L’appuntamento del 2024 del ciclo che da anni l’Associazione Studenti di Filosofia Unict dedica alle relazioni tra filosofia e letteratura ha riguardato tre dei massimi poeti italiani: Francesco Petrarca, Giacomo Leopardi e Giuseppe Ungaretti.
Ho avuto il piacere di parlarne alla presenza dialogante di Giuseppe Savoca, tra i più riconosciuti studiosi al mondo di tutti e tre i poeti. L’intervento del Prof. Savoca inizia dal minuto 53.20 e dura dieci minuti circa. Al minuto 1.28.20 abbiamo ascoltato e visto Ungaretti leggere la sua poesia In memoria.
Metto qui a disposizione la registrazione audio del secondo dei due incontri, che si sono svolti la scorsa primavera. Nel primo avevamo parlato di Petrarca e introdotto Leopardi. In quello del 9 maggio 2024 abbiamo letto Leopardi e Ungaretti.
La registrazione dura un’ora e cinquanta minuti ma per fortuna la si può scaricare e ascoltare con comodo quando si vuole.
Qui le notizie che il sito dell’ASFU ha dedicato ai due incontri :
– «Altro diletto che ‘mparar non provo»
– «Così divenni furia non mortale»
3 commenti
Luca
Un commento non può farsi trattato. Comunque grazie per il ricco contributo al sempre ancora troppo poco discusso apporto “filosofico-metafisico” leopardiano.
Andrò per punti:
1 la derivazione del pensiero leopardiano dalle sue sventure esistenzial-corporali è stata variamente battuta in Italia: dal De Sanctis, da positivisti (tra Lombroso e Sergi), dal Croce cui si deve la famosa formula della “vita strozzata”, da improvvisati “freudiani” di sinistra negli anni ‘70, contro tutti i quali s’è battuto Timpanaro;
2 che la teoresi leopardiana, per quanto acuta, manchi di oggettività filosofica, e soprattutto ontologica, è stato sostenuto non solo dai succitati, ma anche dal Gentile, dal Luporini, dal Damiani (curatore delle Zibaldone di pensieri e delle opere, per i Meridiani Mondadori) e con pochissime eccezioni (cfr. esempio Antonio Prete) dall’intera caterva di critici “letterari” della poesia del Leopardi, che o disaccoppiano poesia e pensiero o subordinano questo a quella senz’altro. Mentre Rensi, Tilgher Severino, ed un forse primo ma senz’altro obliato Pasquale Gatti, in tempi e modi diversi hanno giusto sostenuto e argomentato l’opposto. La questione è aperta e meriterebbe migliori attenzioni…
3 né il Ranieri, né il Gioberti entrambi, con diversa statura, “credenti” e “intimi” del Leopardi, né il gesuita napoletano che s’è inventata la conversione del Leopardi in punto di morte, hanno potuto sostenere o sostenuto quanto affermato dal prof. Savoca, che Leopardi sia “rimasto” per tutta la vita “credente”; ciò non toglie che egli abbia avuto un rapporto forte esperienzialmente e teoreticamente con le dottrine cattoliche, ma gioverebbe anche ricordare che uno dei suoi massimi detrattori anche dall’esilio parigino è stato il religiosissimo (in parole) Niccolò Tommaseo, e che anche il pio Manzoni fu assai tiepido verso la “grandezza” leopardiana…
4 il prof. Savoca ha commesso un piccolo lapsus da concitazione affermando che la prima edizione delle Operette morali risale al 1924, che è invece l’anno della composizione della maggior parte di esse, edite per la prima volta da Stella a Milano nel 1927 – lo stesso anno del completamento dell’edizione dei Promessi sposi manzoniani. Un secolo dopo, cadendo il primo centenario della pubblicazione delle operette, il De Robertis lamentava la quasi assenza di celebrazioni per l’anniversario, e mi chiedo se qualcosa di meglio ci riuscirà di fare per il bicentenario…mentre tra i primi, se non il primo, a riconoscere il livello europeo delle Operette Morali, è stato – così annotava il compianto decano degli studi di italianistica Mario Marti – il poeta Vincenzo Cardarelli…
5 va bene, caro professor Biuso rimarcare la linea “musical-poetica” francese, per quel che riguarda gli afflati musicali ungarettiani, tuttavia mi permetto ricordare come per il “professor” Ungaretti oggetto costante di studio sia stata l’opera poetica (e teorica) leopardiana, sebbene egli non senza un qualche azzardo la ascrivesse al Romanticismo europeo: memorabile e degna di particolare menzione (quanto poco nota) mi pare ancora essere l’interpretazione ungarettiana del terzo dei Canti, Ad Angelo Mai. Luca Carbone
Michele Del Vecchio
La tua vitalità e le tue risorse intellettuali sono senza confini e senza barriere. Lo spirito libero che ti anima si coglie anche in questa circostanza in cui dialoghi con un importante studioso di una disciplina che non è la tua. E offri agli studenti che ti seguono l’occasione di sentirsi co-protagonisti e di entrare nel vivo di autori e opere indimenticabili che, tuttavia, oggi molti lasciano da parte. Senza sapere cosa perdono. Un caro saluto.
agbiuso
Davvero grazie e sempre, caro Michele, per la tua stima, per le tue parole.