Napoléon
di Ridley Scott
Sceneggiatura di David Scarpa
USA, Gran Bretagna 2023
Con: Vanessa Kirby (Giuseppina), Joaquin Phoenix (Napoleone), Paul Rhys (Talleyrand), Tahar Rahim (Barras), Rupert Everett (Duca di Wellington)
Trailer del film
Il film avrebbe dovuto intitolarsi Joséphine. Non parla infatti di Bonaparte ma di un uomo innamorato. E per questo non è certo necessario scomodare Napoleone. Insieme alla chimica, i sentimenti sono naturalmente la sostanza degli animali umani ma di persone come Bonaparte ci interessa altro, la loro azione politica, il loro significato metafisico, il peso che hanno avuto nel divenire degli eventi. Elementi, questi, che nel film appaiono, certo, ma sullo sfondo.
A Ridley Scott interessa la storia di un legame più forte dell’ambizione, della guerra e della morte. Un legame che viene narrato da quando i due si incontrarono dopo la liberazione di Joséphine dal carcere giacobino dove era stato giustiziato suo marito Alexandre de Beauharnais. Da qui l’incontro nella dimora di lei che alzando la gonna dice «se osservate qui sotto, troverete una sorpresa, vista la quale non potrete più farne a meno» e poi il matrimonio appassionato, fedifrago e sterile, cosa che determinò il successivo divorzio, sancito ufficialmente e solennemente in una cerimonia altrettanto pubblica come era stato il matrimonio. La scena del divorzio è tra le meglio riuscite per l’oscillare tra risentimento e desiderio ma le carte firmate dai due non più coniugi appaiono redatte…in inglese. Trascuratezza imperdonabile.
Il momento migliore del film è quello di una battaglia – la natura guerriera di Napoleone emerge anche al di là della volontà di chi ne parla -, la più trionfale battaglia di Bonaparte nella quale il 2 dicembre del 1805 surclassò le truppe austro-russe diventando padrone dell’Europa, escluse Gran Bretagna e Russia. Di Austerlitz il film mostra in particolare il momento nel quale le truppe sconfitte vengono inghiottite da un lago ghiacciato, nel disperato tentativo di sottrarsi alle acque e alla morte. Il rosso del sangue dei cavalli e dei soldati si mescola alla densità del ghiaccio e al pallore delle acque, in una leggerezza che sembra il destino. La scena mi ha ricordato i versi di un contemporaneo di Bonaparte: «si spandea lungo ne’ campi / Di falangi un tumulto e un suon di tube / E un incalzar di cavalli accorrenti / Scalpitanti su gli elmi a’ moribondi, /E pianto, ed inni, e delle Parche il canto» (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, vv. 208-212).
Le Parche, dee della vita destinata a finire; Ἀνάγκη, il destino della necessità, costituiscono la chiave della vicenda di Napoleone, emblema e sintesi della storia moderna con il suo progetto di unificazione dell’Europa, la sua spregiudicatezza di «delinquente corso», il suo amore per la Francia e per se stesso.
Di tutto questo nel Napoléon di Scott emergono soltanto scampoli e frammenti, sostanziati invece dal bisogno di una donna, dalla sua spregiudicatezza grande quasi quanto quella del consorte, dallo sguardo sempre uguale di Joaquin Phoenix. Di Bonaparte rimane una specie di parodia, ben evidenziata in un commento di Denis Collin, il quale scrive giustamente che si tratta di «un film raté. Lamentablement raté. La vision de la France d’un bon réac anglais, une incompréhension radicale du phénomène Napoléon, des batailles sans queue ni tête et des scènes de sexe grotesques». Collin sottolinea la miriade di insensatezze storiche che intessono l’opera e soprattutto il fatto che il Napoleone di Scott e di Scarpa (che ha scritto la sceneggiatura) «n’est pas un Macbeth, mais un bouffon, sans intelligence» mentre «l’histoire napoléonienne est une tragédie» e Bonaparte costituisce la sintesi «de toutes les contradictions de son époque. Mais le barnum hollywoodien ne fait pas bon ménage avec la tragédie» (À propos du Napoléon de Ridley Scott, «La Sociale», 26.11.2023).
Anche questo film è forse un piccolo segno di un’Europa che non sa più pensare se stessa, che non si riconosce, che si dissolve nei sentimenti. Quando una civiltà sostituisce la conoscenza e la determinazione con il primato del sentimentalismo, è una civiltà al tramonto.
4 commenti
Cetti Patanè
Caro Professore, personalmente non mi sono del tutto ripresa dalla profonda delusione causata dalla visione del film che non ho esitato definire alla Mel Brooks. Commento azzardato, lo ammetto, ma secondo il mio parere calzante per varie ragioni. La prima: la scelta degli interpreti. E’ possibile rappresentare l'”Imperatrice creola” con pelle diafana e occhi azzurri, oltre che dall’aspetto assai più giovane di Napoleone che, al contrario, quando la conobbe era un ragazzino? Napoleone a Tolone (mentre secondo Scott assisteva alla decapitazione della Regina a Parigi) era giovanissimo, magrissimo, pallidissimo e senza nessuna cicatrice. Per non parlare della totale assenza delle due Campagne d’Italia, oltre a molte altre battaglie assai significative come Eylau, una strage che costò a Bonaparte una profonda crisi interiore. Austerlitz, i cui piani di battaglia sono ancora studiati al Pentagono, è raccontata in modo assai riduttivo, “Un’epica senza epos” come correttamente scrive Mascilli Migliorini.
Nessuna traccia di Maria Walewska, il suo amore da uomo maturo, lontano dal fuoco giovanile verso Josephine, che gli diede anche un figlio e che fu con lui all’Elba, dopo la sconfitta a Lipsia, mai citata dal regista.
E per finire, ma potrei continuare ad oltranza, la scena più ridicola del film: le cannonate contro la grande piramide di Giza, riconosciuta da tutti come inverosimile visto che, anche chi non è appassionato di storia napoleonica, conosce il grande valore scientifico di quella spedizione che, tra l’altro, portò alla scoperta della Stele di Rosetta e alla decifrazione della lingua geroglifica.
Escludendo che Scott non potesse avvalersi di consulenti storici in grado di non fargli rappresentare assurdità, il film è un tentativo, mal riuscito, di mettere in ridicolo il personaggio e, forse (malignità tutta femminile), l’intera Nazione francese che ne ha una venerazione.
Alla Mel Brooks, per l’appunto.
agbiuso
Cara Dott.ssa Patanè, credo proprio che lei abbia ragione e la ringrazio per aver ricordato alcuni dei numerosi elementi che rendono questo film un inganno storico e un’opera dal significato in qualche modo ‘bellico’ contro la Francia e i suoi miti.
Ma Bonaparte è stato reale, è stato il più grande stratega della storia conosciuta dopo e insieme ad Alessandro Magno, è stato una figura nella quale converge e si brucia un’intera epoca, come Manzoni comprese ed espresse assai bene.
Qui siamo invece nel territorio della farsa, ha ragione.
michele del vecchio
Non ho ancora visto il film su Napoleone anzi, mi correggo, su “Joséphine”. Ho soltanto dato una occhiata alle recensioni apparse sui giornali e ne ho riscontrato un giudizio sostanzialmente negativo. Peccato. Napoleone ha, da tempo, un posto di rilievo nel mio immaginario. E nella mia biblioteca non mancano i libri su di lui, a cominciare dalla bella biografia di Mascilli Migliorini di cui ho letto con grande piacere e soddisfazione alcuni capitoli.
Il mio interessamento per Napoleone ha da sempre incrociato due diversi punti di vista: l’ammirazione per l’eccezionalità del personaggio storico, partito da posizioni di assoluta minorità e insignificanza con il netto avvertimento di una mia incolmabile distanza etico-politica e culturale dalla sua straordinaria carriera di condottiero. Da una parte avevo fatte mie quelle pagine de “Il rosso e il nero” in cui Julien Sorel, di nascosto dagli occhi del padre, violento e reazionario, si tuffa nella lettura del “Memoriale di Sant’Elena”; dall’altra le inequivocabili prove di cinismo, di opportunismo e di brutale dominio offerte ripetutamente dal generale corso.
La tua disamina del film di Ridley Scott è molto precisa e pertinente: non si può ridurre la complessità della figura di un grande personaggio storico a una vicenda d’amore. Un film sul Napoleone “privato”, sull’amante più o meno innamorato rischia di deludere l’attesa di tanti e banalizzare enormemente un Mito tra i più radicati nell’anima europea. Certo, anche Tolstoj presenta ripetutamente un Napoleone meschino, un Napoleone “giallo, enfiato, pesante, con gli occhi torbidi”. Ma di questo “piccolo” generale capace di conquistare, affascinare, guidare, comandare migliaia e migliaia di uomini alla conquista, alla vittoria, alla morte che cosa resta nel film di un regista del calibro di Ridley Scott?
agbiuso
Rimane poco, caro Michele. Rimane nulla di quel mito al quale accenni e che in ogni caso è ormai la verità di Napoleone Bonaparte.
Hai giustamente fatto riferimento a Tolstoj; in una breve riflessione su Guerra e pace di qualche anno fa scrivevo questo:
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Allo spirito popolare di Kutúzov e di Karatàjev si oppone l’individualismo di Napoleone. Egli è certamente presente in ogni pagina del romanzo, è l’attore che ha affascinato le corti e le masse, è l’ambizione immensa del potere. Egli si illude di guidare la storia e i popoli «mentre invece» -quasi manzonianamente- «una invisibile mano lo conduceva» (1330), la sua cieca arroganza suscita persino compassione e disprezzo. Tolstòj condanna come un volgare alibi il progetto napoleonico inteso a fare dell’Europa «un même peuple» e di Parigi «la capitale du monde» (959). Contro questo empio emblema della hybris il pacifista Tolstòj scrive una vera e propria apologia della guerriglia, esaltando il popolo russo che nel momento supremo ha gettato la spada impugnando il randello per colpire con tutte la possibile forza «finché nella sua anima il sentimento dell’offesa e della vendetta si muti in disprezzo e in pietà» (12)
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Per Tolstoj Napoleone è un nemico, si potrebbe dire che è il male, ma dal suo romanzo emerge appunto la misura di questo mito moderno. Mentre dal film di Scott emerge una figura sbiadita, quanto di più lontano ci possa essere sia dal Bonaparte storico sia dal Napoleone leggendario.