È uscito da qualche giorno il numero 30 (anno XIV, maggio 2024) di Vita pensata.
Un numero dedicato al sacro e alle teologie. L’argomento ha suscitato molto interesse e abbiamo ricevuto numerosi contributi per la valutazione e l’eventuale pubblicazione. Abbiamo quindi deciso di dedicare anche il numero 31 a questo tema, come si può leggere nella pagina della rivista con le informazioni per chi volesse sottoporre alla redazione un proprio articolo: Tema del prossimo numero – Call for Papers.
Qui sotto i due link dai quali è possibile leggere la rivista sul sito o scaricarla integralmente in formato pdf. Da questo numero sul sito della rivista si trovano gli abstract/parole chiave di ogni saggio e le indicazioni bibliografiche (insieme all’incipit) delle recensioni. La versione integrale dei testi si trova invece nel pdf generale e in quelli dei singoli contributi. Aggiungo il pdf dell’editoriale, come sempre sintetico.
- Vita pensata 30 (sito della rivista)
- Vita pensata 30 (pdf integrale)
- Vita pensata 30, editoriale
2 commenti
Michele Del Vecchio
Caro Aberto, provo ad impostare una breve riflessione sull’argomento che proponi ossia la decisione di dedicare anche il numero 31 di “Vita Pensata” al tema del sacro, della teologia e quindi della religione. In questa mia comunicazione assumo come sostanzialmente equivalenti termini che invece hanno delle differenze semantiche importanti, come, ad esempio, le parole “religione” e “sacro”.
Non sono sorpreso per l’ampiezza della risposta e la pluralità delle proposte pervenute come contributi al numero 30 di V.P. Approvo nettamente la decisione presa di accogliere nel prossimo numero di V.P., il 31, nuovi e ulteriori contributi. La ragione o le ragioni di questo successo non sono facili da indicare poiché il tridente formato da sacro-teologia-religione/divino porta con sé motivi e ragioni di permanente richiamo e fascino intellettuale ma, al tempo stesso, esso sembra dissolversi in una inesauribile crisi di significatività. Nel proclamare e nel predicare dai pulpiti la centralità e imprescindibilità del discorso “religioso” per la comprensione del logos divino, del mistero di Dio e della salvezza dell’uomo noi cristiani, noi credenti facciamo ricorso inevitabilmente alla teologia o almeno ad alcune sue forme correnti e semplificate. Essa sta nell’ordine del discorso che di volta in volta allestiamo con una declinazione, con una “forma” assai incerta tra la soteriologia, l’accesso alla comprensione del mistero della vita e di Dio, la ripetizione rituale di parole convenzionali pronunciate come un mantra. E’ difficile, è assai raro imbattersi oggi nella ritrovata consapevolezza della parola divina. E questo è qualcosa di paradossale, da cui non riusciamo a venirne fuori. Ti dico queste cose non per dissuaderti dal progetto del numero 31 ma, al contrario, per sottolineare l’opportunità e il coraggio di affrontare questioni complesse proprio perché hanno una lunga e radicata tradizione di elementi talvolta positivi e talvolta negativi.
agbiuso
Grazie, caro Michele, delle tue riflessioni.
Io e la redazione siamo molto soddisfatti della risposta che gli studiosi hanno dato a questo argomento. E questo per la semplice e fondamentale ragione che il “discorso sul divino”, la “teologia” appunto, è sin dall’inizio un elemento centrale del discorso filosofico. Infatti abbiamo scritto “le” teologie anche per indicare l’orizzonte del sacro e del teologico che non si limita affatto a una fede specifica ma riguarda appunto prima di tutto il concetto di Dio, che in filosofia ha mutato valenza ma che rimane uno dei concetti della filosofia, assai importante ma non primario.
Anche il divino, infatti, è espressione dell’ontologia. Le questioni di fede sono altro e appartengono a ciò che si chiama fede, come declinazione personale, e religione, come declinazione collettiva, del bisogno che da sempre gli umani sentono di un contatto più ravvicinato con il divino. Bisogno che nasce naturalmente dal fatto che anche gli umani, come tutto il resto, sono βροτοί, sono mortali.
Se non lo fossero, la teologia sarebbe semplicemente antropologia. Ma per fortuna siamo appunto finiti in ogni senso e direzione. E questo rende interessante (e necessaria) la riflessione su questa finitezza e quindi sul tempo, vale a dire rende necessaria la filosofia.