Poor Things
(Povere creature!)
di Yorgos Lanthimos
USA, 2023
Con: Emma Stone (Bella Baxter), William Dafoe (Godwin Baxter), Mark Ruffalo (Duncan Wedderburn), Ramy Youssef (Max McCandless), Christopher Abbott (Alfie Blessington)
Trailer del film
Non ‘povere creature’ ma ‘povere cose’, che è ben diverso. I corpi qui descritti, manipolati, viventi e morti, sono infatti delle cose organiche che un chirurgo estremo può dividere e comporre quasi a suo piacimento; che i clienti di un bordello possono scegliere e pagare; che i movimenti impacciati della donna/bambina Bella Baxter mostrano nella loro struttura di condensazioni di energia muoventesi nello spaziotempo. Movimenti non solo impacciati, però. Movimenti che a poco a poco passano da quelli di un infante, per quanto dentro un corpo di donna, a quelli di una persona adulta, che ha desiderio di scoprire il vasto orizzonte dei luoghi e degli umani e soprattutto la potenza dei desideri e degli orgasmi. E ci riesce, liberandosi da ogni prigionia, benevolente o gelosa che essa sia, e triturando le passioni, i linguaggi, i corpi delle persone che incontra. Sino, alla fine, a diventare studentessa di medicina, conoscendo dei corpi già tutto.
Le scene sono fantasmagoriche, alla Jules Verne; i costumi manieristi, ricchi e carnevaleschi; i colori intensissimi, come se tutto il film fosse un’ultracromatica cassata siciliana; le riprese sono spesso grandangolari e deformi, come deformi sono molti dei corpimente che inquadrano; le posture, gli sguardi, la sfrenatezza e la spontaneità di Bella Baxter / Emma Stone confermano il talento dell’attrice.
Anche questo film – come i precedenti del regista – espone e analizza un solo fondamentale tema: le forme e i limiti dell’addomesticabilità dell’animale umano.
E tuttavia in Poor Things sembra che a essere addomesticati siano stati il talento e la radicalità di Yorgos Lanthimos. Rispetto alla solitudine come reato di The Lobster (2015), alle Erinni e all’Ifigenia di The Killing of a Sacred Deer (2017), all’implacabile giustizia storica e metafisica di The Favourite (2018) e soprattutto rispetto alla potenza eversiva e cupa di Dogtooth / Kynodontas (2009) la solitudine, le Erinni, la giustizia e l’eversione sono diventate categorie hollywoodiane e caratteri prevedibili. Il film ha un guizzo nelle parole di uno dei personaggi secondari, il quale afferma che «l’umanità è fottuta. La speranza peggiora le cose, il realismo è l’unico rimedio». E invece le povere cose che siamo si placano qui in un lieto fine che è anche una rinuncia alla solitudine, alle Erinni, alla giustizia, alla rivolta.
2 commenti
Lucrezia
Grazie Alberto per aver scritto questa recensione.
Uscendo dalla sala in cui ho visto Poor things in compagnia di un pubblico numerosissimo e molto variegato che credo abbia molto apprezzato il film – contrariamente a quelle volte in cui tutti commentavano negativamente le “assurdità angoscianti” di questo regista – ho pensato che fosse un film più debole dei precedenti, con un insieme generico e non incisivo di significati; che fosse, in breve, il film meno filosofico di questo regista. Ma cercavo ancora le parole giuste e un’analisi che mi aiutassero a chiarire e confermare le mie impressioni su questo film: le trovo qui e le condivido come fossero mie.
Grazie 🙂
Lucrezia
agbiuso
Grazie a te, Lucrezia, per la chiarezza e la precisione con le quali hai condiviso la mia analisi: “il film meno filosofico di questo regista”. Sì, di questo si tratta, a conferma che soltanto uno sguardo filosofico sul mondo è capace di comprenderne davvero ragioni, modalità, direzioni.