Recensione a:
Mysterium iniquitatis. Le encicliche dell’ultimo papa
di Sergio Quinzio
in Vita pensata
n. 30, maggio 2024
pagine 161-165
Per comprendere quale sia nel nostro tempo, e al di là di esso, lo statuto del sacro questo libro di Sergio Quinzio è indispensabile. In esso infatti l’autore rifiuta esplicitamente la primalità del sacro a favore invece della fede intesa come una ben precisa fede, quella biblica così come è stata costruita, proposta, imposta e infine ritirata dalla Chiesa romana.
Alla fine della sua lunga attività di esegeta biblico e di teologo, del tutto consapevole della «deludente vicenda bimillenaria del sempre più vago, timido, incerto, reticente annuncio cristiano nel mondo» e del suo sostanziale «fallimento», Quinzio immagina, seguendo una controversa profezia del monaco Malachia, che l’ultimo papa prenda il nome del primo, chiamandosi Pietro II e che questo papa di fronte alla «proliferazione di tanti cristianesimi dai contenuti sempre più vaghi e contraddittori» scriva due encicliche, la prima dedicata alla resurrezione dei morti, la seconda al Mysterium iniquitatis del quale parla Paolo di Tarso nella II Lettera ai Tessalonicesi.
2 commenti
agbiuso
Le preoccupazioni di Sergio Quinzio a proposito del tramonto del cristianesimo nell’ottimismo pelagiano – ottimismo che pervade i ‘cattolici progressisti’ e li rende in questo modo i becchini del cristianesimo – sono in verità state indicate per tempo da Arthur Schopenhauer nei Supplementi al “Mondo come volontà e rappresentazione” (a cura di G. Brianese, Einaudi 2013, p. 797), dove a proposito del protestantesimo si rileva “il suo graduale passaggio nel piatto razionalismo, questo pelagianesimo moderno che da ultimo sfocia nella dottrina di un padre amoroso che avrebbe fatto il mondo in modo tale che in esso tutto proceda nel modo migliore (il che peraltro non gli dev’essere certo riuscito) e che, all’unica condizione che ci si adatti in certe faccende alla sua volontà, si premurerà di procurarci per dopo un mondo ancora più carino (per il quale ci si deve solo rammaricare che abbia un ingresso così fatale). Questa può essere una buona religione per i pastori protestanti che vivono nelle comodità, ammogliati e illuminati: essa non è però cristianesimo. Il cristianesimo è la dottrina della colpa che segna nel profondo il genere umano per il fatto stesso che esiste e dall’aspirazione del cuore alla redenzione da essa”.
Michele Del Vecchio
Uno dei libri a cui sono più affezionato è il commento alla Bibbia di Sergio Quinzio.Non lo ho mai letto interamente e in modo sistematico ma ho selezionato alcuni capitoli e li ho letti senza ricorrere alle numerose note come invece mi accade sempre con la lettura di testi biblici curati da altri studiosi ed esegeti. Con lui no! Perché l’ho inquadrato a modo mio, ascoltando le presentazioni che ne facevano coloro che lo conoscevano di persona come Paolo Isotta che ascoltavo volentieri quando ce ne parlava nei nostri incontri⁹ serali. La tua recensione è centratissima e indica al lettore quelle caratteristiche della esegesi di Sergio Quinzio che valgono l’impegno di uno studio di questo testo. È completamente assente nelle sue pagine quella presuntuosa sapienza, alla Ravasi,che invece rieccheggia spesso nei commenti di non pochi studiosi. Molto giusto il tuo riconoscimento del principio, in cui Quinzio credeva fermamente, sulla primalita’ della fede rispetto alla dimensione ontologica del “sacro”.