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Psicopatologie razziali

Psicopatologie razziali

Il numero 355 (maggio/giugno 2020) della rivista Diorama Letterario ospita un articolo di Alain de Benoist dal titolo Il nuovo regime dell’apartheid.
È un’analisi acuta e critica, che mostra con chiarezza il vero e proprio coacervo di contraddizioni che la questione del genere e della razza suscita, sino a esiti francamente psicopatologici.
Quella descritta in queste pagine sembra infatti una commedia dell’assurdo e invece è ben vera e ben dentro la cultura contemporanea. Ed è anche una straordinaria eterogenesi dei fini, che tramite il politicamente corretto sta restituendo piena legittimità al concetto di razza proprio per opera di chi crede di combattere contro il razzismo.

Un brano:
«Lʼetnicizzazione dei rapporti sociali costituisce uno dei sintomi maggiori di una società in via di atomizzazione e di dissoluzione generalizzata, in cui gli uni e gli altri tentano di ricollegarsi ad identificazioni culturali che sono a loro volta in via di esaurimento.
Per una volta ben ispirato, il saggista Jean-Loup Amselle scrive: “Esistono al contempo una razzializzazione, intrapresa dai discriminanti, di coloro che discriminano, e una razzializzazione reciproca, speculare, che è essa stessa opera dei discriminati o di coloro che parlano a loro nome. La Francia sembra ormai entrata in un processo di separazione etnica e razziale che serve da sostituto della coscienza di classe di un tempo”.
In questo mondo in cui sia lʼassimilazione che la laicità sono già morte de facto, lʼautosegregazione geografica, e quindi la suddivisione etnica, è in realtà già allʼopera.
Nelle sue Note sulla questione degli immigrati, del 1985, Guy Debord scriveva: “Gli immigrati hanno il più bel diritto per vivere in Francia. Sono i rappresentanti dellʼespropriazione; e lʼespropriazione è a casa sua in Francia, a tal punto vi è maggioritaria e quasi universale. Gli immigrati hanno perso la loro cultura e il loro paese, molto notoriamente, senza poter trovarne altri. E i francesi sono nello stesso caso, soltanto un poʼ più segretamente. […] In questo orribile nuovo mondo dellʼalienazione, non c’è più nessun altro se non immigrati”».

 

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