Doveri e diritti dei docenti universitari
Insieme a Monica Centanni, e anche su sollecitazione di alcuni colleghi, abbiamo ragionato sulla nostra esperienza generale e su quella dell’ultimo semestre dello scorso anno accademico; abbiamo consultato le principali leggi di riforma dell’istruzione e dell’università che si sono susseguite negli anni; abbiamo attinto al confronto avuto in questi mesi con i nostri studenti.
Ne è scaturito un testo che abbiamo poi sottoposto al controllo di vari giuristi e che vorrebbe costituire una Guida per i docenti universitari che intendono svolgere pienamente il loro compito didattico e civile anche in tempi complessi come quelli che ci troviamo a vivere
Pubblico qui le Premesse e i dieci punti della Guida; in Corpi e politica si può leggere la versione integrale del documento, con l’Appendice giuridica e l’indicazione di alcuni testi di approfondimento da noi pubblicati negli scorsi mesi.
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Iuxta legem. Dei doveri e dei diritti dei docenti universitari, in tempo di epidemia.
Una guida
di Alberto Giovanni Biuso e Monica Centanni
“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”
Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 33
Una guida – esito sintetico della nostra esperienza, maturata ed esercitata da noi personalmente e concretamente nel corpo vivo dei corsi che abbiamo tenuto nella primavera/estate 2020 all’Università di Catania e all’Università Iuav di Venezia. Abbiamo sintetizzato la nostra presa di posizione in questo testo su sollecitazione di molti amici e sodali, ‘compagni di scuola’ dei nostri e di altri Atenei.
La scorsa primavera, per spirito di responsabilità istituzionale e con la piena consapevolezza della difficoltà della situazione, abbiamo tenuto a spiegare e argomentare le nostre prese di posizione prima ai nostri studenti e poi agli organi di governo delle nostre Università, e in qualche caso siamo stati chiamati direttamente ‘in causa’, a renderne conto.
Specifichiamo che, avendo applicato punto per punto i principi e i comportamenti che ora abbiamo raccolto in questo Decalogo, pur essendo stati richiamati a dar ragione delle nostre scelte, non siamo stati sottoposti ad alcun provvedimento sanzionatorio da parte degli organismi di disciplina delle nostre Università. Comunque, a garanzia di tutti, prima di condividere questa nostra elaborazione, abbiamo sottoposto il Decalogo ad amici e colleghi giuristi, i quali hanno verificato la correttezza, legale oltre che di principio, delle nostre affermazioni. Ne abbiamo inoltre parlato con alcuni dei nostri studenti, i quali ci hanno dato delle indicazioni molto significative.
Premesse
La prima premessa è il perdurare della condizione di emergenza collegata all’epidemia Covid, la conseguente affermazione dello stato di eccezione, nazionale e internazionale, che ad essa conseguirebbe, e la mancanza di chiarezza nelle indicazioni sulla didattica universitaria.
La seconda riguarda il fatto che non tutti i docenti universitari sono disposti a subire passivamente i multiversi e contradditori diktat impartiti da una qualsiasi autorità sulle modalità di svolgimento delle lezioni universitarie.
La terza è relativa al fatto che i doveri e i diritti dei docenti universitari sono statuiti dalla Costituzione, che rappresenta il vertice nella gerarchia delle fonti del diritto e non può certo essere contraddetta – esplicitamente o implicitamente – da una disposizione normativa di rango secondario, come i regolamenti emanati dai singoli Atenei o un qualsiasi altro provvedimento amministrativo.
Tutte le leggi che la Repubblica ha emanato sull’insegnamento universitario confermano – e altro non potrebbero fare – la lettera e lo spirito dell’art. 33 della Costituzione (si veda, in Appendice, una sintesi delle leggi sul punto che ribadiscono il dettato costituzionale). Di fatto, gli obblighi dei docenti sono indicati nei regolamenti dei singoli Atenei in modo di caso in caso più o meno preciso. Tutto ciò che non viene esplicitamente regolamentato è lasciato alla coscienza civile e alla competenza didattica dei docenti stessi, nella piena osservanza anche degli articoli 2 e 34 della Costituzione che stabiliscono: il rispetto dei “diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”; il fatto che “la scuola [sia] aperta a tutti”; il fatto che “i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. In questo contesto è importante ricordare che Concetto Marchesi fra i Costituenti nel presentare l’articolo 33 – in cui è detto che “la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione” – sostiene che esso è “ben lontano dal proporre e dal desiderare che lo Stato intervenga come ordinatore degli indirizzi ideologici, dei metodi di insegnamento [c.vo nostro] e di tutto ciò che possa intaccare o menomare la libertà di insegnamento, la quale invece deve essere in tutti i modi rispettata e garantita”.
Una guida, in dieci punti
I. Libertà di insegnamento
Il docente ha il dovere e il diritto di svolgere la sua attività di insegnamento e di ricerca, individuando le modalità e i metodi più idonei rispetto alla materia e all’organizzazione interna del corso, all’interno dell’organizzazione dei Dipartimenti.
Il docente ha altresì il diritto di rifiutarsi di svolgere le lezioni in modalità non compatibili con le linee etiche e deontologiche che definiscono la qualità del suo insegnamento.
II. Contatto e relazione con gli studenti
Il docente ha il dovere di avviare un contatto diretto con gli studenti iscritti al corso, stabilendo una relazione individuale o di gruppo e con i mezzi che ritiene più idonei per chiarire i contenuti del programma, fornendo ogni indicazione utile e tutti i materiali per gli approfondimenti. Il dovere della relazione diretta, personale e di gruppo, con la classe e con i singoli studenti è tanto più vitale e importante quanto più anomale sono le condizioni in cui ci si trova a insegnare. Il docente ha il dovere di condividere con gli studenti del corso le linee e la metodologia per lo studio dei testi in programma e per eventuali ricerche e approfondimenti.
III. Diritto di obiezione di coscienza rispetto alla didattica a distanza
Il docente – che non abbia ab initio stipulato un contratto che preveda la sua accettazione di modalità di insegnamento telematico – ha il diritto di esercitare obiezione di coscienza rispetto a qualsiasi obbligo imposto che sia contrario ai suoi metodi e ai suoi principi. Rientra a pieno titolo nel principio della libertà di insegnamento del docente sostenere e argomentare in tutte le sedi, dal confronto con gli studenti alle sedi istituzionali, il fatto che la didattica a distanza, dal punto di vista concettuale, è un monstrum che impone la consegna incondizionata di corpi e di menti alla nuova modalità di insegnamento e comporta lo snaturamento del carattere della lezione, per sua natura interattivo e sinestetico. All’orizzonte dell’ideologia securitaria della immunitas si profila l’eliminazione del contatto fisico tra docente e studenti, e tra studente e studente.
IV. Diritto al rifiuto dell’integrazione impropria della dotazione retorica
Il docente ha il dovere di svolgere lezioni e di essere preparato a questo compito sia dal punto di vista dei contenuti sia dal punto di vista del possesso della necessaria strumentazione retorica. Viceversa, il docente non ha alcun dovere di istruirsi né di ‘aggiornarsi’ su altre tecniche di comunicazione estranee alla lezione universitaria, come gli spot video o i documentari televisivi, attività per le quali sono richieste tecniche e retoriche specifiche. Ogni genere ha la sua retorica. Se gli organi di governo dell’Ateneo adottano la decisione di attivare cicli di lezione “televisive”, arruolino figure di ‘divulgatori’ formati tecnicamente ad hoc, senza imporre al docente di affinare tecniche performative improprie. Per assurdo (ma non tanto): perché non far recitare la propria lezione a un attore professionista, con adeguata assistenza di registi e di tecnici luci e audio? E perché non far declamare le proprie lezioni in inglese – richieste in molti corsi – da un ‘alias’ madre-lingua? È comunque dovere/diritto del docente attivare e promuovere, anche fra gli studenti, la consapevolezza critica che la scelta del canale ‘televisivo’ – e del metodo e della retorica connessi a quella modalità di comunicazione – si pone come modalità alternativa rispetto alla tradizione di una paideia positivamente consolidata da secoli in Italia e in Europa e, di fatto, incentiva l’assimilazione delle nostre università con le università telematiche parificate, che in Italia già proliferano in modo abnorme, grazie a scelte legislative scellerate.
V. Diritto al rifiuto della registrazione delle lezioni
Il fatto, positivo e auspicabile, che le lezioni possono essere trasmesse agli studenti impossibilitati a partecipare fisicamente mediante mezzi telematici via streaming, non comporta né include alcun obbligo di registrazione su piattaforme private (Teams, Zoom e analoghi software). Va ricordato che in qualsiasi situazione e circostanza, i contenuti e le modalità delle lezioni sottostanno inoltre alle norme sulla riservatezza (privacy) e in quanto tali non possono essere registrate senza il consenso del titolare della lezione stessa (neppure tramite semplici registratori audio). Più in generale, va rivendicato il principio che l’attività didattica è proprietà intellettuale del docente, che può decidere di cederne i contenuti – se lo ritiene opportuno – ma può rifiutarsi di farlo. In particolare, ogni lezione costituisce un’espressione intellettuale che deve essere garantita nella sua interezza, senza estrapolazioni, tagli, inserimenti che rischiano di stravolgerne contenuti, intenzioni, obiettivi. Nulla di tutto questo è garantito dalla registrazione delle lezioni su piattaforme private che ne diventano ipso facto le detentrici anche economiche, con tutte le conseguenze sull’utilizzo di opere dell’ingegno (spesso non pubblicate) da parte dei gestori delle piattaforme private. Alla luce di tutto questo, l’obbligo di svolgimento delle lezioni (in presenza o in streaming) non comporta alcun obbligo di registrazione delle lezioni stesse. Il docente può quindi rifiutarsi di registrare una, più o tutte le lezioni del corso che svolge.
VI. Diritto/dovere al rifiuto di controllo (burocratico) passivo
Il docente ha il diritto/dovere di sottrarsi a qualsiasi forma di controllo da parte degli uffici delle modalità e degli orari degli accessi alle piattaforme didattiche – un abuso che implica la riduzione in un ruolo umiliante per controllori e controllati. Di converso il docente ha il dovere di rispondere puntualmente alle osservazioni dei suoi studenti, del direttore e dei colleghi del corso di studio, a richieste di chiarimento e di delucidazione sui contenuti e sulle modalità del suo insegnamento.
VII. Diritto/dovere al rifiuto di controllo (poliziesco) attivo
Il docente ha il diritto/dovere di sottrarsi a qualsiasi ordine che lo porti a svolgere azioni di controllo sulle presenze, sulle attitudini, sui costumi degli studenti. In particolare, ha il diritto/dovere di sottrarsi al ruolo di controllore, reale o informatico, che è un ruolo implicitamente poliziesco, del tutto estraneo all’accordo fiduciario con gli studenti (ed estraneo anche alle sue mansioni) che, se necessario, va attribuito ad altre figure.
VIII. Difesa della libertà di accesso allo spazio universitario e permeabilità degli spazi a tutti i cittadini
È dovere del docente difendere la libertà di accesso agli spazi universitari: l’emergenza non può diventare una prova generale di sequestro e impermeabilizzazione degli spazi – aule, biblioteche, spazi comuni – alla libera circolazione di tutti cittadini. La limitazione della possibilità di accesso a tali luoghi di cultura equivale, infatti, a uno snaturamento degli stessi, istituzionalmente destinati all’uso pubblico, e a un conseguente depauperamento della cittadinanza, titolare ultima, nel suo insieme, del diritto di disposizione di quegli spazi.
IX. Rifiuto di collaborare all’aumento delle diseguaglianze, significato e funzione sociale e politica della didattica
Il docente ha il diritto/dovere di opporsi con tutti i mezzi a sua disposizione alla possibilità che il suo insegnamento accresca il divario di classe, economico e sociale, tra i suoi studenti. In questo senso ha il dovere di allenare il senso critico suo, degli studenti e dei coordinatori della didattica dei suoi corsi in merito all’aggravamento del divario che la didattica a distanza, di fatto, provoca. La pratica didattica – la didattica reale, la didattica in presenza – è una delle espressioni più chiare e feconde del principio politico-educativo che Hannah Arendt ha sintetizzato nell’atto di “uscire di casa” – prima condizione del passaggio dell’individuo da idiotes – persona che gestisce i suoi interessi privati all’interno dell’ambiente domestico o della comunità protetta – a polites ‘cittadino’, ovvero essere umano a pieno titolo che agisce nello spazio pubblico. Le istituzioni sono chiamate a educare politicamente i cittadini e non a favorire la tendenza all’infantilizzazione del corpo sociale: la didattica a distanza incentiva il ritorno al nido domestico degli studenti, la ritrazione in una dimensione che favorisce la permanenza all’interno del clan, anziché affrancare lo studente dai costumi familiari e locali. Le città italiane sono per storia e per vocazione storica “cittadelle del sapere” e in questo senso va incoraggiato, anche con sostegni economici consistenti e mirati, lo sviluppo della residenzialità di docenti e studenti nelle città universitarie.
X. Diritto/dovere alla parrhesia e denuncia della microfisica del potere
Proprio del docente è il diritto/dovere di esprimere con l’efficacia di cui è capace il suo pensiero critico rispetto alle regole vigenti: si tratta di un diritto/dovere proprio del cittadino, che il docente universitario deve sapere esercitare a un grado superlativo. Ciò vale anche sotto il profilo pedagogico, perché primo impegno del docente universitario è l’educazione alla critica e alla parrhesia e il dovere di tenere alta la propria intelligenza critica e allenare lo spirito critico degli studenti. Nella consapevolezza che le più insidiose forme di imposizione passano per via amministrativa e che la “microfisica del potere” si disloca nella parcellizzazione di regolamenti e circolari, il docente ha il diritto/dovere di argomentare nei confronti degli organi di governo dell’ateneo e, soprattutto, con gli studenti la resistenza a qualsiasi forma di controllo e la possibilità di rigetto delle modalità imposte.
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Il documento continua con i riferimenti giuridici e i suggerimenti di lettura. La versione integrale si trova qui: Pdf del documento
9 commenti
agbiuso
Da: La “quarta missione” dell’Università: il feticcio della rendicontazione
di Fabrizio Benente – Roars, 16.5.2024
Gli ultimi anni hanno prodotto una crescita esponenziale dei doveri di rendicontazione e autovalutazione che sta cambiando il modo di lavorare dentro gli Atenei. Le incombenze “amministrative” e di “rendicontazione” stanno crescendo in maniera esponenziale, anche per seguire una linea normativa nazionale sempre più orientata in tal senso. Questi doveri aggiuntivi assorbono ore di lavoro e stanno erodendo sensibilmente il tempo della ricerca e il tempo della didattica universitaria. Questa “quarta missione” sembra aver prodotto una mutazione genetica e ha generato due tipologie di docenti che sono sempre più presenti negli Atenei: il “ragioniere seriale” e il ”progettista di cruscotti”. Queste competenze stanno diventando un ascensore per le carriere perché portano con sé incarichi e visibilità.
[…]
Il tempo da dedicare alla ricerca deve essere garantito: è un dovere contrattuale, e si configura anche come un diritto di legge che comporta la “piena libertà di scelta dei temi e dei metodi delle ricerche”. Un ultimo dovere, non meno cogente, è costituito dagli obblighi partecipativi. Questo comporta la presenza nelle sedute degli organi collegiali, l’assunzione di compiti di direzione e gestione nei medesimi organi o in altri organi dell’Ateneo (Dipartimenti, Scuole, Centri, ecc.). Le regole di ingaggio sono, quindi, molto precise. Tuttavia, esiste un crescente e cogente impegno in una “quarta missione”: l’autovalutazione e la certificazione della quantità delle azioni realizzate. Questo aspetto potrebbe sembrare eticamente corretto e di poco impegno. Il vero nodo della questione è che le incombenze “amministrative” e di “rendicontazione” stanno crescendo in maniera esponenziale, anche per seguire una linea normativa nazionale sempre più orientata in tal senso. Questi doveri aggiuntivi assorbono ore di lavoro e stanno erodendo sensibilmente il tempo della ricerca e il tempo della didattica universitaria.
[…]
Quali sono i rischi? Un minore tempo per l’aggiornamento (mentre bisognerebbe continuare a studiare) e una mortificazione dell’insegnamento e della ricerca (quando bisognerebbe perseguire innovazione e originalità). Sono aspetti su cui occorre riflettere in una dimensione nazionale. Si sta, infatti, diffondendo a macchia d’olio una subdola cultura della performance che porta ad un rischio: “simulare” l’efficienza, anziché realizzare effettivamente la qualità. Mi spiego meglio: produrre la qualità è notoriamente un processo complesso: richiede tempo. Rendicontare la quantità è un percorso molto più facile, che può introdurre qualche scorciatoia, perché affida ogni valutazione all’utilizzo del pallottoliere.
[…]
Infine, occorre riflettere su un ultimo aspetto: la “quarta missione” sembra aver prodotto una mutazione genetica e ha generato due tipologie di docenti che sono sempre più presenti negli Atenei: il “ragioniere seriale” e il ”progettista di cruscotti”. Insospettabilmente, queste competenze stanno diventando un ascensore carrieristico, perché portano con sé incarichi e visibilità: due aspetti che spesso sono ambiti a dismisura in accademia. Solitamente si tratta di soggetti dai comportamenti riconoscibili e omologabili. Magari sono stati reclutati per insegnare scienze archeologiche (utilizzo il mio campo di studio, così evito riferimenti), ma diventano delle autorità indiscusse nell’elaborazione di algoritmi, nella compilazione di report, statistiche e protocolli di autovalutazione. Per paradosso: esercitano un mestiere diverso da quello per cui sono stati reclutati, e per cui sono mensilmente retribuiti.
agbiuso
Le Università italiane ben incamminate verso il maccartismo, quindi verso la negazione della loro stessa sostanza, identità, funzione, senso.
agbiuso
Pubblico alcuni brani -e la pagina- del documento.
Fonte: Umanità e Ragione
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APPELLO AD UN ATTO DI CORAGGIO PER UN’UNIVERSITA’ LIBERA, EQUA, DEMOCRATICA
Pubblichiamo il Comunicato inviato a mezzo pec il 24/12/2021 alle Università statali italiane.
Ai Magnifici Rettori, Alle Magnifiche Rettrici delle Università italiane
Abbiamo appreso con sommo sconcerto e non senza imbarazzo il contenuto di recenti circolari di alcuni Atenei che hanno inteso proibire la partecipazione alle sedute di laurea a studenti laureandi, docenti della commissione esaminatrice ed eventuali accompagnatori sprovvisti di Super Green Pass (id est della vaccinazione Covid).
In numerosi Atenei è stato, inoltre, proibito l’accesso al campus universitario a chiunque sia sprovvisto del green pass base, il che amplifica ulteriormente la già inaccettabile ingiustizia di una normativa che mortifica il diritto all’istruzione ed al lavoro, alimentando odio e discriminazione sociale.
[…]
Se nulla è stato fatto sinora per porre un argine alla deriva disumanizzante in atto, non significa che si debba seguitare ad essere complici dei soprusi e degli incessanti attacchi alla democrazia ed alla dignità umana subiti in questi mesi.
Nel corso della storia, le Università sono state i presìdi delle libertà e della tutela del dissenso e del confronto, quali fonti di conoscenza e di riconoscimento dei tratti caratteristici della dignità della persona. Scrigni del sapere non fine a sé stesso, le Università sono state sempre contesti vitali di resistenza, prima di tutto culturale, avverso i soprusi.
Ed è per questo che gli Atenei non solo non debbono in alcun caso aggravare le già penose condizioni in cui versano i diritti degli studenti e dei docenti, evitando, quindi, l’introduzione di restrizioni arbitrarie, ma sono chiamati ad ergersi a baluardo contro le politiche di odio, di segregazione sociale, di tacitazione del dissenso, di usurpazione delle libertà inalienabili messe in atto da tutti gli apparti dello Stato.
Vi esortiamo, quindi, ad un atto di coraggio e Vi chiediamo di liberare le Università dalle anguste catene della burocrazia e da una politica gestionale di acritica accettazione del sistema, affinché tornino ad essere quei luoghi di libero accesso al sapere che non temono guerre, non temono censure, nei quali si insegni e si apprenda che non v’è civiltà se non v’è rispetto dei diritti intangibili dell’uomo!
Umanità e Ragione
Rete Nazionale Scuola in Presenza
Lavoro e studio diritti di tutti Unibo
Studenti contro il Green Pass Salerno
agbiuso
Un’importante e assai positiva notizia viene dall’Università del Piemonte Orientale, che il Rettore e il Direttore Generale hanno deciso di riaprire, anche in base ai decreti più recenti della presidenza del consiglio del governo italiano.
Nella hp del sito dell’Ateneo si legge questo (il grassetto è sul sito):
«Da lunedì 18 gennaio possono accedere alle strutture UPO anche gli studenti e le studentesse residenti in zona arancione o rossa per frequentare le lezioni o per sostenere gli esami, per svolgere attività curricolare e/o di servizio, nel rispetto dei protocolli di sicurezza vigenti. Le stesse disposizioni valgono per il personale docente e PTA/CEL, assegnista, dottorando e titolare di borsa».
Sotto si trova il pdf con il comunicato del Rettore, che riporto anche qui:
– Comunicato dell’Università del Piemonte Orientale (UPO) – 16.1.2021
agbiuso
Su corpi e politica uno studente universitario -Alejandro Nanni- ha scritto a proposito dell’atteggiamento di studenti e professori di fronte al vuoto didattico e relazionale nel quale siamo immersi.
Nanni difende il suo “diritto di fruire di un tipo di didattica che davvero mi lasci qualcosa e non che mi tenga attaccato a uno schermo per 8 ore al giorno”.
Qui l’articolo: Università, una paura studiata
sotto il quale si trova questa mia risposta:
“Quanto riferisce Alejandro Nanni mi amareggia ma non mi stupisce.
Dal dialogo che ho costantemente intrattenuto in questi mesi con gli studenti, da quello che ho fatto e visto, emergono le stesse impressioni, azioni, motivazioni. Si tratta di una pericolosa dinamica di rinforzo negativo: l’istituzione scoraggia gli studenti dal frequentare gli spazi degli Atenei e poi giustifica la chiusura ulteriore di tali spazi con il fatto che pochi studenti li frequentano. Da parte loro, molti studenti giustificano la propria assenza con il fatto che i professori preferiscono svolgere lezione da casa. Il risultato è che un luogo grande, splendido e vivacissimo come il Monastero che a Catania è sede del Dipartimento di Scienze Umanistiche rimane spettralmente vuoto.
E però…durante la settimana di lauree a distanza ho visto studenti che subito dopo la ‘proclamazione’ via monitor, sono venuti abbigliati di tutto punto insieme ai loro parenti e amici per scattare delle foto all’ingresso del Dipartimento, come ultimo, struggente e disperato segno di una presenza negata ma ancora evidentemente desiderata”.
Tina Messineo
…vorrebbe costituire una Guida per i docenti universitari ..
Ineccepibile !
Questo vostro lavoro, oltre che frutto della vostra esperienza degli ultimi sei mesi di insegnamento, voi scrivete, è stato possibile grazie anche alle sollecitazioni di altri colleghi che condividono gli stessi intenti, al confronto con gli studenti, ai pareri di colleghi e ‘amici’ giuristi…
Altro che “distanziamento sociale”!!
Per potere esercitare le proprie capacità, in ogni campo, è necessaria e indispensabile la condivisione intellettuale e fisica.
Quando si formò l’Università a Bologna, nel Medioevo, le famiglie vendevano tutti i loro averi per mandare i figli, dalla Sicilia, a studiare e i giovani vivevano insieme ai loro maestri, lontani dalle famiglie..e si formavano giuristi che affiancavano imperatori e papi!
Vi auguro la libertà didattica e civile sancita in questa vostra Guida, anche in tempi complessi come quelli che ci troviamo a vivere, con la speranza che gli universitari possano tornare ad essere fortunati come nel Medioevo!
agbiuso
Grazie per il tuo commento, cara Tina, che guarda il presente anche da una prospettiva storica, e questo è sempre fecondo. Auguriamoci tutti, noi che abbiamo la fortuna di essere l’Università -studenti, amministrativi, docenti, genitori di studenti-, di rimanere sempre critici nei confronti dell’accadere e dei decisori politici che lo gestiscono, poiché senza libertà non esiste cultura.
C. Patané
Caro Prof. Biuso, condivido sulla mia pagina facebook questi “10 punti”, nella speranza di dare anch’io un contributo alla lotta contro il “monstrum”. Come ho già avuto occasione di manifestarle in un’altra occasione, ciò che ho visto e sentito in questi mesi mi ha profondamente turbata. Viviamo in una società nella quale da mesi genitori non abbracciano i propri figli, rei di incontrare amici e amori, perché così ritengono di essere i nuovi crociati della salute pubblica. Mentre, in silenzio, si distrugge la salute mentale di una società intera.
agbiuso
Cara Dott.ssa Patané, quanto lei riferisce con chiarezza e semplicità -“da mesi genitori non abbracciano i propri figli, rei di incontrare amici e amori”- è drammatico ed è un evidente segnale, sì, dell’evaporare della salute collettiva, della dissipatio del legame che costituisce le comunità umane, a qualunque livello.
L’altro è diventato il rischio fatto carne, il nemico anche involontario del quale diffidare, l’altro è il male potenziale e quindi è il male.
Ringrazio lei e tutti coloro che vorranno far conoscere le nostre riflessioni. Formularle è stato un dovere prima che un diritto.