Tonio Hölscher si chiede se quell’«esperimento della perfezione» che fu la Grecità sia alla fine riuscito. Risponde ammettendo che se «la “classicità” fu un’epoca di conflitti e di contraddizioni, il suo merito consiste appunto nel fatto di aver reso tali conflitti oggetto di decisioni culturali» (in Aa. Vv. I GRECI Storia Cultura Arte Società. Vol. II/2, Una storia greca. Definizione (VI – IV secolo), a cura di Salvatore Settis, Einaudi 1997, pag. 205). Mauro Corsaro nega che tramite la Lega delio-attica gli ateniesi perseguissero soltanto una politica di «omogeneizzazione forzata degli alleati alla loro costituzione democratica» (41). Secondo Corsaro bisognerebbe anche rivedere molti luoghi comuni sulla schiavitù, dato che «gli schiavi in effetti non erano del tutto privi di diritti e non erano affatto considerati, a differenza di quanto si legge talvolta, come semplici cose, come una parte di proprietà» (403).
In realtà, furono i Greci a cominciare a porre un freno -tramite il culto per il nomos, per le leggi- al potere della tirannide e all’arbitrio del potente. Essi seppero coniugare competizione e parità, conflitto e libertà, individualismo e collettività. Contrariamente a quanto sostiene Popper, l’interrogativo su “come si governa” affondava nel mondo arcaico e aristocratico, mentre nella nuova polis democratica cominciò «una riflessione pubblica sul […] tema del “chi governa”» (582).
I Greci erano certamente pagani, la loro pratica dell’amicizia aveva come norma aurea un comportamento che i vangeli condannano: «Aiutare nel modo migliore gli amici e danneggiare con ogni mezzo i nemici» (454). Questo era per loro giustizia. Del tutto legittimo era anche l’uso del corpo per trarre piacere, per suscitare ammirazione, per muoversi con forza, agilità, letizia nello spazio pubblico e privato. Una delle più tipiche e complesse espressioni dell’Atene classica –il platonismo- può essere compreso solo su questo sfondo, nel quale il singolo e la comunità interagiscono e confliggono ma dipendono sempre l’uno dall’altro; nel quale la componente politica del platonismo non è utopica –tantomeno totalitaria- proprio perché è in realtà una posizione antropologica ed etica. Anche in Platone, come nei Sofisti e in fondo come in ogni altro Greco, la forza della parola e la profondità del pensiero sono inseparabili, tanto che «in un certo senso, tutto il compito della filosofia consiste nell’appropriarsi della retorica, vale a dire nel fare della persuasione una qualità intrinseca della verità» (822).
In questo modo, i Greci ci hanno trasmesso uno dei modi fondamentali della conoscenza razionale: la dimostrazione more geometrico. Essi non furono forse degli scienziati nel senso professionale con cui intendiamo oggi tale attività ma furono degli epistemologi –e durante l’Ellenismo anche dei tecnologi- di altissimo livello, ai quali dobbiamo «le idee stesse di scienza esatta, di sistema assiomatico, di coerenza logica. […] Ancora di più, le idee stesse di verifica sperimentale e di ricerca empirica sono state esplicitamente tematizzate dai più grandi di questi filosofi e studiosi» (1203).
I Greci percepirono senza illusioni la finitudine che ci costituisce; il loro pessimismo arcaico non dimenticò mai la caducità di ogni cosa, ente, vita, desiderio. Da tale sfondo di melanconia e di oscurità, come Nietzsche ben comprese, nacque il loro bisogno di misura, il rifiuto della hybris come il più pericoloso dei mali. Per questo sulle metope del Partenone -non un tempio per il culto ma l’autodefinizione della città nel marmo- scorrono le immagini che mostrano «la lotta della padronanza di sé contro la sfrenatezza, dell’ordine contro il caos, della civiltà contro la barbarie, della cultura contro la natura» (1259). Ed è sempre per la stessa ragione che l’affresco di Raffaello dedicato alla Scuola di Atene mostra degli uomini «sopraffatti dalla gioia di apprendere» (1340).
Una delle ultime battute di questo libro afferma che «oggi ci è difficile, se non impossibile, condividere una fede come quella di Jaeger. Ma appare anche arduo farne a meno» (1351).
2 commenti
agbiuso
Uno degli autori di questo volume è il Prof. Mauro Corsaro, docente di Storia Greca nel mio Dipartimento di Catania.
Preparatissimo, ironico e autoironico, nell’ottobre scorso tenne una delle lezioni introduttive in occasione del Primo Colloquio di Ricerca del Dipartimento di Scienze Umanistiche di Catania. La sua relazione ebbe come titolo Oltre i confini della città. Il mondo greco.
Mauro Corsaro è morto stanotte, dopo un breve malattia. A lui va la gratitudine di tutti coloro che amano i Greci.
diegob
A me pare evidente, anche ad una lettura non specialistica dei dialoghi di Platone, diciamo la lettura da liceale, che il concetto di una conoscenza valida perchè ben incardinata nel ragionamento, è un concetto nitidamente antiautoritario.
Quando Socrate cerca di dimostrare una verità facendola enucleare dal ragionamento stesso del suo interlocutore, siamo nel cuore del concetto di rispetto e di libertà del prossimo.
Le grandi verità teologiche sono sempre proposte come verità che la creatura in ginocchio deve accettare e basta, e cercare di capirle è addirittura una mancanza di rispetto. Perfino la bontà, perfino la misericordia, come viene prospettata da una figura che io amo come il Nazareno, non è da capire, devi accettarla oltre ogni ragione.
Invece nel mondo greco il ragionamento ben fatto comanda su tutto, e se il sapiente comanda, non comanda perchè lui è vecchio o perchè ha la lunga barba bianca, comanda perchè il suo pensiero è ben incardinato nella razionalità.
Anche i tanti amatori di Nietzsche della domenica, non vorrei che alla fine, non comprendendo un tubo del superfilosofo coi baffi, vedano il dionisiaco come una negazione della razionalità e non come quel substrato profondo non tanto facile da spiegare con due frasette.
Hai ragione caro Alberto (il tuo senso greco della misura fa sì che ami citare altri studiosi, ma sei tu, per noi, già la fonte autorevole) il mondo Greco contiene dei tesori di equilibrio e misura inestimabili.
Proprio in questi giorni leggevo alcune cose sul Palladio e penso a come la grecità, come senso del buon gusto autentico, dell’eleganza delle forme, sia ancora oggi una linfa vitale per ogni bella creazione di ogni uomo d’occidente.