Teatro Elfo Puccini – Milano
Antigone
di Sofocle
Traduzione e adattamento di Maddalena Giovannelli in collaborazione con Alice Patrioli e Nicola Fogazzi
Con Carla Manzon, Aram Kian, Stefano Orlandi, Francesca Porrini, David Remondini, Arianna Scommegna, Sandra Zoccolan
Regia di Gigi Dall’Aglio
Produzione ATIR Teatro Ringhiera
La storia del teatro è piena di testi belli e profondi, capaci di trasmettere messaggi educativi, sostenuti da visioni morali tese a rendere un po’ meno feroci gli umani e a migliorare quindi le loro esistenze.
I testi del teatro greco non rientrano in tale tipologia. La dimensione morale non sta mai al loro cuore, per la semplice ragione che i Greci non avevano un’etica ma ogni loro espressione è indice di una metafisica della Necessità che esclude in partenza qualsivoglia discorso moralistico. Edipo non ha alcuna colpa morale, per la ragione che non sapeva di essere il figlio di Laio e di Giocasta, e dunque non sa di aver ucciso suo padre e sposato sua madre. E tuttavia viene in ogni caso punito perché ciò che conta non è l’intenzione dell’atto ma l’atto in sé. E l’atto è sempre frutto di Ἀνάγκη, destino della necessità. Dai testi di Sofocle, come da quelli di Eschilo e di Euripide, non è quindi possibile trarre alcuna consolazione psicologica, alcuna edificazione politico-morale.
E invece, essendo quei testi davvero potenti, chi vuole dare messaggi politici e morali li utilizza come se fosse quello il loro scopo, trasformandoli -ad esempio- in antesignani di Brecht. E ho fatto di proposito il nome di un drammaturgo che amo. Ma Sofocle non è Brecht. I Greci non trasmettono messaggi e non vogliono migliorare nessuno. Il loro teatro, come ogni altra espressione di quella cultura, intende onorare la potenza degli dèi e ricordare agli umani la loro miseria.
Tutti, infatti, nella tragedia greca sono, dal punto di vista moderno, colpevoli e tutti sono ugualmente innocenti. Perché Antigone, come tutto il resto, è prima di queste categorie. Antigone è una tragedia ontologica. Lo dice con chiarezza ogni sua riga, compresa la celebre fenomenologia dell’umano per la quale «πολλὰ τὰ δεινὰ κοὐδὲν ἀνθρώπου δεινότερον πέλει» (v. 332), molti enti il mondo possiede che generano stupore e sgomento ma nulla più dell’umano è sgomento e stupore. L’umano è δεινότερον non nel solo significato del ‘più inquietante’ ma anche nel senso che è il più distante dall’eterno e il più straniero alla gioia. Siamo i mortali, questa è la nostra casa, nella quale abitiamo sin dall’inizio come enti intrisi di finitudine e di inoltrepassabile limite.
Questo magnifico canto prosegue così: «L’umano solca il mare che prima delle tempeste si colora di bianco / crea sentieri tra le onde incombenti. / Persino la Terra, suprema e inviolabile dea / lui la gira e rigira con i suoi cavalli, / instancabile anno dopo anno»…e così via in una potenza cosmica della quale nella messa in scena a cui ho assistito non rimane più nulla, in un teatro ‘di denuncia’ dal quale i Greci sono semplicemente spariti. Né vale a conservare la dimensione epica del teatro antico l’utilizzo di strumentazioni musicali, cori scanditi come litanie e il baluginare un po’ ridicolo di luci e di ombre mentre i cittadini di Tebe invocano Dioniso, τὸν ταμίαν Ἴακχον, Iacco, il dio che regala (v. 1154).
Il dono dei Greci è stato anche lo sguardo senza speranza ma colmo di senso che essi rivolgono al mondo. Ricondurli nell’alveo dei buoni sentimenti significa cancellarli. I Greci non sono buoni, sono sapienti.
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4 commenti
Pasquale
Pagano è il dir di sì a ciò che è naturale, il senso d’innocenza in ciò che è naturale, la “naturalezza”. Cristiano è il dir di no a ciò che è naturale, il senso di indegnità in ciò che è naturale, l’essere contro natura.
— Friedrich Nietzsche, Frammenti postumi 1887-1888, 10[193]
Caro Alberto,
è raro, difficile trovare altrove che presso di te, tanto affetto e precisione d’intelletto nel dire dei Greci; che tu sei; tant’è che devi spiegare.
Avrei potuto allungare il brodo ma preferisco fermarmi qui. Dei teatrani in cerca di messaggi e spieghe tra le pieghe taccio. Come NIetzsche, Amen e arrivederci.
agbiuso
Grazie, Pasquale, per un riconoscimento così bello.
La luce del Mediterraneo pervade l’Isola e qualcosa di quella antica sapienza spero ci sia rimasta.
Tina Messineo
I Greci non sono buoni, sono sapienti.
La sapienza genera saggi, i saggi usano il giusto mezzo, il giusto mezzo si riverbera nella giustizia, la giustizia degli umani è un aspetto dalla Necessità di cui la Vita è intrisa, ma sempre giustizia è sia che si riferisca al soggetto sia che tenga conto esclusivamente dell’azione.
Platone fa dire a Socrate che il male è meglio riceverlo che infliggerlo.
Non è un saggio/buono?
Perché Pericle istituisce un obolo per far sì che tutti partecipino alle rappresentazioni teatrali?
Da quello che io ho capito leggendo qualche tragedia greca, i messaggi volutamente velati ci sono, politici, o di altro tipo…non sono in grado di capire ancora?
agbiuso
Certo, cara Tina, la tragedia -come l’intera vita e cultura dei Greci- ha degli aspetti di carattere etico, poiché vivere e comportarsi richiedono sempre delle scelte. Il punto non è questo ma consiste nel carattere generale della loro cultura e quindi anche delle loro opere: questo carattere è ontologico e sacrale e soltanto di conseguenza diventa etico. Un carattere dato dalla loro adesione ad Ἀνάγκη, alla Necessità.
Soltanto con la fine della civiltà greca sono diventati prevalenti in Europa gli aspetti soggettivistici, sentimentali e morali dell’esistenza umana. E questo ha accresciuto il dolore delle nostre vite e la violenza nelle relazioni, ha accresciuto soprattutto il vuoto e l’insensatezza, che inducono individui e popoli a gettarsi nelle braccia di preti (di tutti i monoteismi), dittatori, demagoghi, passioni e psicopatici pur di colmare questo vuoto.
Tale è la mia -e per fortuna non soltanto mia- visione dei Greci, che ho assorbito in particolare da Nietzsche.
Ti ringrazio della tua osservazione, che mi ha dato modo di chiarire questo aspetto.