In occasione dei cinquant’anni dall’uscita di 2001. A Space Odyssey, martedì 11 dicembre 2018 l’Università Ca’ Foscari di Venezia ha organizzato un Convegno dal titolo 2001: l’Odissea di Kubrick e la Mente Cinematografica. Vi terrò una relazione su Kubrick gnostico: il cinema come materialuce. La sede del Convegno è l’Auditorium Santa Margherita di Venezia.
Pubblico qui l’abstract della mia relazione
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Plato is Philosophy and Philosophy is Plato. L’affermazione di Emerson potrebbe essere volta in questa forma: Kubrick is Cinema and Cinema is Kubrick. La perfezione tecnica, la forza delle immagini, l’unitarietà del percorso che da Day of the Fight (1951) conduce a Eyes Wide Shut (1999), la continua innovazione e un classicismo fuori dal tempo, sono alcune delle ragioni che giustificano l’identificazione tra Stanley Kubrick e l’arte cinematografica. Il senso dei suoi film è evidente e nello stesso tempo inaccessibile, come l’esistenza. Esso nasce da una antropologia negativa perché fin troppo illuminata, dentro la quale si mostra la radice gnostica del pensiero di Kubrick. Gnosi è anche la possibilità di attraversare il buio, l’incomprensibile, l’enigma -come fa David nella sezione Jupiter and Beyond the Infinite di 2001– senza soccombere ma anzi diventando luce e dalla luce rinascendo. In tutta l’opera di Kubrick il familiare diventa mostruoso, la Heimat –la dimora, la terra, l’Overlook Hotel- si trasforma nello Unheimlich, nell’inquietante dentro la cui ombra ci si può smarrire. Ma l’occhio della mente cinematografica e filosofica può guardare la Gorgone e non morire: gli occhi chiusi/spalancati su questo mondo oscuro si aprono ad altre visioni poiché –afferma Kubrick- «il vero scopo di un film è fare luce».
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