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Paesaggi / Luce

Paesaggi / Luce

PAESAGGI. Realtà Impressione Simbolo
Da Migliara a Pellizza da Volpedo

Castello di Novara
A cura di Elisabetta Chiodini
Sino al 6 aprile 2025

La luce, la luce ovunque. I paesaggi in mostra a Novara sono paesaggi di pianura, di città, di lago, di montagna. Ma essi non sono fatti soltanto di pietra, di acque, di aria tersa o di nebbia. Sono fatti di luce. Perché è questo che la pittura, la grande pittura, da sempre disegna, da sempre trasmette: la luce. E questo dentro e al di là della differenza di stile e di epoca tra i vari pittori.
A emergere è la luce potente e malinconica della Laguna di Venezia, un giallo e un rosso che si stagliano sulla tela come una scultura; la luce quasi inquietante nella sera di altre acque, quelle del Lago di Varese, luce che sembra emergere non dall’aria, non dall’alto ma dal basso, dalle acque stesse; la luce dei campi in estate, che appare più forte delle nuvole, come se esse non ci fossero o la luce non tenesse conto della loro presenza (immagine di apertura: Nei campi, di Giorgio Belloni, 1899); la luce fatta del grigio su grigio che il fumo di una locomotiva dipinge sul pomeriggio oscuro, su montagne accennate nello sfondo, sul prato dal treno attraversato; la luce dell’officina di un maniscalco ad Ancona, che pur confinata in un angolo del quadro è capace di trasmettere le proprie scintille ai ponti, alle acque, all’Arco di Traiano; la luce che avvolge di se stessa Milano e il Naviglio che la bagnava a San Marco. Un quadro, quest’ultimo di Segantini, nel quale la nettezza dei contorni, la rigorosa plausibilità di ogni particolare, la pulizia del mondo e la gioia di attraversarlo restituiscono sorriso al tempo, a ogni tempo.
Questa è la gioia che per millenni e da millenni l’arte figurativa ha trasmesso ai suoi fruitori, ai suoi autori. E che il Novecento ha forse con troppa leggerezza in gran parte ripudiato.
Perché il mondo non è «scritto in lingua matematica», come si legge in una celebre pagina del Saggiatore di Galilei, non è scritto soltanto in quella lingua ma in una varietà di lessici, grammatiche e alfabeti, che il riduzionismo galileiano tende a ignorare.
Anche Platone nutriva un sogno matematico di freddezza e perfezione ma Platone saggiava questo sogno al fuoco della luce metafisica, della luce di un mondo reale fatto di materia che esiste e di materia che la mente trasfigura, senza mai confondere la sostanza ontologica del reale con la sua conoscenza epistemologica. La  fatale confusione tra il linguaggio matematico e la sostanza della materia è dei moderni, compresi i moderni che hanno trasformato in sola e pura proporzione aritmetica il fare artistico.
Nei dipinti esposti al Castello di Novara la proporzione della figure e degli spazi è del tutto evidente e possiede, ovviamente, un fondamento matematico-geometrico, ma esso è funzionale alla realtà autonoma della luce, che l’artista cerca di cogliere come meglio può e di restituire sulla tela.
Luce intrisa di vento, della trasparenza degli elementi, di colori netti e potenti, di vibrazioni interiori, di forme oggettive.

Migliara, Esterno di città (1829)
Canella, Laguna di Venezia presa dal Campo di Marte (1838)
Luxoro, La via ferrata (1870)
Befani (Formis), Ritorno da una refezione sul Lago di Varese (1873)
Segantini, Naviglio a Ponte San Marco (1880)

 

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