Dino Battaglia
Lovercraft e altre storie
Edizioni NPE, 2017
Pagine 104
Gli umani sono attratti dall’orrore, sono attratti da se stessi. Spaventati anche. Una paura che nasce non da ciò che sanno ma da ciò che sono. I più però lo ignorano e attribuiscono il male a delle ragioni esterne e specifiche invece di coglierlo nell’azione che compiono. E soprattutto nell’essere dal quale scaturisce l’azione.
Nascono così le storie, le leggende, i racconti, che tentano di dare conto di questo enigma così palese, come se esso provenisse da altri mondi -la fantascienza-; dagli eventi -le narrazioni storiche-; dalle religioni e dai miti. E invece è da noi che nasce, noi siamo il Golem, la polvere diventata potente e incapace di limite. Ogni tanto un barlume di consapevolezza ci travolge e, guardandoci allo specchio del sapere e della psiche, comprendiamo di essere insieme il dottor Jekyll e il signor Hyde. Nella rappresentazione che Dino Battaglia fa del racconto di Stevenson, il protagonista afferma di aver «condotto per anni studi sulla duplicità della natura umana desiderando con tutte le mie forze dividere il bene ed il male in due entità separate» (p. 68) ma si accorge poi di quanto inestricabili siano tali nature nell’umano e nel mondo.
Battaglia penetra il coacervo di tenebra densa e di flebile luce facendone emergere soprattutto la solitudine, una solitudine non soltanto psicologica ma anche e specialmente metafisica, che caratterizza tutti e sei i racconti di questo libro, per quanto assai diversi tra loro: dall’orrore di Lovercraft al tradizionale patto con il diavolo, dalla danza macabra a diaboliche ironie, da Hyde al Golem, appunto.
Tutto è cupo, grigio, ed è insieme forte e vero. Battaglia lo pervade con la sua arte, perché è il tratto a essere inquietante, non la storia.
5 commenti
Selenia
‘Cosa é buono? Tutto ciò che nell’uomo accresce il senso di potenza, la volontà di potenza, la potenza stessa’.
Credo che le parole di Nietzsche riassumano bene il senso di questi racconti di solitudine, di orrore, di potenza, appunto. Il bisogno e il desiderio umano di trascendere e manipolare il proprio destino, al di là di ogni confine morale.
Bellissime parole, le sue.
Selenia.
agbiuso
Diventando ciò che sei, ti fai da te stesso destino. Questa sintesi è forse greca ed è forse nietzscheana.
Schopenhauer lo disse ricordando che operari sequitur esse.
Ma ciò che chiamiamo destino è un intrico di natura, di eventi e del caso. Tutto è segnato, tutto è scritto nella pietra del tempo, nell’ Ἀνάγκη, la divinità suprema.
Sta in questa costellazione, forse, la radice di ogni orrore. Perché intuiamo che qualcosa ci sfugge e ci sfuggirà sempre. Ma questo sfuggirci è la vita stessa. Filosofia è anche e soprattutto il tentativo di vedere dentro questa fuga. Di sapere.
Il suo coniugare potenza e orrore credo che sgorghi da qui, da un esercizio di filosofia. E dunque grazie, Selenia, per le sue parole.
Pasquale
Mi rallegra, amico caro, ma non poteva essere altrimenti, che tu colga quanto sia il tratto a essere inquietante, non la storia.. Con ciò hai detto tutto. Per il resto, ahi ahi ahi, è pur vero tutto il resto. Grazie PSQ.
agbiuso
Grazie a te, caro Pasquale.
La storia e la trama possono generare, certo, Furcht, paura, ma soltanto il tratto e la forma possono attingere ed esprimere l’Angst, l’angoscia. Heidegger aiuta a comprendere anche i racconti per immagini di Dino Battaglia.
Pasquale
Avrai letto Manoscritto trovato a Saragozza.
Di persona personalmente mi rammarico solo che la grande letteratura “del mistero e dell’orrore” sia finita. Quello che fu scritto, lo lessi tutto. Kafka incluso appunto. Arrivai persino a leggere il Necronomicon dell’arabo pazzo Al Azhared. Quirino Principe grande esperto di demoni mi snebbiò rivelandomi che era un falso appunto di Lovecraft. Peccato avevo passato ore alla Nazionale, a trovare frammenti di verità nell’apocrifo inventato. È lì che mi sono specializzato in falsi.