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La soluzione finale

La soluzione finale

Nel saggio dedicato al Genocidio dei palestinesi pubblicato sul numero 68 (luglio-agosto 2024) della rivista Dialoghi Mediterranei avevo ampiamente citato il rapporto – dal titolo A/HRC/55/73 – del «Relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967», incarico attualmente ricoperto dall’italiana Francesca Albanese.
Il primo ottobre 2024 l’ONU ha presentato un secondo rapporto dal titolo A/79/384. Il genocidio come cancellazione coloniale. Pubblico qui sia il testo originale sia la traduzione predisposta dal sito «L’Indipendente» e diffusa anche dalla testata girodivite.it. Consiglio vivamente la lettura integrale delle sue 35 pagine (eventualmente anche scaglionandola nel tempo). Il testo in quanto tale è assai più breve, esso è integrato infatti da ben 321 note tecnico-giuridiche.
La relatrice Albanese sintetizza i contenuti del Rapporto in una chiara e vivace intervista  dal titolo: Perché quello israeliano è un genocidio: intervista alla Relatrice ONU Francesca Albanese (L’Indipendente, 9.11.2024).

Chi leggerà il rapporto A/79/384 si farà un’idea ampia e concreta di quanto sta accadendo sotto i nostri occhi e confronterà tale idea con la propria coscienza di persona umana e di cittadino. Qui seleziono alcuni brani e tuttavia, ripeto, soltanto una lettura integrale del documento potrà far capire, se desideriamo capire e se desideriamo sapere.

Pdf del Rapporto in inglese

Pdf della traduzione italiana

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La totalità degli atti di distruzione israeliani sono diretti contro l’intero popolo palestinese con l’obiettivo di conquistare l’intero territorio della Palestina.

La violenza si è diffusa oltre Gaza, poiché le forze israeliane e i coloni violenti hanno intensificato i modelli di pulizia etnica e apartheid in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est.

Dal precedente rapporto della Relatrice Speciale (A/78/545), e nonostante gli interventi della Corte internazionale di giustizia, gli atti genocidi si sono moltiplicati. L’assalto, che risponde alla tattica del “fare terra bruciata”, durato quasi un anno, ha portato alla distruzione calcolata di Gaza: il costo umano, materiale e ambientale incommensurabile.
Dal marzo 2024, Israele ha ucciso 10.037 palestinesi e ferito 21.767 in almeno 93 massacri, portando il bilancio rispettivamente a quasi 42.000 e 96.000, sebbene i dati provenienti da fonti attendibili siano incompleti e potrebbero sottostimare l’entità delle perdite.

Almeno 13.000 bambini, tra cui più di 700 neonati36, venivano uccisi, spesso con un proiettile conficcato nella testa o nel petto.
In 300 giorni, 32 ospedali su 36 sono stati danneggiati, 20 ospedali e 70 su 119 centri di assistenza sanitaria di base sono stati resi incapaci di funzionare69. Al 20 agosto, Israele aveva attaccato strutture sanitarie 492 volte.
Dal 18 al 1o di aprile, le forze israeliane hanno nuovamente assediato l’ospedale di Chifa, uccidendo pi. di 400 persone e arrestandone altre 300, tra cui medici, pazienti, sfollati e funzionari pubblici.
Nell’agosto 2024, il ministro delle finanze israeliano Bezalel Smotrich ha affermato che era “giustificato e morale” far morire di fame l’intera popolazione di Gaza, anche se dovessero morire 2 milioni di persone.
I palestinesi subiscono sistematicamente maltrattamenti nella rete israeliana di campi di tortura.

La devastazione inflitta a Gaza si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. Nel dicembre 2023, il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant aveva predetto che “quando l’IDF finir. Gaza, sarà il turno della Giudea e della Samaria [Cisgiordania]”.
25. Tra il 7 ottobre 2023 e la fine di settembre 2024, le forze israeliane hanno effettuato pi. di 5.505 raid. Coloni violenti, che agiscono con il sostegno delle forze israeliane e dei funzionari israeliani, hanno effettuato 1.084 attacchi, uccidendo più di 692 palestinesi.

Come a Gaza, molti di loro sono accademici, studenti, avvocati, giornalisti e difensori dei diritti umani, descritti come “terroristi” o “minacce alla sicurezza nazionale.

55. L’ambizione di fondare un “Grande Israele” (Eretz Israel), e consolidare così la sovranità ebraica sul territorio che oggi comprende sia Israele che i territori palestinesi occupati, è un obiettivo di lunga data, presente fin dagli inizi del progetto sionista e anche prima della creazione dello Stato di Israele. Il diritto, legittimamente riconosciuto, all’autodeterminazione dei palestinesi in relazione a questo territorio così come la loro presenza in gran numero costituiva ostacoli giuridici e demografici alla realizzazione del “Grande Israele”.
56. I governi che si sono succeduti hanno perseguito questo obiettivo, che si basa sulla cancellazione del popolo indigeno palestinese.

Tuttavia, è risaputo che Israele non può legittimamente invocare l’autodifesa contro la popolazione sotto occupazione.
Continuando a reprimere l’esercizio del diritto all’autodeterminazione, Israele riproduce casi storici in cui l’autodifesa, la controinsurrezione o l’antiterrorismo sono stati utilizzati per giustificare la distruzione del gruppo, portando al genocidio.
Come annunciato dal presidente di Israele, Isaac Herzog, Israele agisce sulla base del fatto che “un’intera nazione è responsabile”. L’intera popolazione – che Israele, secondo le sue stesse parole, ritiene non innocente e non dovrebbe essere scagionata – è stata oggetto di attacchi indiscriminati e sproporzionati.
Le tattiche della terra bruciata hanno diffuso il terrore tra i civili, ben oltre i limiti della forza legittima. Il continuo e infondato richiamo all’affiliazione con Hamas così come le accuse di utilizzo di “scudi umani” in quasi ogni attacco contribuiscono a nascondere il fatto che i civili vengono sistematicamente presi di mira, il che di fatto cancella la natura civile della popolazione palestinese.

Hind Rajab, 6 anni, ucciso da 355 proiettili dopo aver pianto per ore.
Quando la polvere si sarà depositata su Gaza, conosceremo la reale portata dell’orrore vissuto dai palestinesi.
Il numero di ostaggi uccisi dai bombardamenti indiscriminati israeliani o dal fuoco amico è stato superiore al numero di ostaggi salvati.

Oggi, il genocidio della popolazione palestinese sembra essere il mezzo per raggiungere un fine: la completa espulsione o sradicamento dei palestinesi dalla terra che è parte integrante della loro identità e che è illegalmente e apertamente ambita da Israele.
Riconoscere ufficialmente che Israele è uno stato di apartheid e che viola costantemente il diritto internazionale.

9 commenti

  • agbiuso

    Gennaio 18, 2025

    PERCHÉ TIKTOK FA COSÌ TANTA PAURA AGLI USA
    Giubbe Rosse, 18.1.2025

    Se guardate questo video di Gaza e osservate la piattaforma con la quale è stato creato e veicolato nel mondo, non dovrebbe sfuggirvi il vero motivo per cui gli USA temono così tanto TikTok al punto da minacciare di bannarlo se non passerà in mani statunitensi.

    Gaza 2024-2025 (file mp4, durata 29 secondi)

    Gli USA non temono la tecnologia. Non temono i social media. Non temono i rischi sollevati dall’uso dell’intelligenza artificiale, come ha detto Biden nel suo discorso di commiato. Queste cose le hanno inventate loro. Le temono nel momento in cui non sono loro a controllarle. Non li spaventa affatto l’esistenza di un’oligarchia finanziaria. Fino a pochi mesi fa, al contrario, sembrava andargli benissimo. Li spaventa nel momento in cui non riescono più a controllarla ed essa si permette, anche solo per interessi contingenti, di offrire libertà di espressione e libertà di informazione. Twitter non li spaventava affatto, X invece li spaventa a morte. Eppure è la stessa piattaforma, solo con un altro proprietario e un altro nome.
    Tiktok non è di per sé tanto diverso da Facebook, Instagram, WhatsApp, YouTube e tante altre piattaforme social che esistono oggi. Non ha funzionalità propriamente esclusive che le altre piattaforme già non offrano. Non è di per sé più diseducativo di altri social e, del resto, se quella fosse davvero la loro preoccupazione, magari si preoccuperebbero di chiudere OnlyFans o PornHub. No, invece, si accaniscono contro TikTok.
    L’unico vero motivo per cui TikTok è così pericoloso ai loro occhi è che non lo controllano loro. È lo stesso motivo per cui per anni hanno perseguito in tutti i modi Telegram, almeno fino a quando non sono riusciti ad arrestare Durov e a costringerlo a venire a patti. A loro fa paura non la tecnologia in sé, non la piattaforma in sé, ma ogni tecnologia e ogni piattaforma che non possano controllare direttamente.
    Vogliono controllare tutte le tecnologie e tutte le piattaforme per controllare le informazioni che ricevete e decidere loro quali notizie dovete leggere, guardare, ascoltare e quali no. Per decidere loro che cos’è informazione e che cos’è disinformazione, in modo da consentire la prima e censurare la seconda.
    Si chiama controllo sociale e non lo hanno inventato i cinesi.

  • agbiuso

    Gennaio 4, 2025

    Andrea Zhok
    3.1.2025

    Ieri, stando ai resoconti di stamane, sono stati uccisi 63 civili palestinesi dall’esercito israeliano.
    Nelle ultime 72 ore risultano morti di stenti e freddo 7 bambini nelle “safety zones” palestinesi.
    Ah, dimenticavo, buon anno a tutti.
    Il primo impulso oggi sarebbe di dire che mi vergogno di essere italiano ed europeo.
    Ma francamente, oltre ad appartenere al novero delle dichiarazioni sterilmente patetiche, si tratterebbe di una proposizione profondamente ingiusta.
    Perché significherebbe lasciare alle nostre attuali classi dirigenti la titolarità di presentarsi come eredi di una storia e di una cultura grandi, di una storia e una cultura che essi ignorano e disprezzano.
    No, l’unica cosa di cui credo sia giusto provare davvero vergogna è di vivere in un protettorato americano, guidato da una classe politica (con destra o sinistra perfettamente equivalenti) composta di servi di bottega, di lacchè senza dignità, disponibili a svendere ogni briciola del proprio paese, del proprio popolo, della propria storia pur di mantenersi in sella per qualche mese in più, pur di godere delle genuflessioni untuose di greggi mediatici dipendenti dai medesimi padroni.
    C’è chi dice che la classe politica agisce così perché cerca di preservare il benessere del proprio paese pur sotto condizioni di oggettivo ricatto.
    Solo che queste sono semplicemente balle autogiustificatorie.
    Ogni mese che passa, ogni decisione autolesionista che viene infilata come perline, una dietro l’altra, porta l’Europa, e l’Italia, come vaso di coccio tra vasi di latta, ad indebolirsi ulteriormente. E quanto più questa cessione di sovranità e indipendenza procede, tanto minore sarà il potere contrattuale per poter resistere alla pressione successiva.
    L’Europa che si è consegnata mani e piedi alle forniture energetiche americane si è evirata con le proprie mani. Poteva resistere, poteva capire, poteva negoziare, ma non lo ha fatto. E non lo ha fatto perché le sue classi dirigenti sono composte in misure bilanciate di imbecilli e di venduti, cioè di gente che pensa sul serio di vivere nel migliore dei mondi possibili (il giardino liberaldemocratico) e di gente il cui sogno esistenziale sarebbe di vendersi la Sicilia per un appartamento a Manhattan.

    Ma visto che è l’inizio di un nuovo anno, cerchiamo di scorgere qualcosa di buono in questo disastro umano e civile. Ecco, l’elemento amaramente positivo di questa situazione è che il processo di decomposizione occidentale ha preso un passo accelerato, gli scricchiolii aumentano di frequenza come accade tipicamente nelle fasi che preludono ai crolli.
    Pensiamo solo a quel non banale dettaglio che è la sorte dell’ideologia del diritto.
    L’Occidente ha prodotto come sua principale sovrastruttura autogiustificativa globale l’idea di essere l’alfiere del Diritto contro la Volontà soggettiva: i “diritti umani”, il “diritto internazionale”, il “diritto di proprietà”, il “sistema fondato sulle regole”, ecc.
    Negli ultimi 4 anni ogni parvenza in questo senso si è dissolta come neve al sole.
    Non che in precedenza davvero i “diritti umani” potessero essere compatibili, per dire, con 600.000 morti in Irak per “liberarli dalla dittatura”. Ma la frequenza delle violazioni più manifeste era tale da consentire di dissimularle, di annegarle in altro notiziame brado di varia umanità. Ma cose come la complicità con l’eccidio palestinese in corso da parte degli eredi di Erode superano ogni livello di dissimulabilità: sono uno schiaffo in faccia ad ogni parvenza di umanità, sono una vergogna che rimarrà nella storia.

    Similmente, ma su un piano differente, il rispetto sacrale della proprietà legittima è stata parte della struttura di diritto portante dell’Occidente. Può piacere o non piacere, ma l’idea di un diritto inscalfibile conferiva comunque una dimensione di affidabilità e non arbitrarietà al sistema occidentale. Anche questo si è dissolto nello spazio di un mattino, dapprima congelando conti correnti a contestatori politici, poi sequestrando beni di cittadini privati (russi), bloccando fondi finanziari in transito, cedendo gli interessi su quei fondi a entità statali terze, ed infine appropriandosi definitivamente di questi fondi stessi (unico passo su cui c’è ancora qualche resistenza in Europa). In un paio d’anni tutto il patrimonio secolare di affidabilità delle istituzioni finanziarie occidentali è finito giù per lo scarico.
    O ancora, l’Occidente si è fatto vanto per lungo tempo di essere il luogo della libertà d’opinione e di parola. Ma anche qui, in tempi rapidissimi si è passati dalla persecuzione di Assange, alla chiusura di siti e pagine sgraditi, alla rimozione delle emittenti internazionali non allineate dalle piattaforme comunicative, all’arresto pretestuoso di Pavel Durov, patron dell’unico social riottoso ai desiderata della NSA, ai decreti censori del Digital Service Act, alla serena accettazione che l’ultimo anno abbia segnato il record di uccisioni di giornalisti sul campo, ecc. ecc.
    La lista dei segni di collasso potrebbe continuar a lungo.
    Molto semplicemente, l’ideologia autogiustificativa dell’Occidente ha perduto in brevissimo tempo, all’interno ma soprattutto all’esterno, ogni credibilità, e ciò lascia campo libero al puro e semplice esercizio della forza.
    Ma quando si arriva al piano della forza, l’Occidente non ha più poi tante carte da giocare: le risorse naturali e demografiche lo vedono perdente, mentre il primato tecnologico non è più così netto (e verso alcuni paesi extraoccidentali non c’è proprio più).

    Dunque qual è la buona novella di questo inizio d’anno?
    Ecco credo che la buona notizia sia soltanto una: la parabola del lungo tramonto dell’Occidente ha subito una brusca accelerazione, la stagnazione senza sbocco sta giungendo a conclusione, tempi nuovi sono alle porte.
    Come la storia del termine “apocalisse” ricorda, lo svelamento del nuovo tende ad avere caratteri cruenti, dunque l’avvento dei tempi nuovi non è una buona notizia per chi vive con agio il presente e brama solo una sua serena prosecuzione. Ma per tutti gli altri, si apre la stagione in cui ogni azione conterà doppio, la stagione in cui si gettano i semi dell’epoca a venire.

  • agbiuso

    Dicembre 31, 2024

    «Lo Stato ebraico e sionista di Israele prosegue la sua “soluzione finale” scimmiottando, e se possibile peggiorando, l’operato dei nazisti durante la seconda guerra mondiale».

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    Testimonianza dalle prigioni israeliane
    di Moira Amargi, 23.12.2024

    Mentre agenti sionisti come Liliana Segre continuano ad assicurare che Israele è l’unica democrazia del Medioriente e che quello che i milioni di manifestanti in tutto il mondo denunciano come “genocidio” non è altro che il “diritto di Israele a esistere e difendersi” e mentre il papa dopo oltre 40.000 morti a Gaza dice che non è ancora accertato se si tratti di genocidio, lo sterminio di palestinesi da parte dello Stato ebraico e sionista di Israele prosegue la sua “soluzione finale” scimmiottando, e se possibile peggiorando, l’operato dei nazisti durante la seconda guerra mondiale.

    Ma non sono solo i bombardamenti. Ogni giorno palestinesi anche solo lontani parenti di membri della resistenza, per giunta morti, vengono arrestati, rinchiusi in carcere, numerati e torturati dai sionisti, spesso fino alla morte, con la complicità e il sostegno dei gruppi imperialisti Usa e Ue. Un’esperienza di oppressione e persecuzione che non fa altro che alimentare l’odio verso l’oppressore e la consapevolezza di doversi ribellare e in qualche modo fare il proprio per rafforzare la resistenza. Questo viene raccontato, ad esempio, in un reportage pubblicato su L’Indipendente che rilanciamo a seguire.

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    Testimonianza dalle prigioni israeliane, dove le torture sono quotidianità

    Tratto da L’indipendente, 9 dicembre 2024

    Jenin, Palestina – Il viso è scavato, la pelle bianca tirata sugli zigomi sporgenti. Gli occhi, stanchi ma spalancati, non si fermano mai. Abed è appena uscito dalla prigione di Al-Naqab, nel sud di Israele, cinque giorni fa. Ancora non ci crede. «Ho perso 60 chili in meno di un anno». Mostra una gigantografia di se stesso appesa all’ingresso: un uomo in carne, muscoloso, sorride con una bambina piccola in braccio. «Quella è mia figlia, quello sono io. È passato un anno». L’uomo che ho davanti pare lo spettro dell’immagine appesa. Nemmeno la bambina che zompetta dietro di noi sembra riconoscerlo: quando il padre la chiama, si butta tra le braccia del cugino, quasi spaventata. «Mia figlia quando mi ha visto per la prima volta si nascondeva, mi chiamava zio. É stato tristissimo». Abed ha 29 anni, di mestiere faceva il panettiere. L’hanno arrestato nel dicembre scorso, in un raid notturno dove i militari israeliani sono entrati nella sua casa sfondandogli la porta, spaccando vari mobili e finestre. E l’hanno portato via. Non avrà più notizie della sua famiglia né nessun contatto con il mondo esterno fino al 30 novembre 2024.

    Siamo a casa sua, nel refugee camp di Jenin, forse la città più toccata dagli attacchi israeliani in Cisgiordania nell’ultimo anno. Per arrivarci bisogna percorrere varie strade inondate di fango e acqua, con un panorama di mucchi di detriti e di case danneggiate o abbattute. La distruzione dei D9 e dei bulldozer di Tel Aviv infatti non ha risparmiato nessuna infrastruttura del campo considerato da Israele una delle roccaforti della resistenza in Cisgiordania: ogni strada, come il sistema idrico ed elettrico, sono stati sistematicamente e metodicamente devastate. «Mi hanno arrestato solo perché sono palestinese» inizia così il suo racconto Abed, che ci tiene a sottolineare che lui non era legato a nessun partito, non faceva parte della resistenza. «Le condizioni in cui ci tenevano erano terribili. Non so se riuscirò a parlare di quello che ho vissuto… nemmeno gli animali vengono tenuti così».

    Nel suo racconto è un fiume in piena. «Mi hanno dato lo shampoo sei volte in un anno» racconta. «Potevamo fare la doccia, ma non ci davano niente per lavarci». Prima del 7 ottobre, la vita per i palestinesi in prigione era diversa. Poi i detenuti hanno subito la vendetta di Israele sulla loro pelle. «Siamo diventati numeri. Ci chiamavano per numero, sempre». Ce lo mostra, glielo hanno scritto in pennarello sulla sua carta d’identità. Saranno state 7-8 cifre: sembra di tornare a momenti della storia che si speravano sorpassati. «Il primo giorno mi hanno dato un piatto, un cucchiaio e una forchetta di plastica, di quelli usa e getta. L’ho dovuto usare per un anno». Sorride. «È assurdo, ma quando sono uscito, li volevo portare con me. Non so più come usare quelle vere». Vivevano in 14 in una cella che era fatta per 9 persone. Dormivano senza materassi, in letti duri come pietre o per terra, stretti gli uni agli altri per tenersi al caldo. «Non avevamo abbastanza vestiti, e non ci davano niente per coprirci. Le persone facevano le calze tagliando pezzi dalle coperte».

    «Quando ci portavano il cibo, non era abbastanza per gli esseri umani. Non era abbastanza per sopravvivere… io ho perso 60 kg, ma se in prigione la mia situazione non era così buona, la condizione di molti altri era peggiore». Le notizie che arrivavano da fuori erano solo quando arrivavano nuovi detenuti. Altrimenti, nessuna informazione dal mondo esterno. «Dal 7 ottobre hanno tolto tutto: tv, libri, giornali, nessuna visita, nessuna lettera ai famigliari, nessun contatto con l’avvocato». Nemmeno le udienze erano un’occasione per incontrare il legale, o un volto amico. «Non c’era un vero tribunale, era una stanza, hanno spostato tutto online». E aggiunge: «Tutte le volte che ci spostavano dalla cella a quella stanza, o da un’altra parte, sapevamo che non saremmo tornati sani». Le botte erano la normalità, e potevano arrivare anche durante le numerose perquisizioni o i conteggi che facevano dei detenuti nelle celle.

    «Io ho la scabbia. Quasi tutti in carcere hanno la scabbia, almeno il 90%… Ce l’avevo su tutto il corpo… non era normale. Non ci davano medicine. Era una tortura». Poi parla di un episodio strano. «Una volta finalmente mi hanno mandato dal “dottore”, in carcere non c’era l’ospedale, e comunque non ti davano niente… c’era un gruppo di persone che non erano israeliani, erano internazionali. A uno di questi “dottori” ho chiesto di dov’era, mi ha detto francese… non mi ha aiutato. A volte penso che stavano facendo dei test su di noi, come fossimo animali». Ripete più volte: «voglio solo essere considerato un essere umano, non importa che sono palestinese, sono un essere umano».

    Ci mostra il video di quando è uscito di prigione, pochi giorni fa. Piangeva mentre tra una folla di parenti e amici abbracciava sua madre. «Per un anno, non ho mai pianto. Ma appena ho visto mia madre ho pianto», racconta. «Mia madre era malata. Non ho mai potuto scriverle. Ma ogni volta che avevo la possibilità di vedere la luna dalla cella, le mandavo un messaggio tramite la luna».

    Nelle carceri israeliane si contano almeno 47 detenuti morti dal 7 ottobre, a causa delle torture o delle mancate cure da parte di Israele. Gli chiedo se è stato testimone di episodi di questo tipo. Si rabbuia. «Uno di questi 47 era nella mia cella», dice. «L’hanno portato che era già massacrato di botte, era ferito. L’avevano spostato lì. Poi l’hanno picchiato ancora. La notte sono entrati a contarci, lo facevano spesso. Era inverno, faceva freddo. Lui era ancora sdraiato per terra, perché stava male, non riusciva ad alzarsi. Ricordo che vedevo il sangue che gli usciva del petto, credo aveva emorragie interne ma anche esterne, perdeva sangue. La polizia l’ha preso di peso e l’ha portato fuori dalla cella, io lo riuscivo a vedere. L’hanno lasciato lì all’aperto, per ore e ore. Ci ha messo sei ore a morire. Davanti ai miei occhi». Volevano ucciderlo, dice tra le righe. Era politicizzato, del partito di Hamas. Non ha voluto dire il nome.

    Ha paura Abed, non vuole tornare in prigione. «Non voglio mai più vivere quella condizione di vita», dice. Lo stato di Israele infatti non dimentica. Abed ci indica Karim, un ragazzino di forse quindici anni che è seduto al suo fianco dall’inizio della chiacchierata. «Ogni volta che fanno un’incursione qui nel campo, i militari entrano in casa sua e picchiano tutta la sua famiglia. Questo perché un membro della sua famiglia in passato aveva relazioni con la resistenza… Anche se è morto, continuano a vendicarsi e a punire tutta la famiglia. Picchiano tutti.»

    «Anche se crediamo nella pace dov’è la pace? Quale pace? Io voglio la pace. Israele non vuole la pace». Chiede se può lasciare un messaggio al resto del mondo. Prende il mio quaderno e scrive in grandi caratteri arabi, sottolineando la scritta varie volte: «Tutti i palestinesi amano la vita».

    * Nota: nomi e date sono state modificate per proteggere l’identità e le richieste delle fonti di questo articolo.

  • agbiuso

    Dicembre 23, 2024

    Da: Le Grand Israël et le Machia’h victorieux
    di Alexandre Douguine, EURO-SYNERGIES, 22.12.2024

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    L’identité des Israéliens et des Juifs restés dans la diaspora s’est progressivement modifiée. L’accent est mis de plus en plus sur leur démonstration de force et de puissance, ainsi que sur l’aspiration à créer un Grand Israël. Dans le même temps, les idées messianiques se sont intensifiées: attente de l’arrivée imminente du Machia’h, début de la construction du troisième temple (qui nécessiterait le dynamitage du sanctuaire islamique de la mosquée al-Aqsa), forte augmentation des zones sous contrôle israélien (d’un océan à l’autre) et résolution définitive de la question palestinienne (appels directs à la déportation et au génocide des Palestiniens).

    Ces idées sont soutenues par Benjamin Netanyahu et plusieurs de ses collaborateurs, les ministres Ben Gvir, Bezalel Smotrich, etc. Ce programme est ouvertement reflété dans la « Torah royale » d’Yitzhak Shapira, dans les sermons des rabbins Kook, Meyer Kahane et Dov Lior. D’un point de vue stratégique, il a été décrit en 1980 dans un article du conseiller de Sharon, le général Oded Yinon. Le plan de Yinon était de renverser tous les régimes arabes appuyés sur l’idéologie nationaliste baasiste afin de plonger le monde arabe dans un chaos sanglant et de créer un Grand Israël.
    […]
    Le monde arabe est en effet plongé dans le chaos. Le Grand Israël et l’extermination des Palestiniens deviennent une réalité sous nos yeux.
    Ce dernier point est important : les politiciens sionistes de droite abandonnent le référent à l’Holocauste. Le capital moral des victimes de celui-ci est maintenant complètement épuisé. Israël affiche sa puissance, sa grandeur et sa cruauté actuelles, presque comme si nous étions revenus à l’Ancien Testament. Aujourd’hui, les Juifs ne sont plus pris en pitié, mais craints, haïs, détestés ou admirés et, dans tous les cas, considérés comme une force puissante et impitoyable.

    L’identité juive a changé. Elle n’est plus symbole d’humiliation et de souffrance, mais synonyme de domination et de triomphe. Il n’est plus nécessaire de penser depuis Auschwitz. Il faut maintenant penser à partir de Gaza. La tradition juive elle-même parle de deux Machia’h, celui qui souffre (Ben Yusef) et celui qui est victorieux (Ben David). Après l’holocauste européen, l’accent a été mis sur le Machia’h souffrant, la victime. Aujourd’hui, cette Gestalt est remplacée par le Machia’h victorieux, celui qui attaque, celui qui triomphe. C’est particulièrement évident en Israël même. Mais il est clair que cela ne s’arrêtera pas là. Il y a un changement d’archétype messianique parmi tous les Juifs du monde.
    C’est précisément dans ce contexte que Donald Trump, un fervent partisan du sionisme de droite et de Netanyahou, arrive au pouvoir aux États-Unis. Une partie importante de l’entourage de Trump est constituée de sionistes chrétiens, qui sont prêts à apporter tout leur soutien à Israël. Une fois de plus, le capital de compassion devient capital d’agression. C’est très, très grave et cela ne tardera pas à s’aggraver. D’un autre côté, nous ne devons pas tirer de conclusions, de jugements ou d’évaluations hâtives. Il faut d’abord bien analyser la situation et rassembler de nombreux faits, événements et incidents pour avoir une image cohérente des événements.

  • agbiuso

    Dicembre 15, 2024

    Israele è uno stato assassino e terrorista.

  • agbiuso

    Dicembre 5, 2024

    Conferme del genocidio in atto contro gli umani palestinesi.

  • agbiuso

    Novembre 22, 2024

    Un’affermazione che si pone dalla parte di chi sta attuando lo sterminio di un intero popolo nei modi più efferati e totali rispetto a chi – per sopravvivere nella disperazione – ha ucciso nei decenni un numero di persone assolutamente imparagonabile rispetto alle vittime di Israele.
    Questa dichiarazione di Giorgia Meloni è semplicemente infame e dimostra più di ogni altra azione la piena servitù dell’Italia al sionismo. Rifiuto totalmente un simile presidente del consiglio.

  • agbiuso

    Novembre 21, 2024

    Sussulto, seppur tardivo, della giustizia internazionale.

  • agbiuso

    Novembre 20, 2024

    Israele attua lo sterminio (anche) per fame, semplicemente.

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