Su invito dell’Osservatorio permanente sulla contemporaneità, sabato 19.2.2022 alle 11,30 nel Palazzo Tolomei di Firenze (Via De Ginori, 19) terrò un incontro dal titolo Nella luce di un virus.
Questo l’abstract del mio intervento.
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L’epidemia Sars-Cov2, ciò che scatena nel corpo collettivo, è una forma sempre più evidente di nichilismo, di nascondimento dei volti, di dissoluzione della socialità, di timore diffuso e contagioso, di ignoranza dei corpi, di tramonto del senso, di declino della razionalità, di ubbidienza fanatica, di rifiuto del limite, di negazione della insecuritas, di terrore. È questa la follia del presente, è questo il cuore nero della desacralizzazione del mondo, lo sgomento per la sua misura mortale e finita.
A chi osserva senza pregiudizi dovrebbero risultare evidenti:
-la funzione politica che il virus sta svolgendo;
-l’accelerazione imposta ai processi di dematerializzazione;
-gli enormi interessi economici in gioco da parte delle piattaforme;
-il ritorno a un ‘positivismo’ così rozzo da non meritare neppure la denominazione comtiana;
-l’infantilizzazione del corpo sociale;
-il dilagare dell’ignoranza come frutto della chiusura e dell’impoverimento delle aule scolastiche e universitarie;
-la cancellazione del significato stesso del vivere e del morire.
Il virus disvela tutto questo. Esso ci aiuta a comprendere il potere pressoché assoluto dell’informazione in mano alle grandi potenze economico-finanziarie. E ci aiuta soprattutto a comprendere quanto tremanti siano diventati gli umani, pronti a rinunciare alle libertà e alla razionalità, indipendentemente dal loro grado di istruzione, di ricchezza economica, età e condizione. Abbiamo il privilegio, per dir così, di assistere con i nostri occhi a degli eventi politicamente e antropologicamente epocali. Che ci insegnano, che devono, insegnarci, saggezza e sapienza, φρόνησις e σοφία.
In ogni caso non prevarranno, la tirannide si spezzerà, come sempre è accaduto nella storia. E chi avrà resistito a questa ondata di irrazionalismo avrà contribuito a portare alla luce quanto di più inquietante abita dentro l’umano.
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3 commenti
agbiuso
Segnalo una nuova iniziativa dell’Osservatorio:
Il prossimo incontro dell’Osservatorio permanente sulla contemporaneità si terrà sabato 9 aprile alle ore 11.00 in Palazzo Tolomei, Via de’ Ginori, 19, Firenze
Giovanni Leghissa (Filosofia teoretica, Università di Torino) parlerà su:
Di quanta verità possiamo fare a meno? La rinuncia alla libertà in cambio di sicurezza tra retoriche pandemiche e retoriche belliche
Abstract
C’è continuità tra il modello antropologico – o la struttura del sentire, si può chiamarla anche così – impostosi durante la pandemia (rinuncia a interrogarsi criticamente su quanto accade, accettazione di restrizioni della libertà nel nome di una presunta sicurezza) e il modello antropologico che si impone ora con la guerra, con una rapidità impressionante (c’è la guerra e quindi ogni sacrificio si giustifica, dalle case fredde alla riduzione ulteriore di libertà di parola nel nome della coesione interna contro il nemico). Per capire come funziona la rinuncia alla libertà in cambio di sicurezza che sta alla base di tali strutture del sentire, è importante interrogare il ruolo che la conoscenza ha nella costruzione delle identità individuali e collettive. Mostrando che gli umani possono sopportare deficit di verità molto consistenti, e che possono anche vivere immersi in universi discorsivi privi di riferimenti a qualunque dibattito scientifico, si cercherà di indicare quali pericoli corra una democrazia matura quando nell’agorà la circolazione di discorsi veri scende al di sotto di una certa soglia critica, come pare stia accadendo ora.
agbiuso
Questa la locandina dell’evento organizzato dall’Osservatorio permanente sulla contemporaneità.
Marco Christian Santonocito
Gentile Professore,
la contraddizione più stridente dell’attuale irrazionalismo sembra essere rappresentata in particolare da due fra gli elementi da lei citati:
da un lato, “l’accelerazione imposta ai processi di dematerializzazione”, che lascia pensare al segreto desiderio di liberarsi definitivamente dal corpo (per ridursi a puro pensiero svolazzante in un paradiso sognato);
dall’altro lato, “il ritorno a un ‘positivismo’” che lei definisce, appunto per la contraddizione in cui si trova con la dematerializzazione, “così rozzo da non meritare neppure la denominazione comtiana”.
Questo estratto sarebbe sufficiente da solo – in condizioni normali – a rischiarare le menti.