Il quinto potere
(The Fifth Estate)
di Bill Condon
USA, 2013
Con: Benedict Cumberbatch (Julian Assange), Daniel Brühl (Daniel Domscheit-Berg), Moritz Bleibtreu (Marcus), David Thewlis (Nick Davies), Alicia Vikander (Anke)
Trailer del film
Per evitare il rischio di annoiare -l’argomento è pur sempre cupo e politico- il film cade nell’eccesso opposto di una frenesia che non si sofferma su nulla più a lungo di qualche secondo. Diventa quindi puro spettacolo che a poco a poco sembra condividere la preoccupazione che i documenti resi noti da WikiLeaks mettano in pericolo le fonti. Aggiunge però anche alcune voci le quali affermano che a mettere in pericolo le vite degli informatori sono invece le politiche criminali dei governi oggetto della denuncia di WikiLeaks. Soprattutto il governo degli Stati Uniti d’America. La realtà è che Julian Assange è da dieci anni in un modo o nell’altro prigioniero e rischia di finire i suoi giorni in un carcere statunitense per accuse pretestuose, inventate allo scopo di farlo tacere e anche giuridicamente decadute.
Ma chi se ne importa? Chi dovrebbe difendere Assange? Dovrebbero forse farlo i giornali, la cui completa rinuncia al proprio ruolo ha reso WikiLeaks un’organizzazione tanto necessaria quanto innocua? Perché questo è il punto. Quando a indagare sulle azioni dei governi, informare sulle violenze da essi perpetrate, raccogliere e rendere noti i documenti che provano azioni e violenze, quando a fare tutto questo è un sito web e il suo fondatore mentre stampa, giornali e televisioni vengono finanziati dai governi e dalle multinazionali, accade che l’opera di denuncia, il numero di documenti diffusi, i file presenti sui server di WikiLeaks diventano di numero e di tristezza tali da non incidere più di fatto sulla percezione che si ha dell’opera dei governi, ai quali invece -seguendo la melensa e propagandistica azione quotidiana dei giornali e dei telegiornali- si crede come a delle strutture volte a preservare la sicurezza e il benessere dei cittadini.
Falso, naturalmente. Radicalmente falso. Intrinsecamente falso. Ma capire che l’opera dei governi è criminale implica un impegno politico ed esistenziale che non è facile praticare. Assai più comodo credere a telegiornali, giornaletti e giornaloni. Assai più comodo rimanere nella ingenuità di un approccio infantile, obbediente e acritico alla politica.
Tutto questo nel film si intravede ma non viene tematizzato. Al di là della preoccupazione ‘spettacolare’, un esito così incompiuto -un’occasione davvero mancata- è dovuto anche alla preoccupazione da parte di regista e produttori di essere a propria volta perseguitati. Fatti e timori che testimoniano come negli ultimi decenni le libertà siano state sempre più erose anche negli stati che si autodefiniscono ‘democratici’ e i cui cittadini credono ormai a qualsiasi cosa provenga dalle fonti mediatiche ufficiali, a qualsiasi notizia e interpretazione venga dai governi e dalle aziende che di quei media sono proprietari.
Vale sempre l’avvertimento di Debord: «Il ne faut pas oublier que tout médiatique, et par salaire et par autre récompenses ou soultes, a toujours un maître, parfois plusieurs» (‘Non bisogna dimenticare che ogni impiegato dei media, tramite lo stipendio e altre ricompense, ha sempre un padrone, e spesso più di uno’; Commentaires sur la société du spectacle, Gallimard 1992, § VII, p. 31).
L’attività di Assange può essere criticata, naturalmente. Ai miei occhi il progetto di una trasparenza completa delle istituzioni è non soltanto irrealizzabile –il potere è il suo segreto– ma è anche per molti versi inquietante. Le comunità hanno bisogno di un certo grado di riservatezza, come ne hanno bisogno le persone. E nessun documento da solo è in grado di comunicare la complessità della catena di eventi della quale è parte. Ogni dato va sempre interpretato, contestualizzato, compreso. Anche per questo l’opera di WikiLeaks rischia di diventare un magazzino di turpitudini dell’autorità. La vita individuale e collettiva è intrisa di ermeneutica.
Nonostante tali riserve, però, e di fronte al servilismo totale della più parte dei «médiatiques», di fronte al fiume di menzogne che telegiornali e giornali propinano senza interruzione, l’azione di Assange è stata e continua a essere preziosa per comprendere «di che lagrime grondi e di che sangue» l’autorità dei governi (Foscolo, Dei Sepolcri, v. 158).
1 commento
agbiuso
Assange libero, ma i crimini di guerra vengono assolti
il Simplicissimus, 25.6.2024
La detenzione illegale del giornalista Julian Assange nella prigione britannica di Belmarsh è finalmente giunta al termine. Ma senza gloria per lui e senza onore per i suoi carcerieri, perché la liberazione che tutto il mondo chiedeva, salvo ovviamente i giornalisti occidentali, il cui mestiere è palesemente un altro, si è concretizzato nell’ambito di un putrido accordo che ha inferto un duro colpo alla libertà di stampa. Il fondatore di WikiLeaks, è ora in viaggio verso le isole Marianne che sono sotto la giurisdizione degli Stati Uniti: lì Assange si dichiarerà colpevole e sarà condannato a cinque anni di carcere, che ha già scontato a Belmarsh. Poi sarà libero di tornare in Australia.
La sua grave colpa è stata quella di aver rivelato i crimini di guerra degli Usa, come fece una volta Seymour Hersh durante la guerra del Vietnam: solo che allora gli Stati Uniti dovevano assolutamente conservare l’immagine patinata di Paese libero, perché esisteva il pungolo ideologico dell’ Unione Sovietica che fungeva in qualche modo da diga contro il rivelarsi dei più bassi istinti. Il risultato finale di tutto questo è decretare grottescamente che chi denuncia crimini di guerra deve andare in galera mentre rimane libero e riverito chi quei reati li ha commessi o ordinati. Questo è il sistema il sistema giudiziario statunitense, secondo cui la colpa è denunciare chi svela le atrocità e non chi le haperpetrate. Così la vicenda mette bene in luce lo stato dei diritti fondamentali nell’Occidente, guidato dall’egemone USA e dai suoi vassalli europei.
Per fortuna oggi non c’è più bisogno di un eroe come Assange: gli Usa e i suoi alleati come Israele o i Paesi della Nato commettono ormai stragi alla luce del sole come dimostrano l’azione terroristica in Crimea e naturalmente la pulizia etnica nella striscia di Gaza. Sono giunti a tal punto di decozione etica da aver perso qualsiasi freno inibitorio, il che naturalmente accade regolarmente all’inizio della fine.