Skip to content


Giustizia / Vendetta

Giustizia / Vendetta

«Oὐκ ἀτρίακτος ἄτα; invincibile è Ate!»1  invincibile è la giustizia/vendetta. È lei la signora dell’intera trilogia che va sotto il nome di Orestea e lo è in particolare di questa seconda parte. Giustizia/vendetta che hanno a che fare con il cosmo, con la Terra, con l’intero e non soltanto con le effimere vicende dei mortali.
Si tratta di un principio universale, che già il frammento di Anassimandro aveva espresso con grande potenza. Il coro delle coefore, delle donne che portano libagioni sulla tomba di Agamennone, afferma che «δι᾽ αἵματ᾽ ἐκποθένθ᾽ ὑπὸ χθονὸς τροφοῦ / τίτας φόνος πέπηγεν οὐ διαρρύδαν; il sangue bevuto dalla Terra nutrice / è vendetta, è delitto, è un grumo che non si scioglie» (vv. 66-67; p. 518). Giustizia è «τὸν ἐχθρὸν ἀνταμείβεσθαι κακοῖς; ricambiare il malvagio con il suo stesso male» (v. 123; p. 522), modalità d’esistenza nella quale il fondatore del cristianesimo identifica correttamente «i pagani» (Mt, 5, 43-48).
La giustizia/vendetta è per i Greci un potente sentimento – «θυμὸς ἔγκοτον στύγος; è l’impeto del cuore – è il rancore implacabile» (v. 393; p. 542) – ed è anche un principio sacro, che gli Dèi vogliono, pensano, impongono ai mortali. «Ἄρης Ἄρει ξυμβαλεῖ, Δίκᾳ Δίκα; Ares contro Ares, Dike contro Dike» (v. 461; p. 546); conflitto e giustizia unite in cinque parole, in un verso tra i più splendidi e sintomatici della Grecità.

A imporre a Oreste la vendetta è il dio dell’equilibrio e della luce, è Apollo, Apollo Λοξίου, l’obliquo, il molteplice, l’ironico. Se non ubbidisse al dio, Oreste subirebbe la persecuzione delle Erinni. E tuttavia compiuto il riscatto della morte del padre Agamennone con la morte per sua mano della madre Clitemnestra, Oreste viene immediatamente perseguitato dalle Erinni. Non si dà ragione alcuna, infatti, per uccidere la madre, qualunque azione abbia ella compiuto. È dalla sua carne che infatti gli umani, come qualunque mammifero, vengono lentamente plasmati nei mesi in cui sono con la madre una cosa sola. Uccidere la propria madre è uno dei massimi atti contro natura che sia possibile pensare.
La sorella Elettra, il coro delle schiave troiane, l’amico Pilade, la nutrice, ricordano in modi diversi a Oreste il suo dovere di vendicare il padre tradito e assassinato. E Oreste ubbidisce. Dopo aver ubbidito ad Apollo dichiara perché lo ha fatto: «κτανεῖν τέ φημι μητέρ᾽ οὐκ ἄνευ δίκης; ho ucciso mia madre per giustizia» (v. 1027; p. 588). E tuttavia la conseguenza sono le Erinni davanti al suo cuore, le Erinni che lo fanno impazzire, le Erinni che non hanno pietà e che soltanto il tocco del Lossia, forse, potrà scacciare dal corpomente del matricida.
Davvero nel mondo degli umani «τὸν ζῶντα καίνειν τοὺς τεθνηκότας; i morti uccidono i vivi» (v. 886; p. 576), corpo si sostituisce a corpo, vita si sostituisce a vita; la morte è il signore di tutti. Suo tramite è il principio femminile che prende e dà, che costruisce dentro di sé la vita e schianta con la propria forza le vite che ha generato. Monica Centanni vede acutamente e giustamente all’opera in tutto questo uno «sguardo etologico» (p. 1061), quello che Sofocle esercita nel celebre inno dell’Antigone che celebra l’umano come forza meravigliosa e tremenda, concezione che in realtà è di Eschilo, per quanto splendidamente ripresa dal suo successore. Infatti:

πολλὰ μὲν γᾶ  τρέφει
δεινὰ καὶ  δειμάτων ἄχη,
πόντιαί τ᾽ ἀγκάλαι κνωδάλων
ἀνταίων βρύουσι:
πλάθουσι βλαστοῦσι καὶ πεδαίχμιοι
λαμπάδες πεδάοροι,
πτανά τε καὶ πεδοβά-
μονα κἀνεμοέντ᾽ ἂν
αἰγίδων φράσαι κότον.

ἀλλ᾽ ὑπέρτολμον ἀνδρὸς
φρόνημα τίς λέγοι
καὶ γυναικῶν φρεσὶν  τλαμόνων  καὶ
παντόλμους ἔρωτας
ἄταισι συννόμους βροτῶν;

Molti la terra nutre
Terribili […] funesti orrori
E i recessi del mare
brulicano […] di bestie mostruose, maligne.
E dall’alto cala ancora rovina:
I fulmini dal cielo distruggono
Gli esseri dell’aria e della terra. E potrei dire dei venti, il vortice tempestoso del loro furore.

Ma la violenza che c’è nella mente dell’uomo
Chi potrà dirla a parole?
E la brama del cuore delle donne
Temerarie […] l’audace
Passione che porta tutti a rovina?
(vv. 585-598; p. 556)

Una condizione ambigua, dinamica, cangiante, che diventa in Oreste cambio repentino di identità: da figlio vendicatore supplicato dalla madre a figlio perseguitato dalle Erinni della madre, da queste cagne immonde e potenti. In pochi versi, in un istante, «Oreste non è già più il vendicatore vittorioso del padre: è un figlio con le mani sporche di sangue della madre, perseguitato dai demoni» (Centanni, pp. 1088-1089).
I demoni che intessono e guidano le nostre passioni, non quelle di Oreste, le nostre: ogni giorno, per tutta la vita. Nessuno, davvero, «fra i mortali può passare / tutta senza affanno la vita, senza pagare il prezzo; οὔτις μερόπων ἀσινὴς  βίοτον / διὰ παντὸς  ἀπήμον᾽  ἀμείψει» (vv. 1018-1019; p. 588). Una vita priva di dolore e di inquietudine, sarebbe qualcosa di «più prezioso dell’oro / più grand[e] della grande fortuna degli Iperborei!; κρείσσονα χρυσοῦ, μεγάλης δὲ τύχης καὶ ὑπερβορέου» (vv. 373-374; p. 540).
Gli Iperborei, popolo presso il quale Apollo trascorreva gli inverni. Anche Eschilo è Λοξίου, obliquo come il dio.


Nota
1. Eschilo, Coefore (Χοηφόροι, 459 a.e.v.), verso v. 338; p. 538,  in Le tragedie, traduzione, introduzioni e commento di Monica Centanni, Mondadori 20133, pagine LXXXII-1245. Le successive citazioni saranno indicate nel testo con i numeri dei versi seguiti dal numero di pagina dell’edizione Meridiani.

Inserisci un commento

Vai alla barra degli strumenti