Sul numero dello scorso luglio del bimestrale Dialoghi Mediterranei era uscito un mio tentativo di analisi del genocidio subito dai palestinesi.
Qualche giorno fa la rivista La Città futura ha pubblicato un editoriale di Leila Cienfuegos che conferma – a partire dagli eventi più recenti – la natura del tutto ingannevole della ‘democrazia israeliana’ e la struttura invece criminale dello Stato e del governo di Israele, i quali – sostenuti in modo incondizionato dagli Stati Uniti d’America e dalla loro industria bellica – costituiscono ormai un grave pericolo per i popoli del Vicino Oriente e non soltanto per loro.
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L’eloquenza del terrorismo sionista
A Gaza, in Libano, in Siria, ovunque Israele mostra la sua volontà di colpire in particolar modo i civili, stretti tra assedi medievali e attacchi hacker. Quando non esiste un limite allo schifo
Leila Cienfuegos, La Città Futura, 20.9.2024
Fonte: https://www.lacittafutura.it/editoriali/l’eloquenza-del-terrorismo-sionista
È probabile che il tentativo di commentare quella che tutti i media osannano come “una delle operazioni di intelligence del Mossad più riuscite della Storia” ossia l’attentato terroristico israeliano che ha ucciso e accecato un numero indecifrato di persone attraverso l’esplosione simultanea dei cercapersone e walkie talkie, sia effettivamente un tentativo vano perché l’incommentabile, per definizione, non si commenta. O meglio si potrebbe partire dal rovesciamento della narrazione: non c’è, a tutti gli effetti, nella Storia un precedente paragonabile alla tortura su ampia scala a cui la popolazione civile in Medio Oriente è sottoposta da parte dello Stato terroristico di Israele che, in attuazione di piani ampiamente dichiarati di colonialismo e di sterminio, sta attaccando la popolazione civile di quel che resta della Palestina ma anche del Libano, della Siria e di tutte le comunità non sioniste dell’area, non esclusa la popolazione israeliana contraria al massacro che si sta consumando dal 7 ottobre 2023 – rectius: da 60 anni quasi, in realtà, ma abbiamo ahimè imparato a capire sulla nostra pelle che noi sottoposti dobbiamo avere la memoria corta per campare, e così cercano di farci credere che la fase in cui viviamo non abbia nulla a che vedere con la dominazione israeliana in Palestina e la sua occupazione illegale che si consuma dalla metà del secolo scorso, allo stesso modo in cui la guerra in Ucraina l’avrebbe incominciata esclusivamente Putin nel febbraio del 2022 elidendo completamente con un colpo di spugna le vicende occorse nel decennio antecedente, e via dicendo.
Il connubio tra, da una parte, uso criminale di intelligence e tecnologia sofisticata e, dall’altra, antichi metodi di assedio medievale e accanimento sulle persone (la privazione del cibo, dell’acqua, del sonno, della vita e della quotidianità, della terra e al momento non saprei arricchire ulteriormente un elenco tanto sadico), crea in effetti un terrificante unicum nella Storia le cui possibili sfumature e applicazioni ci vengono offerte zelantemente e giorno dopo giorno dall’“unica democrazia del medioriente”. L’unica e vera democrazia del medioriente – che sta combattendo una guerra col proprio esercito contro il perfetto nulla, dal momento in cui non si capisce quale altro esercito debba o possa efficacemente fronteggiarlo – assedia tutto il giorno e tutta la notta la popolazione civile palestinese puntandole contro le navi da guerra dal mare e, dal cielo, enormi e rumorissimi droni sospesi a mezz’aria pronti a schiantarsi al suolo contro “obiettivi sensibili”, e poi bombe, bombe, bombe; crolli, niente luce, acqua potabile né da bere né per lavarsi, come bestie costretti ad usare l’acqua di mare filtrata, niente medicine, niente riposo a causa del rumore assordante e della paura, niente lavoro, niente giochi e niente scuola, niente cibo e la morte, forse, se sopraggiunge un camion con gli aiuti umanitari, niente dignità. L’unica e vera democrazia del medioriente deporta la popolazione da un lotto all’altro in continuazione per bombardare intere aree e se qualcuno è rimasto indietro finisce comunque sotto le bombe, costringe la popolazione ad abbandonare ogni cosa e non solo la propria casa. L’unica e vera democrazia del medioriente controlla capillarmente le persone anche attraverso il telefono essendo l’IDF in grado di agganciarsi ai device presenti in una determinata cella per chiamare e minacciare i malcapitati di venire uccisi in caso si dovessero rifiutare di fare da spia per le loro, controllando la presenza di eventuali individui nascosti nelle case e nei palazzi e riferendola ai militari israeliani. L’unica e vera democrazia del medioriente è in grado di sabotare qualsiasi catena di approvvigionamento di persone o organizzazioni non gradite, e poco importa se, facendo simultaneamente brillare a sorpresa migliaia di apparecchi, ci rimette la pelle una bambina di dieci anni o altri perfetti innocenti. Ma d’altra parte, non sarebbe l’unica e vera democrazia del medioriente se non facesse saltare in aria scuole come se fossero pop corn e se non avesse ucciso, in un solo anno, oltre 16.756 bambini e feriti almeno 6.168 (L’UNICEF la definisce “una guerra contro i bambini“).
Ebbene grazie, unica vera democrazia del medio oriente & partners occidentali conniventi e complici, per mostrarci così plasticamente cosa possa essere l’inferno e lo schifo autentico, per aiutare noi ultime ruote del carro a toccare con mano la più cieca rabbia e renderci più semplice il compito di dirigerla prima o poi contro voi responsabili del nostro massacro. In particolare in questa fase un sentito grazie a mr.Netanyahu e al suo governo di criminali per facilitarci di molto il gravoso compito di tornare ad indignarci e disgustarci, motore fondamentale di una qualsiasi rivoluzione.
[Foto di Dyaa Saleh su Unsplash]
20 commenti
agbiuso
Muhammad Shehada
@muhammadshehad2
Israel is aiding ISIS-linked terrorists & criminals to sow chaos & famine in Gaza:
Shadi al-Sofi, a wanted murderer & son of an informant/collaborator with Israel, & Yasser abu Shabab, a drug dealer, are the main warlords responsible for looting most aid under IDF protection.
They formed gangs of over 200 armed criminals & “established a military like compound” (per the UN) in an emptied “death zone” fully under IDF control, where they looted only this Saturday night about 100 aid trucks at once.
This way Israel can absolve itself of responsibility for its deliberate starvation policy in Gaza and say “look, we’re letting aid in, it’s Hamas’ fault that food doesn’t reach people” (as claimed by Senator Jon Fetterman yesterday).
IDF soldiers never fire at those gang members as they loot aid right in front of Israeli tanks & troops in a closed military zone that no Gazan is allowed into. The IDF only fires at local policemen whenever they try to prevent the looting.
Yasser Abu Shabab was arrested by Gaza’s local police multiple times in the past for drug smuggling & trading, which is often facilitated by ISIS groups in Sinai.
Hamas militants attempted to eliminate him yesterday in an attack that killed 11 of his gang, including his brother & partner Fathi & the gang’s accountant. 30 others were wounded.
Shadi Al-Sofi murdered in 2020 Jabr al-Qeeq, a PLFP member whom Israel had sentenced to life & imprisoned for 15 years for killing al-Sofi’s father during the 1st Intifada for spying on Palestinians for Israel.
Al-Sofi was convicted in a Gazan court & the local police captured him in a special operation in late 2020, before he broke out of prison with the help of ISIS-linked militants & was smuggled out of Gaza to Sinai, then reportedly to Israel’s Negev. He returned to Gaza with the IDF ground invasion where he now co-leads the criminal gangs that loot aid & sabotage humanitarian work under IDF protection.
agbiuso
Gianluca Martino,
“Non c’è posto per Roger” Novembre 2023.
Fonte: https://x.com/gianlucamart1/status/1857472466567782869
Roger Waters, il leggendario fondatore dei Pink Floyd è in tour in America Latina, tappe successive, Montevideo e Buenos Aires.
Il suo entourage ha prenotato da mesi gli alloggi nella catena di hotel “Sofitel”.
Sono circa 40 persone tra musicisti e staff.
Il giorno prima dell’arrivo a Montevideo, gli hotel comunicano con una mail la cancellazione delle prenotazioni.
L’entourage di Waters, allibito, si rivolge a un’altra catena di hotel della città ma non riesce a prenotare un alloggio. Nelle stesse ore arriva un’altra mail di cancellazione delle prenotazioni degli hotel di Buenos Aires.
Intanto Waters e la sua band atterrano a Montevideo senza un posto dove alloggiare.
La notizia arriva nelle redazioni dei giornali e diventa di dominio pubblico.
Il “CLATE”, il sindacato dei lavoratori pubblici, in solidarietà con Waters e la sua band, mette a disposizione gli alberghi sindacali, Waters ringrazia ma preferisce alloggiare in un hotel di un’altra città uruguaiana.
Cosa sta accadendo?
I giornali scoprono ben presto chi c’è dietro questa assurda vicenda.
Roby Schindler, presidente del potentissimo Comitato Centrale Israelita dell’Uruguay ha organizzato da tempo una campagna di boicottaggio del concerto di Roger Waters mettendo in campo mezzi e amicizie.
Invia i suoi collaboratori nelle TV e nelle radio a dire “non comprate i biglietti del concerto”, otto deputati di ogni schieramento politico chiedono in aula l’annullamento del concerto.
Il boicottaggio è un fallimento, si prevede un concerto con il tutto esaurito.
Allora Roby Schindler scrive una mail delirante (scoperta e pubblicata da alcuni giornalisti) indirizzata al direttore del Sofitel Hotel di Montevideo, in cui “invita” il direttore a non ospitare Waters e il suo staff altrimenti, scrive Schindler, “non vorrei essere nei suoi panni”.
Il direttore è talmente terrorizzato che, pur consapevole delle probabili richieste di risarcimenti dei danni da parte dei legali di Waters, preferisce esaudire i desiderata di Schindler.
Intervistato dal giornale argentino “Pagina 12”, Waters dice: “In qualche modo, questi idioti della lobby israeliana sono riusciti a consociare tutti gli hotel di Buenos Aires e Montevideo. Queste persone, i Roby Schindler di questo mondo, cercano di mettere a tacere me e quelli come me perché crediamo nei diritti umani e loro no.
Sono una società coloniale che commette omicidi di massa, che proclama la propria supremazia su tutti gli altri popoli e su tutte le altre religioni. È un dovere morale assoluto affrontarli e fermarli.
Tutti devono alzarsi e dire basta! Voi siete i mostri, voi siete i terroristi”.
Come si fa a non amarti, immenso
@rogerwaters
*Fonti: tweet successivo.
Non ricordo giornali italiani indignati per questa vicenda.
agbiuso
Federica D’Alessio su X – Twitter
La verità del potere e la verità dei fatti
L’11 novembre, il mio rapporto di lavoro con la rivista MicroMega si è concluso, consensualmente. Ero arrivata in MicroMega due anni fa, per una collaborazione che inizialmente doveva essere di qualche mese in sostituzione di una collega, e che era stata poi convertita in un rapporto a tempo indeterminato. Il primo della mia vita.
Il terremoto che si è abbattuto su di me in questo ultimo mese, con una serie di attacchi in batteria ricevuti dalla comunità filoisraeliana italiana, ha coinvolto in pieno – secondo una classica modalità intimidatoria e ritorsiva – anche l’azienda per cui lavoravo; questo nonostante tutte le reazioni fossero state suscitate da post scritti sui miei profili social personali. Post che la propaganda non ha gradito, giacché osavano mettere in discussione alcuni dei cardini narrativi attraverso i quali la comunità filoisraeliana in tutto il mondo giustifica la barbarie che Israele sta dispiegando da oltre un anno in Palestina. Hanno pensato bene di colpirmi dove sapevano di trovarmi più vulnerabile, come sempre fanno: nei rapporti di lavoro. Per zittirmi si sono mobilitati i loro più famosi esponenti sui media. Associazioni, giornali e pseudo-giornali, giornalisti e pseudo-giornalisti, leoni e leonesse da tastiera e via discorrendo hanno messo in campo la loro capacità d’influenza e di pressione e hanno utilizzato i social, la stampa, le comunicazioni private per diffamare la mia persona, macchiare la mia immagine professionale e deteriorare il mio rapporto di lavoro. Volevano fare paura, a questo servono le comunicazioni intimidatorie. E sono efficaci: riescono a fare paura. In queste settimane ho avuto, sinceramente, paura.
Hanno riversato sul mio conto una incessante quantità di menzogne, tanto sulle mie idee e posizioni, quanto sulle vicende che venivano via via prese a pretesto per colpirmi: i presunti stupri del 7 ottobre 2023; la vicenda della giovane iraniana denudatasi a Teheran e trasformata in un meme propagandistico alla velocità della luce; e infine, gli avvenimenti di Amsterdam, il cui racconto da parte dei media mainstream e delle principali istituzioni politiche europee ha segnato credo il punto di scollamento massimo, nelle formalmente democrazie occidentali, fra la realtà come la rappresentano le élite e quella che la gente comune esperisce. Tutto questo, come scrivo e dico da ormai oltre un anno, non è semplicemente un modo violento di stare al mondo; è parte di un sempre più esplicito passaggio a nuovi regimi totalitari, anche nella nostra Europa; regimi che mirano ad asservire le popolazioni a nuove forme di suprematismo di classe e razziale, e che non riuscirebbero mai a instaurarsi senza colpire, come da manuale, innanzitutto la ricerca della verità e chi la porta avanti.
La mia convinzione profonda, perciò, è che la resistenza democratica a questi nuovi totalitarismi passi, così come è sempre stato nei frangenti che hanno fatto la Storia, dall’affermare testardamente la verità dei fatti su quella del potere. E dalla solidarietà, altrettanto testarda, contro chi subisce vili attacchi squadristici perché ciò che fa non va giù ai detentori del potere.
Per me, in questo momento la priorità è continuare a esprimere il mio pensiero, senza cedere al ricatto della violenza e della paura; praticare le libertà politiche di cittadina garantite dalla Costituzione, mai così minacciate per tutti e tutte; e creare le condizioni per continuare a esercitare il mio mestiere in piena coscienza e dignità. Anche a costo di doverci rinunciare, come già fatto più volte in passato, se tali condizioni non dovessero più sussistere. Chiunque mi abbia accusata di antisemitismo, di “negazionismo” dell’Olocausto o dello stesso 7 ottobre nella sua gravità e orrore, e persino di fiancheggiare formazioni terroristiche, ovviamente non si è premurato di leggere nulla degli articoli e neanche dei post che ho scritto nel corso degli anni, prima di muovere tali pesanti accuse; ne risponderà davanti ai giudici.
Ringrazio tutte le persone che mi sono state vicine in queste settimane, e in primis il sindacato Stampa Romana per la sua assistenza calorosa e solidale. Da un punto di vista professionale torno a essere una giornalista indipendente, dai tempi ponderati, esattamente come lo ero prima che cominciasse la mia imprevista avventura da redattrice. La mia unica amarezza è la consapevolezza che indietro, veramente, non si torna. Due anni fa, quando entravo in MicroMega, c’era ancora mio padre con me, ad appoggiarmi nelle mie battaglie, nei traguardi e nelle peripezie. Oggi non c’è più. La mia famiglia mi è vicina, mi sostiene con amore e solidarietà ogni giorno; l’abbraccio di Alessio, ovunque si trovi in questo momento – nei nostri pensieri innanzitutto –, ci riscalda.
agbiuso
Israele minaccia di distruggere Baalbek, in Libano. Una delle città più antiche del mondo, patrimonio dell’Unesco, tesoro dell’archeologia.
Ma ai barbari sionisti nulla importa della storia, nulla della bellezza.
Sono macchine della distruzione.
agbiuso
Ah, gli Stati Uniti d’America «respingono» il progetto di far morire di fame i palestinesi.
E perché mai? Israele non ha forse il diritto di difendersi dai bambini anche sterminandoli con la fame?
agbiuso
Israele aggiunge orrore a orrore, ogni giorno, tutti i giorni.
agbiuso
Il testamento di un partigiano che ha combattuto per la sua terra e per la libertà del suo popolo, come i partigiani italiani durante la guerra civile 1943-1945.
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Il testamento di Yahya Sinwar
Indipendenza Rivista e Associazione, 25.10.2024
Sono Yahya,
il figlio di un rifugiato che ha trasformato l’esilio in una patria temporanea e ha fatto del sogno una battaglia eterna. Mentre scrivo queste parole, ricordo ogni momento della mia vita: dalla mia infanzia nei vicoli, ai lunghi anni di prigionia, a ogni goccia di sangue versata sul suolo di questa terra.
Sono nato nel campo di Khan Yunis nel 1962, in un periodo in cui la Palestina era solo un ricordo lacerato e mappe dimenticate sui tavoli dei politici.
Sono l’uomo che ha intrecciato la sua vita tra fuoco e cenere, e ha capito presto che vivere sotto occupazione significa non avere altro che una prigione permanente.
Sapevo fin da giovane che la vita in questa terra non è come qualsiasi altra, e che chi nasce qui deve portare nel cuore un’arma indistruttibile, e capire che la strada verso la libertà è lunga.
Le mie volontà per voi iniziano qui, da quel bambino che ha lanciato la prima pietra contro l’occupante e che ha imparato che le pietre sono le prime parole con cui possiamo farci sentire da un mondo che osserva silenzioso le nostre ferite.
Ho imparato nelle strade di Gaza che una persona non si misura per gli anni della sua vita, ma per ciò che dà alla sua patria. E così è stata la mia vita: prigioni e battaglie, dolore e speranza. Sono entrato in prigione per la prima volta nel 1988 e sono stato condannato all’ergastolo, ma non conoscevo la via della paura.
In quelle celle oscure, vedevo in ogni muro una finestra verso l’orizzonte lontano e in ogni sbarra una luce che illuminava il cammino verso la libertà. In prigione, ho imparato che la pazienza non è solo una virtù, ma un’arma… un’arma amara, come qualcuno che beve il mare goccia dopo goccia.
Il mio consiglio per voi: non temete le prigioni, poiché sono solo una parte del nostro lungo cammino verso la libertà. La prigione mi ha insegnato che la libertà non è solo un diritto rubato, ma un’idea nata dal dolore e affinata dalla pazienza.
Quando sono stato rilasciato con l’accordo “Wafa al-Ahrar” nel 2011, non sono uscito come ero prima, ne sono uscito più forte e la mia fede è aumentata nel fatto che quello che stiamo facendo non è solo una lotta passeggera, ma piuttosto il nostro destino che portiamo fino all’ultima goccia del nostro sangue.
Il mio consiglio è di rimanere fedeli all’arma, alla dignità che non può essere compromessa e al sogno che non muore mai.
Il nemico vuole che abbandoniamo la resistenza, per trasformare la nostra causa in una negoziazione senza fine. Ma vi dico: non negoziate per quello che vi spetta di diritto. Temono la vostra fermezza più delle vostre armi.
La resistenza non è solo un’arma che portiamo con noi; è piuttosto il nostro amore per la Palestina in ogni respiro che prendiamo, è la nostra volontà di rimanere, nonostante l’assedio e l’aggressione.
Il mio consiglio è di rimanere fedeli al sangue dei martiri, a coloro che sono partiti e ci hanno lasciato questo cammino pieno di spine. Sono loro ad averci aperto il cammino verso la libertà con il loro sangue, quindi non sprecate quei sacrifici nei calcoli dei politici e nei giochi della diplomazia.
Siamo qui per completare ciò che i primi hanno iniziato e non ci devieremo da questo cammino qualunque sia il costo. Gaza è stata e rimarrà la capitale della fermezza, e il cuore della Palestina che non smette mai di battere, anche se la terra diventa troppo stretta per noi.
Quando ho assunto la guida di Hamas a Gaza nel 2017, non è stata solo una transizione di potere, ma piuttosto una continuazione di una resistenza iniziata con le pietre e proseguita con le armi. Ogni giorno sentivo il dolore del mio popolo sotto assedio e sapevo che ogni passo verso la libertà aveva un prezzo.
Ma vi dico: il prezzo della resa è molto più grande. Pertanto, aggrappatevi alla terra come una radice si aggrappa al suolo, poiché nessun vento può sradicare un popolo deciso a vivere.
Nella battaglia Al Aqsa Flood, non ero il leader di un gruppo o movimento, ma piuttosto la voce di ogni palestinese che sogna liberazione. Sono stato guidato dalla mia convinzione che la resistenza non sia solo una scelta, ma un dovere.
Volevo che questa battaglia fosse una nuova pagina nel libro della lotta palestinese, dove le fazioni si unissero e tutti si schierassero in un’unica trincea contro un nemico che non ha mai distinto tra un bambino e un anziano o tra una pietra e un albero.
Al Aqsa Flood è stata una battaglia delle anime prima ancora dei corpi e della volontà prima delle armi. Quello che ho lasciato dietro di me non è un’eredità personale, ma un’eredità collettiva per ogni palestinese che ha sognato libertà, per ogni madre che ha portato sulle spalle il figlio martire, per ogni padre che ha pianto amaramente per sua figlia assassinata da un proiettile traditore.
Le mie ultime volontà sono quelle di ricordare sempre che la resistenza non è vana e non è solo un proiettile sparato; è piuttosto una vita vissuta con onore e dignità.
La prigione e l’assedio mi hanno insegnato che la battaglia è lunga e la strada difficile, ma ho anche imparato che i popoli che rifiutano di arrendersi creano i propri miracoli con le loro mani.
Non aspettatevi che il mondo faccia giustizia per voi; ho vissuto e testimoniato come il mondo rimane muto di fronte al nostro dolore.
Non aspettatevi giustizia; siate giustizia. Portate il sogno della Palestina nei vostri cuori e trasformate ogni ferita in un’arma e ogni lacrima in una fonte di speranza.
Questa è la mia volontà: non abbandonate le vostre armi, non gettate pietre, non dimenticate i vostri martiri e non compromettete un sogno che vi spetta di diritto. Siamo qui per restare, nella nostra terra, nei nostri cuori e nel futuro dei nostri figli.
Vi affido alla Palestina, la terra che ho amato fino alla morte e il sogno che ho portato sulle spalle come una montagna indomita.
Se cado, non cadete con me; portate per me uno stendardo mai caduto e fate del mio sangue un ponte per una generazione più forte nata dalle nostre ceneri. Non dimenticate mai che la patria non è una storia da raccontare ma piuttosto una realtà da vivere; da ogni martire mille combattenti della resistenza nascono dal ventre di questa terra.
Se l’inondazione ritorna e io non sarò tra voi, sappiate che sono stata la prima goccia nelle onde della libertà e ho vissuto per vedervi completare il viaggio.
Siate una spina nella loro gola, un’inondazione senza ritirata, e non calmatevi finché il mondo riconoscerà noi come i legittimi proprietari del diritto; noi non siamo numeri nei bollettini delle notizie.
Che Dio ci guidi e protegga tutti.
https://t.me/rivistaindipendenza
agbiuso
Nazisionismo.
agbiuso
Segnalo una eccellente riflessione di Marta Mancini, uscita su Aldous il 20.10.2024 e intitolata Il vittimismo dei forti. Qui sotto ne riporto un brano:
«Si trascura un aspetto di rilevante spessore qual è il nesso tra l’ideologia laica dell’occidente, erede dell’Illuminismo, e la natura teocratica e fondamentalista dello Stato di Israele con tutto ciò che ne consegue e che vediamo accadere sotto i nostri occhi. La questione non è secondaria perché se da un lato l’opinione pubblica viene ogni giorno umiliata, tradita o ignorata dalla pessima qualità dell’informazione; se districarsi nel dedalo di menzogne, di omissioni e, al primo cenno di dissenso, di accuse di connivenza col nemico allora, pur convocando tutta l’ipocrisia di cui si è capaci, ciò significa che si è verificata una metamorfosi, o meglio una conversione delle società secolari a ideologie para religiose, fondate su verità rivelate e tipicamente manichee, che rimandano alla radice vetero testamentaria sulla quale il sionismo insiste».
agbiuso
Sempre loro, sempre gli Stati Uniti d’America, in Vietnam come a Gaza/Palestina (USA e Israele largamente coincidono).
agbiuso
16.400 bambini assassinati, varie decine di migliaia storpiati e feriti. Un numero incalcolabile di orfani. Un orrore senza fine, senza fine. Che non merita più delle analisi ma soltanto la maledizione.
agbiuso
Lo schiaffo di Netanyahu ai suoi lacchè italiani
Il Simplicissimus, 12.10.2024
Fino all’altro ieri i sionisti da tastiera e da rotativa ci dicevano che Israele aveva diritto a difendersi in ogni maniera, che la strage degli innocenti e il tentativo di genocidio attuato nella striscia di Gaza erano giustificati per contenere il “terrorismo” e che anche i bombardamenti del Libano erano accettabili. Qualcuno è arrivato a dire a dire che le manifestazioni contro questo massacro erano inaccettabili perché nascondevano, dietro una battaglia per l’umanità, la macchia dell’antisemitismo. Ma adesso che Israele ha attaccato il comando italiano della missione Unifil, lì per mandato dell’Onu ormai da quarant’anni, si dice che questa azione è “inaccettabile”. Addirittura il ministro della difesa Crosetto ha convocato l’ambasciatore israeliano e ha sostenuto che questo attacco è un crimine contro l’umanità.
Dunque le stragi di Gaza che i numeri ufficiali nascondono nel loro vero orrore, sebbene siano altissimi, le migliaia di bambini morti, gli ospedali polverizzati, sono un’opera buona? Di quale umanità stiamo parlando? Ecco che qui gioca tutta la superficialità, la vacuità, la pavidità di un Paese, la sua inconsistenza etica: finché a morire sono gli altri, qualsiasi cosa può essere accettata e addirittura incoraggiata con la piena disponibilità ad essere complici, ma non appena il rischio ci sfiora in maniera diretta ecco che tutto cambia e i buoni per definizione diventano improvvisamente un po’ meno buoni. Non voglio star qui a commentare la consistenza etica di questi atteggiamenti che peraltro non sono ormai estranei a tutto l’Occidente. Non voglio nemmeno prendermela con un’informazione indecorosa, né con una politica inesistente a cominciare dai personaggi che la popolano, né con la tesi, allo stesso tempo ridicola e infame che impone l’ equivalenza tra sionismo e ebraismo deducendone che se non stai con Netanyahu sei antisemita. La storia farà presto pulizia di questi orrori propagandistici e spero vivamente anche dei prosseneti di questi ripugnanti reperti dell’ideologia e della prassi globalisti.
Mi limiterò semplicemente a pubblicare il grafico sotto che “racconta” come nel lungo conflitto tra Israele e i palestinesi c’è una tale sproporzione di vittime che parla da sola. Nel periodo 2000 – 2014 i morti palestinesi sono rappresentate in giallo, mentre quelle israeliane in grigio:
Dunque su 8.166 morti correlati al conflitto, 7.065 sono palestinesi e 1.101 israeliani. Ciò significa che l’87 per cento dei decessi è stato palestinese e solo il 13 percento israeliano. I dati sono stati raccolti da B’Tselem un’organizzazione israeliana per i diritti umani. Inutile dire che a partire dal 7 ottobre dell’anno scorso il rapporto tra palestinesi morti e israeliani morti è salito a livelli astronomici, come mostra l’infografica qui sotto basata per quanto riguarda Gaza da dati ufficiali ben lontani dalla realtà effettiva. E naturalmente non è ancora presente il Libano.
Tuttavia l’aver distrutto due telecamere del comando Unifil come simbolico avvertimento che il governo sionista non vuole testimoni di questa rinnovata strage che si serve, come a Gaza del resto, di bombe a frammentazione e al fosforo sulla popolazione civile, ha cambiato l’umore, persino degli abulici ripetitori di slogan. Ma alla fine si tratta di una commedia per salvare la faccia: dopo i sussurri e le grida di rito si ritireranno dal Libano come vuole Netanyahu. Il vecchio mondo è incapace di dignità visto che l’ha totalmente sostituito con l’ipocrisia. Altri faranno fallire il progetto della Grande Israele costruito sul sangue e sulla sostituzione etnica. Uomini, non burattini.
agbiuso
L’apocalisse.
agbiuso
Il problema non è la Repubblica, chi dirige quel giornale o chi scrive su di esso. Si tratta infatti probabilmente di persone che dipendono dai servizi statunitensi o dal Mossad.
Il problema vero sono i lettori di Repubblica, o almeno quel che ne resta.
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Razze inferiori
di Marco Travaglio
Quando pensi che si sia toccato il fondo, leggi Repubblica e ti rincuori: c’è ancora molto da scendere, o da scavare. La rappresaglia iraniana dopo la strage israeliana del 31 luglio a Teheran per uccidere Haniyeh, capo politico di Hamas, non c’era stata, grazie alle pressioni di Usa e Russia. Ma dopo la strage israeliana di Beirut per uccidere anche Nasrallah, leader di Hezbollah, è arrivata: un morto (palestinese) e qualche ferito in Israele. Improvvisamente il direttore Molinari, che s’era distratto un attimo per un anno sui 42 mila morti ammazzati a Gaza e sulle migliaia di morti ammazzati (più un milione di profughi) in Libano, ha riscoperto il valore anche di una sola vita umana e ha titolato il suo editoriale: “Se la morte viene dal cielo”. I titoli con il “se” introducono un’ipotesi che spetta al lettore completare: qui ci sta un bel “…dipende da chi sgancia i missili dal cielo e da chi c’è sotto”.
Ma il meglio viene con il commento di Stefano Folli. Che, anziché denunciare l’impunità garantita dall’Occidente allo sterminatore Netanyahu, il doppio standard sulle sue innocenti invasioni e su quelle indecenti di Putin, l’afasia balbettante e inconcludente del Pd che vota la dichiarazione di guerra alla Russia e non osa proporre il ritiro dell’ambasciatore da Israele e qualche straccio di sanzione economica e militare, attacca i dem per la ragione opposta: sono troppo antisraeliani perché non chiedono di vietare il corteo pro Pal di Roma, già peraltro vietato dal governo (ma una vera opposizione il governo lo previene). Infatti Folli già sa che vi si invocherà “lo stesso proposito messo in atto 80 anni fa dai nazisti di Kappler” e si “inneggerà al terrorismo”. Quello arabo, s’intende, perché quello israeliano già lo giustifica il suo giornale. Del resto, come ebbero a dire B. e i neocon, quella araba è una civiltà inferiore. E non solo quella. Folli testuale: “Le migliaia di morti civili a Gaza sono una tragedia che scuote le coscienze. Ma le scuote solo in Occidente, dove esiste una civiltà giuridica e un senso di umanità”. E certo, tra i baluba del mondo arabo, ma anche del resto dell’Asia, in Africa, in Centro e Sud America, quando ammazzano decine di migliaia di civili, per metà bambini, si brinda a champagne. E le coscienze non si scuotono perché chi non ha la fortuna di stare in Occidente una coscienza non ce l’ha: e forse neppure un’anima. Di certo non ha senso di umanità: non si tratta di uomini, ma di bestie. Non resta che continuare a civilizzarli, per quel poco che capiscono, a suon di guerre e bombe, per esportare ovunque i nostri valori di democrazia, umanità e soprattutto civiltà giuridica. Se poi si ostinano a non imparare e organizzano una manifestazione, gliela vietiamo. Siamo o non siamo i buoni?
agbiuso
Gli Stati Uniti d’America, , l’Unione Europea, e tutti coloro che da un anno sostengono, armano e finanziano il genocidio e la lenta agonia di Gaza e del popolo palestinese per mano di Israele, non hanno alcuna legittimità nel “condannare” nessun Paese al mondo, nessuno.
agbiuso
Quando lo stato di Israele viene definito come «entità sionista» molti israeliani e italiani vicini a Israele si offendono. L’autrice di questo articolo ricorda che il ministro israeliano Amichai Chikli ha definito il Libano come «entità» che «non soddisfa le caratteristiche per essere chiamato stato». Come di consueto, a Israele è permesso ciò che agli altri è proibito. Perché Israele è razzialmente superiore e non risponde al diritto internazionale.
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Laboratorio libanese. Il vero obiettivo è ridefinire uno Stato intero
Marina Calculli, il manifesto, 29.9.2024
Israele ha lanciato ottantacinque tonnellate di esplosivo su una delle aree più densamente popolate di Beirut il 26 settembre, facendo collassare sei palazzi residenziali in pochi secondi. Non si contano ancora le vittime civili, i cui corpi sono stati letteralmente vaporizzati nell’esplosione che era destinata a Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah amatissimo dalla sua base e rispettato dai suoi rivali. Israele conduce la guerra come in un videogioco: la realtà ha ormai superato la fantasia.
Ed esulta per averlo «eliminato»: uno schema di azione e retorica che si ripete assassinio extra-giudiziario dopo assassinio extra-giudiziario in una regione che Israele considera come uno spazio privo di norme, soggetto al suo libero arbitrio, non un territorio abitato da esseri umani e politicamente organizzato in stati sovrani, dove la guerra ha delle regole da applicare verso i combattenti e soprattutto verso i civili.
Non poteva essere più esplicito il ministro israeliano Amichai Chikli quando ha designato su X il sud del Libano come un territorio di «popolazioni sciite ostili» e il Libano come «entità» che «non soddisfa le caratteristiche per essere chiamato stato». Il discorso si estendeva anche a Siria e Iraq, liquidate come creazioni del colonialismo europeo «non sopravvissute alla prova della storia».
A fargli eco, Netanyahu, che nel suo nauseante discorso di fronte a un’Assemblea generale quasi vuota (la maggior parte dei diplomatici ha boicottato il suo discorso) ha mostrato una delle sue fantomatiche mappe in cui la Palestina non esiste già più e il Libano, la Siria, l’Iraq, l’Iran e lo Yemen sono un’enorme entità ostile da cui Israele deve difendersi. Israele si difende sempre, non attacca mai. Ma il suo «diritto all’autodifesa» non ha confini concettuali, territoriali e normativi.
Il Libano è nuovamente un laboratorio in questo senso (e un segnale all’intera regione mediorientale), dove Israele sta cercando di rimodellare lo spazio e l’ordine politico in modo da renderlo funzionale ai suoi interessi politici.
Al di là delle parole di Chickli, c’è un vero e proprio dibattito sulla «reale statualità del Libano» in Israele (come se questo fosse un dibattito legittimo nel XXI secolo) che ci dice moltissimo di questa «sperimentazione».
Israele è intenzionata a far capitolare l’intero sistema istituzionale e politico libanese, mentre già si prepara a una nuova occupazione del paese che «corregga» quello che in molti in Israele vedono come «l’errore» del 18 maggio 2000: il giorno in cui Israele ritirò le sue truppe dal Libano, mettendo fine a diciotto anni di occupazione militare.
Da circa un decennio Israele ha progressivamente cambiato retorica rispetto alla guerra del 2006, in cui il suo rivale era Hezbollah e non Libano. Oggi Israele prende di mira tutto il Libano che considera come «controllato da Hezbollah». Parla del ministero della salute (che comunica i dati delle vittime delle sue aggressioni) come «controllato da Hezbollah», nonostante il suo ministro Firass Abiad sia politicamente un rivale del partito di Dio. Ma la verità conta poco – si sa – nella propaganda di guerra. Tuttavia, a leggere bene tra le righe della propaganda, spesso ci si trovano tracce di verità.
Quando Naftali Bennett, ex primo ministro israeliano, qualche giorno fa, scriveva che «Hezbollah controlla il governo del Libano e non può sopravvivere senza supporto popolare», rendeva esplicita per una volta l’ossessione dell’establishment militare e politico israeliano: la base popolare che Hezbollah ha consolidato, ufficializzato e reso visibile attraverso la sua partecipazione politica all’interno del sistema istituzionale libanese.
Quello che Israele, assieme agli Stati uniti, non accettano è che Hezbollah sia parte integrante del tessuto sociale e politico del Libano, perché è qualcosa che non possono rimuovere militarmente, a meno di non distruggere l’intero ordine sociale, politico e istituzionale libanese. La strategia è esattamente la stessa che Israele sta portando avanti a Gaza dove, nell’impossibilità di eliminare militarmente Hamas, sta distruggendo ciò che rende Hamas rilevante nel suo contesto: l’intera società ma anche e il territorio di Gaza con le sue risorse, in modo da renderlo incompatibile con la vita.
Israele ha realizzato nella guerra del 2006 che la vera forza di Hezbollah non sono le sue armi. Da allora, ha cominciato a prepararsi a una guerra contro i civili. Da anni li chiama preventivamente «scudi umani».
Netanyahu, dal palco dell’Assemblea generale, ha annunciato il suo ennesimo crimine di guerra, dicendo che «in ogni cucina di ogni casa del Libano c’è un missile di Hezbollah»: una propaganda grossolana che farebbe ridere se non fosse destinata a giustificare quella che il premier libanese Mikati ha giustamente definito «una guerra genocidaria» contro il Libano intero. Nell’impossibilità di sradicare Hezbollah, Israele sta cercando – con il pieno sostegno degli Stati uniti – di cancellare il Libano dalla mappa.
Michele Del Vecchio
Condivido pienamente la denuncia dei crimini israeliani, che non hanno precedenti nella pur diffusissima crudeltà con cui la storia degli uomini, da sempre, si intride, si confonde, si fa tutt’uno con il sangue e con la violenza e si realizza infine come Storia e come Gloria. No. Quello che accade, quello che è accaduto, quello che accadrà è al di là della disumana ferocia dell’umano. Non riesco a ricordare qualcosa di simile per implacabile determinatezza, spietatezza, fanatismo antropologico e razziale, per totale disprezzo di quella elementare pietà per i vinti per i sottomessi da sempre, per i reietti, per i dannati. Temo che la radice del male vada cercata in qualcosa che è e che è stato; in qualcosa di assolutamente identitario, di totalmente specifico e al tempo stesso di potenzialmente universale, di tendenzialmente travalicante ogni chiusura e ogni inimicizia. Di qualcosa che ha dato origine al” riconoscimento”. Mi riferisco al Monoteismo veterotestamentario, ove l’implacabile potenza e bellezza del divino si trasforma spessissimo, nelle dodici Tribù, in implacabile ricorso allo sterminio.
agbiuso
Sì, caro Michele, «la radice del male» sta nella distinzione tra il popolo eletto e i gentili.
Credere di essere gli unici eletti da Jahvé tra tutti i popoli della Terra, tra tutte le stirpi umane del passato, del presente e del futuro, autorizza il popolo eletto a ogni nefandezza, bugia, violenza e sterminio, come testimonia ampiamente il Vecchio Testamento, con Mosè e tutti gli altri capi di Israele.
Per questo Israele è lo Stato più razzista della storia contemporanea e, come si sta vedendo, il più feroce.
Pietro Spalla
Grazie per la tua penetrante analisi Alberto, il tuo sdegno dovrebbe essere condiviso da tutti, politici, governanti e cittadini, ma incredibilmente non lo è.
agbiuso
Grazie a te, Pietro, per le tue parole.
L’analisi comunque non è mia ma di Leila Cienfuegos, verso la quale condivido per intero il tuo apprezzamento.