Romanzo di una strage
di Marco Tullio Giordana
Italia, 2012
Con: Valerio Mastandrea (Luigi Calabresi), Pierfrancesco Favino (Giuseppe Pinelli), Fabrizio Gifuni (Aldo Moro), Omero Antonutti (Giuseppe Saragat), Giorgio Marchesi (Franco Freda), Denis Fasolo (Giovanni Ventura), Fausto Russo Alesi (Guido Giannettini), Sergio Solli (il questore Guida), Stefano Scandaletti (Pietro Valpreda), Andreapietro Anselmi (Guido Lorenzon), Giorgio Colangeli (Federico Umberto D’Amato ), Giorgio Tirabassi (il professore), Giulia Lazzarini (la madre di Pinelli), Benedetta Buccellato (Camilla Cederna), Luigi Lo Cascio (il giudice Paolillo), Michela Cescon (Licia Pinelli), Laura Chiatti (Gemma Calabresi), Francesco Salvi (il tassista Rolandi)
Trailer del film
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Una ferita profonda. Un’ustione sul corpo dell’Italia. Un progetto di colpo di stato sul modello della Grecia dei colonnelli. Uno degli eventi culminanti della guerra fredda, vale a dire dell’ossessione statunitense verso l’Europa. I servizi segreti al meglio del loro lavoro, quello per cui esistono: creare il terrore. E nel turbine di tutto questo uomini concreti, con nomi e cognomi, con passioni e interessi, con paure e silenzi. Alla fine -quarant’anni dopo- «i parenti delle vittime sono stati condannati a pagare le spese processuali». I processi, infatti, non hanno individuato alcun colpevole. O meglio, nel 2005 la Cassazione ha riconosciuto la responsabilità dei neonazisti veneti Freda e Ventura ma ha anche dichiarato che i due non possono essere processati in quanto già definitivamente assolti dalla corte d’assise d’appello di Bari.
In ogni caso la verità politica e storica è ormai chiara: la strage del 12 dicembre 1969 a Milano fu ideata, organizzata e coperta dal SID, dall’Ufficio Affari riservati, dai servizi segreti della Repubblica italiana -vale a dire da organi dello Stato- e fu materialmente attuata da cellule neofasciste. Gli anarchici furono invece del tutto estranei alla vicenda e anzi ne costituirono le vittime politiche. Ma anche vittime e basta. Pietro Valpreda fu sottoposto a detenzione e a numerosi processi. Giuseppe Pinelli venne massacrato, buttato dalla finestra della questura di Milano. La stanza nella quale si consumò l’omicidio era quella del commissario Luigi Calabresi, poi ucciso a sua volta nel 1972.
Calabresi è il protagonista del film di Giordana. La strage, con gli eventi che la precedettero e con quelli che la seguirono, è narrata soprattutto dal suo punto di osservazione. Il risultato è una sostanziale apologia di Calabresi, anche se del commissario emerge in modo evidente la complicità con le falsificazioni volute dai servizi segreti e dal questore Guida, un fascista al quale Pertini non stringeva la mano nelle sue visite ufficiali a Milano in quanto costui era stato il suo carceriere a Ventotene. Calabresi avrebbe potuto e dovuto denunciare le gravissime e criminali coperture che i colpevoli della strage godettero da parte di organi dello Stato. Ma non lo fece mai. Come scrive Corrado Stajano sul Corriere del 28 marzo 2012, Calabresi «nel 1972 sarà la vittima innocente dello spirito di violenza, ma quella notte in Questura, davanti a cinque giornalisti, il suo comportamento non fu diverso da quello dei suoi superiori».
Giordana fa proprie molte –ma per fortuna non tutte– delle ricostruzioni proposte da Paolo Cucchiarelli ne Il segreto di Piazza Fontana, soprattutto l’ipotesi delle due bombe, una innocua e l’altra devastante. Per Cucchiarelli la prima venne portata in banca da Valpreda, per Giordana invece entrambe furono collocate da neonazisti e attribuite dalle forze dell’ordine agli anarchici. È un’ipotesi che sta suscitando forti polemiche ma che non modifica il senso dell’evento: una strage di Stato. Si dimentica che si tratta di un film e non di un documentario o di un’inchiesta. Lo afferma anche Luciano Lanza, un mio amico anarchico che ha scritto un libro sulla strage e che è molto severo verso il film.
Quella di Giordana è un’opera di invenzione guidata da un’ipotesi di spiegazione. Ed è un film molto bello. Teso, asciutto -e non era facile- e insieme appassionato, recitato benissimo da tutti gli attori e specialmente da un magnifico Fabrizio Gifuni nel ruolo di Aldo Moro, un personaggio tormentato e dolente, garante della democrazia contro i tentativi di colpo di stato. Un ruolo probabilmente anch’esso in parte inventato, senza però dimenticare che Moro venne ucciso per mano delle Brigate Rosse e per volontà della Cia, dopo aver subito delle esplicite minacce da parte del segretario di Stato USA Kissinger.
Il film mi sembra soprattutto necessario perché fa il punto, sintetizza gli eventi, li ricorda, pur con le inevitabili semplificazioni che le due ore di proiezione permettono. Ha ragione Giorgio Simonelli: Romanzo di una strage «semplificando e finzionalizzando, dice le cose essenziali e le dice bene. Non importa quante fossero le bombe, importa che si narri, con il dovuto tono e con una profonda voglia di verità, una delle tragedie vissute dalla democrazia italiana, attribuendo la giusta parte ai vari attori. E il film narra di anarchici velleitari e ingenui ma mai stragisti e onesti fino in fondo (“non ho paura della verità, io” dice Licia Pinelli in tribunale, in una scena che vale da sola il biglietto del film); di politici, militari e funzionari dello stato divisi, ambigui, collusi con l’eversione neofascista e, in certi casi, impresentabili».
Da questo film gli anarchici escono in ogni caso come vittime dello Stato, e non il contrario. Non è poco. Perché sta qui uno dei nuclei del problema politico, della sua tragedia: il fatto che lo Stato sia criminale. E Piazza Fontana lo dimostra.
5 commenti
diego b
mi permetto di segnalare che il libro di lanza è anche disponibile per scaricarlo:
http://www.millepagine.net/saggi/storia/bombe-e-segreti/
aurora
le femministe che nel 1969 avevano 20 anni avevano chiare le idee,avevano capito che la strage era di stato,ma la bigotta società civile Italiana le aveva classificate come puttane e lesbiche,nei cortei gridavano :”Maschio represso masturbati nel cesso”,avevano anticipato troppo i tempi.
agbiuso
Grazie dell’apprezzamento, caro Diego.
Sull’ipotesi che Calabresi sia stato ucciso anch’egli dai servizi segreti o dai neonazisti non ho elementi per formulare un giudizio. E’ certo che venne lasciato solo e anche per questo avrebbe dovuto denunciare gli apparati dello Stato, dei quali rimase sempre parte integrante.
Sì, il comportamento del Partito comunista contro gli anarchici fu all’inizio gravissimo e davvero stalinista. E’ che siamo liberi, profondamente liberi, e questo fa paura a tutti gli apparati, di qualunque genere e natura.
diego b
chiedo scusa, aggiungo una considerazione
nel 69 avevo 13 anni, quindi già abbastanza grande per ricordarmi come fosse martellante la propaganda che accusava gli anarchici e come la questione delle bombe fasciste fosse emersa solo più tardi, un po’ alla volta
purtroppo, anche in casa mia, dove tutti erano iscritti o simpatizzanti del pci, si credeva che fosse il Valpreda il colpevole, almeno nei primi mesi
purtroppo il pregiudizio verso gli anarchici era diffuso anche a sinistra
diego b
ottima recensione, caro Alberto
in effetti la figura centrale è Calabresi, e in effetti, nonostante i suoi dubbi, si adegua all’impostazione fuorviante delle indagini, anche se, almeno per come ho inteso io il film, cresce in lui un dubbio sempre maggiore
vorrei capire se, a tuo avviso, secondo la tesi proposta dal film, l’uccisione di Calabresi avviene proprio perchè sta cominciando a scavare nella direzione giusta (io ho interpretato così, come una spiegazione sottintesa dell’omicidio di cui poi fu accusato Sofri)
Si intuisce la simpatia di Giordana verso Calabresi, e me la spiego anche alla luce di questa ipotesi
detto questo, un ottimo film