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Israele

Israele

[Versione (più ampia) dell’articolo in pdf]

Assistere al genocidio, alla distruzione, alla tortura di un intero popolo – donne, vecchi, bambini – il popolo palestinese, da parte di uno stato razzista e suprematista; approvare tale massacro e tutto questo orrore; dargli forza con le armi, con l’informazione, con la diplomazia. 
Che le classi dirigenti europee siano, nel 2025, complici di tale abominio, fa capire che cosa sia accaduto nel nostro continente negli anni Trenta del Novecento.
Fa capire quanto illegittima sia la pretesa di supremazia morale e politica sul resto del mondo da parte delle moribonde democrazie liberali.
Fa capire quanto carnefici siano Israele e le strutture statuali, finanziarie, mediatiche che nell’occidente anglosassone ne sostengono l’azione di sterminio.
Fa capire quanto fasulli e ipocriti siano i valori mediante i quali si è trasformato il discorso pubblico in un dogma, valori quali: il rispetto, la non violenza, l’inclusione et alia, proclamati ai quattro venti mentre si tace o si è complici della più tenace pratica di esclusione e di apartheid della storia contemporanea; ricordo pagine e pagine di commozione mediatica per un solo bambino morto durante il naufragio di una barca di migranti nel Mediterraneo; sulle decine di migliaia di bambini palestinesi assassinati, feriti, mutilati, per sempre traumatizzati, cala il silenzio da parte dei buoni, a dimostrazione che non sono buoni ma sono soltanto delle marionette che si muovono sulla base di ciò che televisione e altri media presentano.

La brachilogia avrebbe potuto fermarsi qui. E però affermazioni come queste devono essere documentate quanto meglio possibile. Il testo è diventato talmente ampio da non poter essere pubblicato in html, come pagina del sito. Ho dunque preparato un pdf, che potrà essere scaricato e letto da chi lo desidera. Qui ne riporto alcune pagine.
Parte di tale documentazione è stata da me utilizzata in un saggio dal titolo Sul genocidio dei Palestinesi, pubblicato sul n. 69 (luglio-agosto 2024) del bimestrale Dialoghi Mediterranei; altra documentazione, soprattutto quella proveniente dall’ONU, si trova qui: La soluzione finale.

Altri documenti:

1) La migliore analisi che abbia letto sull’evoluzione della politica e dell’identità israeliane è di Aleksandr Dugin: Il Grande Israele e il Messia vittorioso, «Euro-Synergies», 24.12.2024 (in francese).

2) Testi da La causa dei popoli
Un’ampia documentazione sul genocidio, che in Palestina è in corso non dall’autunno del 2023 ma da decenni, si trova nel numero VIII/20-21, 2024 della rivista La causa dei popoli. Inserisco qui il pdf dell’intero numero, dal quale estraggo le seguenti affermazioni:

«Due campi fondamentali all’interno della società ebraica israeliana, oggi impegnati in quella che si può definire una guerra civile fredda. Si tratta di uno scontro tra quello che possiamo definire lo stato di Giudea e lo stato di Israele. Lo stato di Giudea è sorto negli insediamenti ebraici della Cisgiordania. Nato come movimento ideologico marginale, non è diventato una forza politica di rilievo centrale. Non si preoccupa dell’opinione pubblica mondiale, inclusa quella americana, e crede di poter realizzare con l’aiuto di Dio uno stato ebraico elitario e teocratico tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo» (Ilan Pappé, p. 3);
«Il fatto che molti ebrei, in Israele e altrove, rifiutino il sionismo dimostra che questa ideologia colonialista e razzista non coincide con l’ebraismo. Non solo, ma il fatto che alcuni dissidenti siamo stati costretti a espatriare per scampare alle ritorsioni governative conferma che il regime non tollera gli oppositori, soprattutto se occupano posti di rilievo che permettono loro di raggiungere un vasto pubblico. Davanti a questi fenomeni, lonestà intellettuale dovrebbe imporre di ammettere che il titolo di ‘unica democrazia del Medio Oriente’ è l’espressione di una posizione filo-israeliana basata sulla malafede e del tutto slegata dalla realtà» (Alessandro Michelucci, p. 5);
«Molti dei miei parenti sono stati sterminati nell’Olocausto. Niente è più spregevole che usare la loro sofferenza e il loro martirio per tentare di giustificare la tortura, la brutalità e la demolizione delle case che ogni giorno Israele commette contro i palestinesi. Mi rifiuto di lasciarmi intimidire dalle lacrime. Se aveste un cuore lo usereste per piangere i palestinesi» (Norman Finkelstein, dal documentario American Radical: The Trials of Norman Finkelstein [2009], p. 11);
«Il 15 maggio 2023, per la prima volta, le Nazioni Unite hanno commemorato ufficialmente la Nakba palestinese, o  ‘catastrofe’, un trauma nazionale che è iniziato nel 1947 e non è ancora finito. A novembre gli stati membri dell’Assemblea Generale hanno votato una risoluzione dove si riconosce il calvario delle generazioni che vivono sotto l’occupazione da quando le milizie israeliane le hanno cacciate dalle loro città e dai loro villaggi per costruire uno stato sionista. Gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione e hanno boicottato l’iniziativa. La Nakba e il progetto coloniale sionista non vengono raccontati nei libri di storia. Washington ha usato ogni mezzo per occultare la tragedia palestinese al pubblico americano» (Reza Behman, p. 20).
«Israele non tollera ctitiche di nessun tipo. A queste, laddove è possibile, reagisce con una censura che ha ormai raggiunto livelli degni delle dittature più buie. Questa censura non viene praticata soltanto dal governo di Tel Aviv, ma viene applicata diligentemente anche da molti altri paesi. Dall’Italia all’India, dagli Stati Uniti all’Australia, studenti e professori vengono sanzionati, convegni e concerti vengono cancellati, artisti ed esponenti politici vengono epurati per essersi espressi in modo sgradito al governo israeliano. Chiunque lo contesti viene accusato di antisemitismo; dimostrare pubblicamente contro il genocidio di Gaza diventa una manifestazione di solidarietà nei confronti di Hamas; negare il ‘diritto di reagire’ alle stragi del 7 ottobre 2023 significa auspicare la ‘cancellazione di Israele’. Accanto a questi casi, ben visibili perché legati a episodi specifici, ne esiste un altro, meno evidente ma molto più importante, che tocca un pilastro centrale dell’intera architettura statale israeliana: contestare il dogma che considera la Shoah un genocidio mai visto, unico e irripetibile, o meglio ancora, l’unico evento storico che meriti di essere considerato un genocidio. Tutto questo ha trovato conferma in tempi recenti» (Alessandro Michelucci, p. 37).
«Quello che Israele sta facendo a Gaza col sostegno americano è un crimine contro l’umanità che non ha nessuno scopo militare. […] terre. In un eccellente articolo della New York Review of Books, David Shulman racconta la conversazione che ha avuto con un colono, che riflette chiaramente la dimensione morale del comportamento israeliano. ‘Certo, quello che stiamo facendo è disumano’, ammette il colono, ‘ma se ci pensate bene, tutto deriva dal fatto che Dio ha promesso questa terra agli ebrei, e soltanto a loro’» (John J. Mearsheimer, pp. 51-52).

3) Un altro testo, che mi è capitato di leggere quasi per caso e del cui autore non so nulla, coglie una delle principali ragioni della tragedia che sta colpendo non soltanto i palestinesi, non soltanto gli ebrei, non soltanto il Vicino Oriente ma il nucleo stesso della civiltà europea: il pensare. Perché pensare significa anche tenere conto della potenza del Sacro e dunque cercare di delimitarla. Se non ci si riesce, il risultato è la ferocia, è il massacro.
Il Sacro non potrà mai essere cancellato, esso infatti coincide in gran parte con l’umano. Può e deve invece quanto più possibile essere circoscritta la sua manifestazione religiosa, che è una espressione non di pensiero ma di autorità. Da questa prospettiva i due secoli forse meno religiosi della storia europea recente sono stati il Sette e l’Ottocento. Il Novecento ha invece visto un ritorno potente del sentimento religioso tramite la trasformazione delle opzioni politiche in fedi appunto religiose. Il XXI secolo sta aggravando tale metamorfosi, che non a caso – anzi inevitabilmente – si sta inverando nell’imposizione di verità indiscutibili; nella metamorfosi di contenuti politici, etici, scientifici in verità di fede; nella trasformazione dei critici in eretici.
Esempio tragico di tutto questo è l’essere diventato lo Stato di Israele un tabù, che in quanto tale nessuno può toccare, non può neppure sfiorare. Ecco perché l’autore propone di dissacrare Israele, per ricondurre a sensatezza la politica e a misura la storia. E, naturalmente, per continuare a pensare senza obbedire a dogmi.
Si tratta dunque di una riflessione che (anche se con alcuni limiti) va al di là delle armi, della geopolitica, della cronaca e dell’informazione, pur avendo come oggetto le armi, la geopolitica, la cronaca e l’informazione.
Dissacrare Israele, di Stac, da MyTwoSpicci, 16.11.2024

4) Per quanto infine riguarda la tregua sottoscritta da Israele e da Hamas, temo che sarà soltanto una pausa più o meno breve nel progetto del Grande Israele, e dunque nella pratica del genocidio.
Sulla base della storia e alla luce dell’apartheid, del razzismo e del colonialismo israeliani, credo che abbia ragione Chris Hedges a scrivere (16.1.2025) che «Israele, per decenni, ha giocato a un gioco ingannevole. Firma un accordo con i palestinesi che deve essere attuato in fasi. La prima fase dà a Israele ciò che vuole, in questo caso il rilascio degli ostaggi israeliani a Gaza, ma Israele di solito non riesce a implementare le fasi successive che porterebbero a una pace giusta ed equa. Alla fine provoca i palestinesi con attacchi armati indiscriminati per vendicarsi, definisce la risposta palestinese come una provocazione e abroga l’accordo di cessate il fuoco per ricominciare il massacro». Spero davvero di sbagliarmi, ne sarei sorpreso e felice.
In ogni caso, «i filmati dai droni mostrano i palestinesi che camminavano tra gli edifici distrutti nell’area di al-Saftawi tra Jabalia e Gaza City nel nord di Gaza dopo l’entrata in vigore del cessate il fuoco.
La guerra di Israele contro Gaza, durata 15 mesi, ha ucciso 46.913 palestinesi e ne ha feriti altri 110.750, secondo il ministero della Sanità di Gaza.
Per 471 giorni, le forze di occupazione israeliane hanno impedito alle ambulanze e alle squadre di protezione civile di entrare nelle aree colpite a Gaza, ostacolando gli sforzi per curare i feriti, recuperare migliaia di persone da sotto le macerie e persino registrare con precisione il numero di palestinesi martirizzati e feriti» (Giubbe rosse, 19.1.2025)

In conclusione, i fatti – e non le tesi pregiudiziali – dimostrano che lo Stato di Israele non è per nulla «l’unica democrazia del Medio Oriente» ma, al contrario, è un’entità politica caratterizzata dai seguenti elementi:
-forti tendenze autoritarie e repressive, che si esplicano anche nella persecuzione dei propri cittadini di etnia e religione ebraica, come i membri di Neturei Karta International, che è un’associazione internazionale di ebrei ortodossi i quali condannano in modo assai chiaro il sionismo dello stato di Israele, giudicandolo incompatibile con la fede e con l’identità ebraiche. Qui si trovano dei documenti inerenti tale Associazione: Gaza 2023;
-una politica interna caratterizzata da apartheid e razzismo nei confronti dell’etnia araba;
-una politica estera di impronta colonialista e suprematista.

4 commenti

  • agbiuso

    Febbraio 25, 2025

    «Nelle città di questi popoli che il Signore tuo Dio ti dà in eredità, non lascerai in vita alcun essere che respiri; ma li voterai allo sterminio: cioè gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei e i Gebusei, come il Signore tuo Dio ti ha comandato di fare».
    Deuteronomio, cap. 20, vv. 16-17

  • agbiuso

    Febbraio 9, 2025

    Un funzionario saudita ha preso in giro Trump, suggerendogli di trasferire gli israeliani in Alaska e poi in Groenlandia se vuole davvero la pace in Medio Oriente
    Giubbe Rosse, 9.2.2025

    Un membro del potente Consiglio della Shura saudita, Yousef bin Trad Al-Saadoun, ha ridicolizzato il suggerimento del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di creare uno stato palestinese in Arabia Saudita, proponendo invece che il presidente degli Stati Uniti Donald Trump trasferisca gli israeliani in Alaska e in seguito in Groenlandia “dopo averla annessa”.
    Scrivendo venerdì sul quotidiano saudita Okaz, Al-Saadoun ha criticato l’approccio di Trump alla politica mediorientale, sostenendo che le decisioni sconsiderate derivano dall’ignorare i consigli degli esperti e dal respingere il dialogo.
    Ha avvertito che “i sionisti e i loro alleati” non riusciranno a manipolare la leadership saudita tramite le pressioni dei media e le manovre politiche.
    Prendendo di mira l’amministrazione Trump, Al-Saadoun ha detto che “la politica estera ufficiale degli Stati Uniti sta tentando di occupare illegalmente delle terre sovrane per poi effettuare la pulizia etnica dei suoi abitanti, e questo è niente altro che l’approccio israeliano considerato un crimine contro l’umanità. Chiunque segua il percorso della nascita e della continuazione della politica di Israele si rende chiaramente conto che questo piano è stato certamente formulato e approvato dall’entità sionista, ed è stato consegnato al loro alleato per essere enunciato dal podio della Casa Bianca”.
    “I sionisti e i loro sostenitori devono rendersi conto che non riusciranno a far cadere la leadership e il governo sauditi nelle trappole delle manovre mediatiche e delle false pressioni politiche”, ha scritto.
    Il Consiglio della Shura saudita è un’assemblea consultiva che consiglia il re su questioni legislative e politiche, senza avere autorità legislativa. I suoi membri sono nominati dal re e discutono leggi, piani economici e politiche sociali.

    L’appello israeliano per uno stato palestinese in Arabia Saudita
    Giovedì, Benjamin Netanyahu durante un’intervista al canale israeliano Channel 14 aveva dichiarato: “I sauditi possono creare uno stato palestinese in Arabia Saudita; hanno un sacco di terra laggiù”.
    Tali dichiarazioni sono state rilasciate dopo che Riad ha ribadito che avrebbe normalizzato le relazioni con Israele solo se fosse stato individuato un percorso chiaro verso la creazione di uno Stato palestinese.
    Dirigenti palestinesi ed egiziani hanno condannato la proposta di Netanyahu di creare uno Stato palestinese in Arabia Saudita, definendola un attacco alla sovranità del Regno.
    Il Ministero degli Esteri palestinese ha denunciato la proposta come “razzista e contraria alla pace”, etichettandola come una palese violazione della sovranità e della stabilità dell’Arabia Saudita. Hussein Al-Sheikh, segretario generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), ha affermato che le osservazioni di Netanyahu ignorano il diritto e le convenzioni internazionali, sottolineando che “lo Stato di Palestina sarà solo sulla terra della Palestina”.
    Anche l’Egitto ha criticato i commenti definendoli “irresponsabili e inaccettabili”, con il suo Ministero degli Esteri che ha affermato che le osservazioni di Netanyahu violano la sovranità saudita e violano sia il diritto internazionale che la Carta delle Nazioni Unite.
    L’Arabia Saudita ha ripetutamente affermato che la normalizzazione dei rapporti con Israele dipende dalla creazione di uno Stato palestinese.

  • agbiuso

    Febbraio 2, 2025

    La sopravvivenza strategica di Hamas fa impazzire Israele
    The Cradle, 23.1.2025

    Sfruttando la sua forza istituzionale, l’adattabilità sul campo e le tattiche psicologiche, Hamas ha magistralmente trasformato la distruzione di Gaza in una dimostrazione di Resilienza, ottenendo avanzamenti sia simbolici che tattici e impedendo a Israele di rivendicare una qualsiasi vittoria politica.

    Il rilascio di tre donne prigioniere israeliane a Gaza da parte dell’ala militare di Hamas, le Brigate Qassam, in cambio di 90 detenuti palestinesi, ha innescato una frenesia mediatica nello Stato di Occupazione.

    La “scena” drammatica, combattenti che spuntano tra le rovine della guerra, circondati da una folla esultante, ha minato le narrazioni ufficiali israeliane sulla guerra, i suoi obiettivi e il trattamento dei prigionieri israeliani. Ha sollevato una domanda che fa riflettere gli israeliani: cosa stavamo facendo a Gaza per 15 mesi?

    Le Brigate Qassam hanno organizzato ogni dettaglio dell’evento per massimizzare l’impatto. Dalle borse regalo griffate alle uniformi lucide dei combattenti, l’esibizione trasudava una precisione calcolata. Si è persino tenuta una sfilata militare in Piazza Saraya, un’area fortemente assediata dalle Forze di Occupazione Israeliane. La scelta del sito è stata voluta, a dimostrazione della continua Resilienza in un luogo destinato a simboleggiare la sconfitta di Tel Aviv nella sua più lunga campagna militare di sempre.

    Fonti di Hamas informano che la scelta della città di Gaza, posizionata a Nord della Valle di Gaza e del Corridoio Netzarim, un corridoio di separazione creata dall’esercito israeliano per dividere in due la Striscia, che presto si prevedeva sarebbe stato smantellato, è stata una decisione voluta e simbolica, scelta rispetto ad altre alternative per le sue implicazioni strategiche e politiche.

    Naturalmente, Hamas aveva la possibilità di rilasciare le detenute in luoghi “più sicuri”, come il centro o il Sud di Gaza, ma ha scelto intenzionalmente la piazza.

    Forza attraverso la strategia

    Il ritardo nella consegna dei tre prigionieri israeliani per diverse ore ha causato confusione tra gli israeliani, portando a molteplici violazioni dell’accordo di cessate il fuoco. Le Brigate Qassam hanno poi sorpreso il pubblico israeliano annunciando i nomi dei prigionieri prima che il governo, l’esercito o i media israeliani potessero farlo. Anche piccoli problemi logistici hanno ritardato brevemente il rilascio dei 90 prigionieri palestinesi, uomini e donne, ma sono stati rapidamente risolti.

    Ai tre prigionieri israeliani sono stati consegnati certificati di rilascio sia in ebraico che in arabo, rispecchiando le pratiche israeliane con i prigionieri palestinesi, e hanno ricevuto doni ricordo di Gaza, tra cui una mappa dettagliata dell’intera Striscia. Secondo le fonti, questi “misure deliberate e attentamente pianificate” avevano lo scopo di inviare un messaggio chiaro a Israele: Hamas non è né sconfitto né prossimo all’eliminazione.

    Il Canale 12 israeliano ha definito l’accordo di cessate il fuoco un “serbatoio di sorprendente ironia”, ma la forza dello scambio di prigionieri stava altrove. Per mesi, i negoziatori israeliani avevano cercato tramite la mediazione del Qatar e dell’Egitto, senza riuscirci, di estrarre un elenco dei prigionieri palestinesi da liberare.

    Hamas ha rifiutato, citando rischi per la sicurezza, e ha costretto Israele a pagare un prezzo molto più alto rispetto agli accordi precedenti. La tregua iniziale del 24 novembre 2023 ha visto tre palestinesi scambiati per ogni israeliano. Ora, dopo 15 estenuanti mesi di guerra, Israele ha dovuto rilasciare 10 volte quel rapporto, una chiara indicazione della leva perduta da Tel Aviv.

    La precedente breve tregua di sei giorni ha dato alle fazioni della Resistenza palestinese la possibilità di riorganizzarsi. Fonti rivelano che diversi battaglioni, colpiti da incessanti bombardamenti israeliani, sono riusciti a ritrovare la loro posizione operativa durante la tregua. Mentre il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva spinto per una pressione continua senza alcuna pausa nella brutale Campagna Militare di Israele, la breve tregua ha dimostrato che Hamas era abbastanza Resiliente da riprendersi rapidamente.

    Hamas ha ottenuto la vittoria a Gaza?

    Tutto ciò solleva la domanda centrale: Hamas ha ottenuto la vittoria a Gaza e, in caso affermativo, come e perché? Per rispondere in modo esaustivo, bisogna prima analizzare le origini fondanti e in evoluzione della forza del Movimento di Resistenza, esaminare i meccanismi alla base della sua adattabilità e del suo rinnovamento e infine considerare chi attualmente guida l’organizzazione, in particolare all’interno della Striscia di Gaza.

    Hamas oggi rimane profondamente presente non solo nelle strade palestinesi, ma anche nel più ampio mondo arabo e islamico. Nonostante la devastazione della guerra, l’Operazione Onda di Al-Aqsa, lanciata il 7 ottobre 2023, continua a risuonare fortemente, plasmando il sentimento pubblico e personale in tutto il mondo. Inoltre, fonti raccontano che questi eventi hanno alimentato un reclutamento significativo, con migliaia di giovani palestinesi che si sono uniti alle fila di Hamas.

    Anche i media israeliani, nonostante il loro tono spesso propagandistico, hanno riconosciuto questo fenomeno. Mentre gran parte della narrazione di Israele mira a giustificare un conflitto prolungato o la potenziale ripresa della guerra, ammissioni occasionali rivelano la crescente attrattiva della Resistenza tra i palestinesi.

    Fonti di Hamas sostengono che Israele ha creato “una brama di vendetta che durerà per generazioni”, descrivendo la guerra non semplicemente come una battaglia contro il Movimento di Resistenza, ma una guerra contro tutti i cittadini di Gaza. I Massacri e la distruzione diffusi hanno unito la strada palestinese, offuscando le distinzioni tra i sostenitori di Hamas e gli altri.

    “Coloro che non fanno parte di Hamas diventano inevitabilmente parte della Resistenza”, spiega una fonte, sottolineando che anche se Hamas dovesse cessare di esistere, al suo posto emergerebbe un nuovo e forse più forte movimento.

    Un funzionario della sicurezza europeo avrebbe condiviso preoccupazioni simili con un rappresentante di Hamas in Libano. Il funzionario ha avvertito che i circa 18.000 orfani di Gaza, creati da questa sola guerra, potrebbero formare un nuovo “Esercito di Liberazione” entro un decennio, uno ancora più feroce dei suoi predecessori.

    Adattabilità e apprendimento strategico

    Hamas ha sfruttato questa situazione terribile per la ricostruzione e il rinnovamento, perfezionando le sue strategie e operazioni. Al sesto mese di guerra, era evidente che il suo obiettivo si estendeva oltre le munizioni e gli armamenti, alla coltivazione di dirigenti e quadri.

    Le Brigate Qassam hanno dato priorità alla sicurezza dei combattenti e all’efficienza delle operazioni, assicurando che le risorse non venissero sprecate e che i percorsi di ritirata rimanessero sicuri. La politica israeliana di ridurre i palestinesi alla fame, in particolare nel Nord di Gaza, mirava a indebolire i combattenti della Resistenza limitando elementi nutrizionali vitali come le proteine ​​animali. Nonostante queste tattiche, Hamas si è adattata rapidamente, mitigando l’impatto attraverso misure preventive.

    Un altro fattore critico nella Resilienza di Hamas è il suo approccio sistematico allo sviluppo della dirigenza. Prima della guerra, le sue ali militari, in particolare le Brigate Qassam, gestivano programmi di addestramento e mantenevano un’accademia militare semi-ufficiale.

    Questa struttura ha permesso al gruppo di mantenere una dirigenza di alto livello nonostante l’assassinio di molti dei comandanti del Movimento. La competenza nella produzione di armi e missili è stata rapidamente trasferita, garantendo la continuità nelle operazioni.

    Guerra di apparati

    Anche l’apparato di raccolta informazioni di Hamas ha svolto un ruolo fondamentale, in cui è stata mantenuta la “segretezza” sulle informazioni chiave. Fonti raccontano che l’infrastruttura di sicurezza del Movimento, tra cui il servizio raccolta informazioni delle Brigate Qassam, della Sicurezza generale e della Sicurezza interna, è stata fondamentale per preservare la struttura e l’integrità dell’organizzazione durante la guerra.

    “Finché l’apparato di sicurezza è forte, il movimento resisterà”, nota una fonte. Anche quando le forze israeliane hanno preso di mira i membri del servizio raccolta informazioni, Hamas si è adattata, impiegando migliaia di persone, mettendo in sicurezza i prigionieri e trasferendo denaro, all’interno dei suoi quadri di sicurezza esistenti e dei nuovi metodi sviluppati durante la guerra.

    Il Movimento di Resistenza ha anche dimostrato notevoli capacità di controspionaggio. Le forze israeliane, insoddisfatte della loro sorveglianza aerea e tecnica, hanno fatto ricorso all’assalto di luoghi non solo per vantaggi militari, ma anche per installare apparecchiature di sorveglianza per cercare di colmare le loro lacune di monitoraggio. Nel frattempo, Hamas ha dato priorità alla segretezza operativa, monitorando attentamente giornalisti e fotografi tra le comunità sfollate per prevenire fughe di notizie che avrebbero potuto mettere in pericolo i combattenti o le loro famiglie. La fonte lo spiega così:

    “Finché l’apparato di sicurezza è presente e forte, il Movimento rimarrà al sicuro. Non importa quanto sia debole militarmente, politicamente o persino finanziariamente; ciò che è importante è che la sicurezza rimanga attiva. Dopo mesi di combattimenti armati, la battaglia si è trasformata in una guerra di informazioni, in particolare tra i servizi delle Brigate Qassam e l’agenzia di sicurezza israeliana Shin Bet”.

    Dirigenza a Gaza: chi guida Hamas?

    Dopo il martirio di Yahya Sinwar, il potente e intelligente capo di Hamas e “architetto” dell’Operazione Onda di Al-Aqsa, il Movimento di Resistenza si è astenuto dall’annunciare un nuovo capo dell’ufficio politico, lasciando senza risposta le domande sulla sua dirigenza. Le fonti confermano, tuttavia, che il Movimento è attualmente governato da un comitato di cinque membri che rappresentano Gaza, la Cisgiordania e la diaspora, con Musa Abu Marzouk che svolge un ruolo chiave nelle relazioni internazionali.

    I media israeliani hanno spesso speculato sul ruolo di Mohammad Sinwar, fratello di Yahya, descrivendolo come una figura centrale e senza compromessi nel processo decisionale di Hamas. La vita del giovane Sinwar non è meno misteriosa di quella del comandante militare delle Brigate Qassam Mohammed Deif, ed è stato anche lui sottoposto a sei tentativi di assassinio negli ultimi trent’anni.

    Sebbene Mohammad Sinwar non abbia un passato politico o di sicurezza, la sua esperienza come Comandante di Brigata e di operazioni lo ha reso una figura formidabile nella Resistenza di Gaza. I resoconti suggeriscono che durante i negoziati, Israele ha persino proposto di deportare il giovane Sinwar per risolvere il conflitto, un’offerta che Hamas ha respinto.

    Sebbene i resoconti israeliani spesso personalizzino ed esagerino i ruoli di dirigenza, spesso proprio prima di un tentativo di assassinio, gli addetti ai lavori sottolineano che Hamas opera come un’istituzione, non come un movimento guidato da un capo. Questo quadro istituzionale è stato fondamentale per la sua Resilienza, consentendogli di resistere alle pressioni esterne e alle sfide interne.

    Nonostante la devastazione provocata dalla guerra, Hamas è riuscita a rafforzare il suo quadro istituzionale e a mantenere la coesione, un’impresa rara tra le fazioni palestinesi. Mentre la dirigenza di Yahya Sinwar durante le operazioni cruciali, come l’Operazione Onda di Al-Aqsa, dimostra l’acume strategico del Movimento, la vera fonte della forza di Hamas risiede nella sua struttura collettiva e istituzionale. Questo quadro gli ha permesso di resistere anche alle sfide più estreme.

    Senza questa Resilienza istituzionale, i progressi di Hamas si sarebbero probabilmente dissolti all’inizio del conflitto, consegnando allo Stato di Occupazione la decisiva vittoria politica che cercava, una vittoria che rimane irrealizzata.

  • agbiuso

    Gennaio 27, 2025

    Ricordo che il campo di Auschwitz venne liberato dai soldati russi, e non dagli angloamericani, esattamente dalla centesima divisione della sessantesima armata dell’Armata Rossa; il 27 gennaio 1945 gli Alleati non avevano ancora attraversato il Reno, lo faranno alcuni mesi dopo.
    Rammento anche che i Palestinesi sono un popolo di etnia semita.

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