da ciò che già dicono gli americani. Ci comportiamo come una “colonia”. Lo si vede bene anche in Ucraina. Il prossimo inverno saremo senza gas siberiano per colpa degli americani, oppure lo andremo a comprare al prezzo che decideranno loro. Non solo ci vogliono deboli economicamente, disuniti geograficamente, ma anche nani politicamente. Una battaglia che dovrebbe fare l’intera Europa sarebbe quella di chiudere tutte le basi Nato. Stando a questo pdf l’Italia ha più basi di tutti gli altri paesi europei messi insieme: ha senso? http://proclamaitalia.files.wordpress.com/2011/04/basi_-militari_usa.pdf

  • Pasquale D'Ascola

    Agosto 17, 2014

    Ne ammazza più la rotativa che l’obice..

    Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità.*

    Fare i giornalisti, cioè gli impiegati del sistema di manipolazione, rende. È carne della carne del capitalismo. I peggiori credo siano quelli che credono di combattere su un fronte diverso. Controllare i loro 740 per intendere.
    Non bersela mai, esercitare un ateismo integrale, è un peso da Giacomo Leopardi, lo sai bene Alberto.
    Brazil, sì.

    In ogni modo tra gli stati canaglia è da tempo che dovrebbero essere ascritti gli Stati Uniti.

    *cito a memoria, andare a ripescarne l’esatta lezione in un testo immenso è di là dalle mie forze.

  • diego

    Agosto 17, 2014

    Anch’io caro Alberto sono abbastanza convinto che la leadership statunitense sia al tramonto sullo scacchiere mondiale e che l’Europa debba giocare un ruolo più decisamente autonomo. Il paese chiave è la Germania che, non a caso, si è tenuta lontana dalle avventure irachene e afgane. Credo che se da un lato bisogna evitare le tenaglie della cura «greca» che da Bruxelles qualcuno vorrebbe imporre all’Italia, da un altro lato è assai opportuno dare forza politica al vecchio continente e l’Italia ne è pur sempre un paese fondamentale. In prospettiva vedo inesorabile l’allontanamento dall’Europa da parte della Gran Bretagna, il più «atlantico» dei paesi UE. Sono convinto che al di là delle zuffe nazionali, tutti i movimenti politici italiani debbano considerare la politica europea fondamentale come hanno chiaro anche le persone più preparate del M5S.

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