
La giornalista Ivana Zimbone ha intervistato alcune persone, che vivono o lavorano a Catania, a proposito della loro scelta vegetariana o vegana. Ha chiesto anche a me di parlarne. Le risposte sono state pubblicate sull’edizione di Catania Today dello scorso 21 febbraio. Pubblico qui il pdf del dossier, che ha per titolo:
Evitare l’alimentazione carnea è parte di una consapevolezza antropodecentrica, che esclude il primato di una specie su tutte le altre. So bene che in ogni caso le scelte alimentari sono espressione di un processo delicato e personale poiché è anche nel rapporto con il cibo che si concentra gran parte dell’identità, del benessere e dell’inquietudine della persona umana. Che ciascuno si nutra come vuole, consapevole però di come sia in gran parte vero che ‘l’uomo è ciò che mangia’, come già suggerito da Feuerbach, che l’essere vivente (umani compresi) è costituito da ciò di cui si ciba, che l’alimentazione è, come tutti sappiamo, fondamentale nella salute e nella malattia. Essere vegetariani e vegani è un gesto di salvaguardia di sé e del mondo.
L’immagine in apertura rappresenta il dipinto di Francis Bacon Figure with Meat (1954).
2 commenti
Michele Del Vecchio
Coloro che nel corso della loro vita hanno la fortuna di accogliere e includere un animale nel proprio spazio esistenziale scoprono non solo un mondo ricchissimo di affetti e di vitalità nuove, ma anche interazioni e significati che modificano positivamente le proprie abitudini di vita. Una delle “scoperte” riguarda proprio l’alimentazione a base di carne. Ho avuto quattro cani nella mia vita. La loro presenza mi ha trasformato in vegetariano convinto. Ha pienamente ragione Ivana Zimbone quando, nel lungo e ricchissimo dialogo che insieme avete intrecciato, ella afferma che l’alimentazione a base di carne è “cannibalismo”. Le tue riflessioni antropologiche, fisiologiche, storiche e culturali le condivido in toto.
Il tuo intervento è, come sempre, introdotto da una immagine. Quella di oggi, Francis Bacon “Figura con carne”, è particolarmente potente e angosciante. Devo confessarti, Alberto, che le numerose immagini del “bue macellato” mi hanno sempre attirato: a partire da Rembrandt e poi A. Carracci, Mafai, Guttuso, Cassinari e altri. Mi affascina quell’orrore ancestrale, quella bellezza carica di sangue e morte, quei ganci da cui pendono corpi diventati sculture incise dai coltelli che sono ancora lì, sulla scena, come lo scalpello di uno scultore. Una iconografia sulla abissalità della morte per mano dell’uomo il quale esibisce alle sue spalle corpi svuotati, aperti, divaricati come se il morire fosse quella enorme ferita che taglia in due e che separa le membra in uno spaccato rosso, rosato, biancastro, nero.
agbiuso
Grazie, Michele, per questa tua riflessione che diventa una fenomenologia della carne nella grande pittura, una ‘iconografia della morte’ che molto ci dice sull’enigma crudele della nostra specie.