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Grundlos

Grundlos

Martin Heidegger
Il principio di ragione
(Der Satz vom Grund , Günther Neske, 1957)
A cura di Franco Volpi
Traduzione di Giovanni Gurisatti e Franco Volpi
Adelphi, 1991
Pagine 275

«L’ente si mostra soltanto nella luce dell’essere» (p. 115) e questo significa che ogni discorso sugli enti, sugli eventi, sui processi, ogni domanda sulle cose, ogni analisi della vita quotidiana è sempre anche ontologia. Non potremmo pensare, parlare, dire senza pensare e dire sempre la struttura che fonda il mondo e gli enti, il mondo come relazione tra gli enti. Di converso, ogni ontologia è tale perché il discorso dell’essere si manifesta e non può che manifestarsi sul fondamento della molteplicità e del suo gioco, sul fondamento dunque degli enti.
Enti, fondamento, principio, sono alcune delle parole con le quali crescere per cogliere nel tessuto dell’ovvio e del confuso l’ordine, il senso e la luce che all’ovvio danno significato ed esistenza. Der Satz vom Grund è la formula che a partire da Wolff indica il principium rationis, il fatto che nihil est sine ratione, che  nulla è senza una ragione, senza un fondamento, qualcosa che lo fondi, gli dia esistenza e lo giustifichi. Alla lettera però, nel suo significato primo e più proprio, der Satz vom Grund  significa l’essenza del fondamento. Non la causa che dà origine alle cose ma il principio da cui esse si dipartono e dove risiedono, «l’ambito che sta in profondità e che al tempo stesso è portante» (164).
Il nucleo non consiste dunque nel fatto che niente è senza fondamento -che tutto dunque debba avere una causa- ma che niente è senza fondamento, che dunque il fondamento è l’essere. Heidegger fa transitare il principio wolffiano e leibniziano dalla causalità fisico-metafisica all’ontologia; da una modalità misurabile e quantitativa alla coappartenza universale di essere e fondamento. Der Satz vom Grund non vuol dire che l’ente ha un fondamento ma significa che l’essere in quanto essere è ciò che fonda ogni particolare e l’universale. «La tesi del fondamento dice: all’essere appartiene un qualcosa come il fondamento. L’essere è dello stesso genere del fondamento, ha il carattere del fondamento» (90-91). Il cuore dell’ontologia heideggeriana è questo: l’ente è tale in quanto è in qualche modo fondato, l’essere invece proprio perché non è un ente non ha alcuna fondazione ma è il fondare stesso.
Sta anche qui la differenza ontologica, risiede nel fatto che gli enti -qualunque sia la loro natura, forma, consistenza- sono fondati, mentre l’essere è grundlos, privo di fondamento. Il fondamento dell’essere è indisponibile, nel significato più ampio, pregnante e plurimo di questa parola. Indisponibile perché l’essere non può avere un fondamento che lo fondi e dunque l’essere è un abisso dal quale il fondamento ab-bleit, rimane-via. Indisponibile perché «l’essere ‘è’ il fondo abissale, l’Ab-Grund. In quanto l’essere come tale è in sé fondante, rimane esso stesso privo di fondamento. L’ ‘essere’ non rientra nel dominio della tesi del fondamento, bensì solo l’ente» (94).
E «questo è quanto dice il detto di Eraclito annoverato come detto 123: φύσις κρύπτεσθαι φιλεῖ. ‘Allo svelarsi appartiene un velarsi’. L’essere, in quanto destinarsi che si dirada, è, al tempo stesso, sottrazione. Al destino dell’essere appartiene la sottrazione» (123). Sottrazione=indisponibilità a  qualunque volontà, consapevole o meno, di una parte che si ponga come fondante il tutto e l’intero.
E però l’essere è pensabile e dicibile come complessità della struttura temporale del mondo, il suo costituire non l’istante matematico, l’ora assoluto che si dissolve nel momento stesso in cui accade ed è detto, ma il suo essere intessuto di ciò che sta per avvenire provenendo da quanto è già accaduto.
È anche questo il significato e il senso di αἰών. Aἰών è l’ordine temporale e materico dell’intero -l’ordine strutturale e funzionale della natura-, è razionalità che comprende tale ordine, è linguaggio che fluendo lo dice.
Aἰών è dunque κόσμος, φύσις, λόγος. In ogni testo di Eraclito traluce questa dinamica. Nel detto 52 lo fa in modo tanto enigmatico quanto conseguente: αἰὼν παῖς ἐστι παίζων, πεσσεύων· παιδὸς ἡ βασιληίη. Il principio che fonda e governa l’intero è un fanciullo che gioca senza posa. E senza perché. «Gioca perché gioca. Il ‘poiché’ sprofonda nel gioco. Il gioco è senza ‘perché’. Il gioco gioca, giocando. Esso rimane soltanto gioco: il più alto e il più profondo» (192).
Indisponibile anche alle cause, indisponibile al dominio del principio di causalità, indisponibile al risultato, indisponibile all’utile. Gioca perché gioca. Diviene perché diviene. «Ma questo ‘soltanto’ è tutto, l’Uno, l’Unico. Niente è senza fondamento, Essere e fondamento: lo Stesso. L’essere, in quanto fondante, non ha fondamento: esso gioca come il fondo abissale, l’abisso senza fondo di quel gioco che, in quanto destino, ci lancia (zuspielt) l’essere e il fondamento» (192-193).
L’essenza del fondamento, der Satz vom Grund, è questo sfolgorare della gratuità, è tale infinita dinamica. Il fondamento dell’essere è il divenire. L’essere è divenire come gioco di identità e differenza. Se quod omnis veritatis reddi ratio potest, se di ogni verità possiamo e dobbiamo rendere ragione, istituire e spiegare il fondamento, la ragione dell’essere non sta in altro ma abita nella sua struttura più fonda, costante ed eterna: il suo stesso divenire.
L’essere si dà come αἰών, χρόνος e καιρός, come filigrana del tempo in ogni molecola della materia.

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