Qualche giorno fa ho ricevuto da Unict, io come altri docenti, una comunicazione nella quale si legge che «bisogna procedere alla compilazione dell’applicativo per la RICOGNIZIONE DEI FABBISOGNI – PROGRAMMA TRIENNALE 2025/27» e che dunque chiede ai «docenti responsabili di progetti di ricerca» di compilare entro la data del 13 settembre 2024 il modulo che si vede qui sotto:
Ha senso tutto questo? Ha senso dover prevedere nel dettaglio l’acquisto di materiale elettrico ed elettronico, toner, video proiettori, computer, traduzioni con fattura, creazione pagine web e molto molto altro, con tre anni di anticipo? Ha senso con lo stesso anticipo dover indicare la partecipazione a convegni, seminari o altro? Ha senso anche dover prevedere che cosa si scriverà nei prossimi tre anni e quindi le spese per i servizi editoriali? Ha senso dover essere così pedanti e analitici di fronte a un futuro che è sempre aperto? Ma che cosa siamo diventati (con la nostra complicità) da professori quali dovremmo essere? Dei bottegai? Dei piccoli banchieri alla Monopoli? Degli imprenditori di penne e matite?
La mia impressione e sospetto è che così si voglia semplicemente scoraggiare l’utilizzo delle risorse pubbliche per la cultura, la scienza, l’apprendimento. Si tratta di un’ulteriore testimonianza e prova di come il mondo universitario sia caduto (da tempo) nel delirio, anche a causa dello strapotere dei burocrati, la cui unica ragione di esistenza è la compilazione di fogli siffatti. Ma la responsabilità più grande è dei docenti che da almeno una decina d’anni hanno accettato tutto questo (e altro) come se avesse un senso.
6 commenti
salvatore giarrusso
Carissimo Professore leggendo quello che Lei periodicamente scrive, mi sta aiutando a comprendere tante cose di un mondo a me estraneo. Tuttavia, mai avrei immaginato che esistesse una impostazione burocratica che vuole complici di un percorso stagnante persino chi dovrebbe avere la libertà di “Creare” nuovi valori quali i Docenti per una società che sta andando a sbattere. Ma, la cosa più inquietante è quello che Lei scrive “Ma la responsabilità più grande è dei docenti che da almeno una decina d’anni hanno accettato tutto questo (e altro) come se avesse un senso”. Ora, sarebbe necessario a mio giudizio esplorare la possibilità di una sinergia fra Docenti per potere ribaltare la gestione burocratica/aziendalistica di una Università. Una schema simile, è applicabile in un esercizio commerciale finanziario consumeristico, una Università non produce un prodotto da vendere, il suo “Prodotto” è sempre da inventare anno per anno nel creare sempre nuovi saperi. Sono amareggiato Professore.
agbiuso
Gentile Giarrusso, la invito a non amareggiarsi. La tendenza delle burocrazie a occupare tutti gli spazi è infatti strutturale, sino a trasformarsi in una sorta di metastasi. Ciò vale a dire che la burocrazia è un organo utilissimo alla gestione delle comunità; quando esse sono molto complesse è persino indispensabile. Solo che essa tende a moltiplicare le proprie cellule, come un tumore appunto.
Nel caso del quale ho parlato dovrebbero essere i docenti a fungere da anticorpi e quindi a garantire l’equilibrio dell’organismo accademico. Essendo diventati tali anticorpi deboli, il risultato è quello che ho riferito.
Ma, anche per incoraggiarla, posso aggiungere che a Unict ci sono state altre prescrizioni burocratiche alle quali il corpo accademico ha risposto ignorandole. E quindi togliendo loro ogni nocività. Il fatto è che, come diceva anche Don Milani, l’obbedienza non sempre è una virtù.
Carmen Valentino
Mio caro Alberto,
ho riso con ironia pensando al “bottegai” con tre anni di anticipo. Se solo si avesse l’idea delle botteghe rinascimentali in cui si imparavano le competenze artistiche, l’arte della visione e della luce.
Ti sono vicina: mi ritrovo anch’io in questa situazione aliena, chiedendo al Collegio dei docenti il perché della formazione di un team dispersione scolastica quando in realtà dispersione non ne abbiamo. Anzi, di popolazione scolastica godiamo di un gran numero di studenti.
Gelido e assordante silenzio di una platea di poco più di duecento docenti.
In realtà, la chiamano rendicontazione: rendicontazione sociale e materiale, business manageriale di fondi, previsione di spesa…nessuno si accorge poi della nuova povertà: prof. non posso comprarmi il libro di Filosofia. Non preoccuparti ti farò un prestito ma ad una condizione. Quale? Dovrai curarlo. Ma in che modo? Appena leggerai Heidegger lo scoprirai.
Grande abbraccio, mio caro Alberto.
agbiuso
Cara Carmen, grazie per questa testimonianza diretta, concreta, illuminante, dolorosa.
Il conformismo collettivo sta raggiungendo livelli davvero pericolosi anche là dove – scuole e università – non dovrebbe esistere. Se non insegniamo noi un atteggiamento critico, chi mai lo potrà trasmettere?
Michele Del Vecchio
Caro Alberto, ho letto con partecipato interesse il tuo sdegnato “sfogo” per la ennesima prova della progressiva burocratizzazione del mondo accademico. Potrebbe sembrare una cosa da poco l’episodio che riporti e invece, con prontezza, ne hai colto il significato sotteso. E hai formulato l’alternativa drastica: o docenti universitari, ossia fedeli servitori di quell’unico valore che è la costruzione-divulgazione del sapere, oppure la definitiva “perdita dell’aura” e la burocratizzazione anche del nostro ruolo. Io ritengo, -come probabilmente fai anche tu allorché evochi l’immagine del piccolo “bottegaio”, stretto tra conti e poco gratificanti funzioni di modesta rilevanza sociale- che da tempo i sistemi educativi e formativi italiani siano stati investiti da processi decisamente gravi. In sostanza: la profonda perdita insita nel riconoscere, alla scuola tutta, dall’asilo alle soglie della università, ma anche oltre oramai, solo e unicamente il “diritto” alla accoglienza di tutto e di tutti. Una caduta verticale delle identità avvenuto nella travolgente crescita di una società multietnica e di massa. L’università, ultimo e glorioso baluardo di un retaggio secolare si è progressivamente allineata alle procedure “gestionali”, uniformate su schemi che sono la traduzione burocratica del tramonto di quelle articolazioni, di quelle fondamentali differenze che innervavano la società civile e le istituzioni educative e formative. E quindi ecco che oggi l’ombra del “negozio” si affaccia in quelle aule a gradoni dove sino ad allora erano risuonate solamente le parole, talvolta oscure e oracolari, dello Spirito e della Ragione.
agbiuso
Grazie, Michele, per questo lucidissimo e dolente commento con il quale hai definito perfettamente l’essenza del capitalismo globalizzato: “La profonda perdita insita nel riconoscere, alla scuola tutta, dall’asilo alle soglie della università, ma anche oltre oramai, solo e unicamente il ‘diritto” alla accoglienza di tutto e di tutti. Una caduta verticale delle identità avvenuto nella travolgente crescita di una società multietnica e di massa”.
Una caduta con la quale si sottrae a tutti, antichi italiani e nuovi migranti, il diritto all’emancipazione che soltanto una vera scuola può dare, sostituito dall’addestramento a forme di schiavitù rinnovate nelle modalità ma sempre uguali nella loro iniqua sostanza.