«Caro Alberto,
come stai?
Ho appena fatto una cosa che voglio raccontarti.
Ho svuotato il mio vecchio astuccio del liceo, dell’università.
Quello nero della sheepworld, con la cerniera rotta più o meno dal 1.500.
Quello che era venuto con me a Freiburg pensando che lo attendessero ancora molti anni di servizio.
E invece è rimasto lì in tutti questi anni (4!), abbandonato sullo scaffale, a guardare dall’alto quando uscivo per andare in ufficio con solo una penna nel portafogli, come l’adulto che non sono.
È rimasto lì quando andavo ad incontrare un cliente portandomi solo il tablet; e quando andavo agli stage di arti marziali con una matita dietro l’orecchio e un blocchetto per appunti, che poi non rileggo mai.
È rimasto lì come una macchina del tempo.
Oggi, nella noia dell’home office, l’ho aperto e ho ritrovato il mio liceo.
Le cartucce della stilografica dentro una scatoletta dell’uovo kinder. Il righello delle principesse Disney tutto scheggiato, che ormai per sottolineare diritto dovevi usare il lato corto e spostarlo a destra 300 volte. Le gomme colorate a forma di zebra, lucide di grafite. Innumerevoli mozziconi di matita in ogni tonalità del viola. Uno specchietto erbolario. Il burrocacao. La molletta da bucato che serviva per tenere aperti i libri. E una per il ciuffo che se no mi cadeva sempre sugli occhi a guardare su (la lavagna) e poi giù (il quaderno) e poi di nuovo su e giù tutto il tempo. Il taglierino che non tagliava più già dalla quarta ginnasio. E persino (persino!) un bigliettino ormai illeggibile con le declinazioni greche, plastificato con lo scotch, ché non si sa mai.
Davvero nella vita non si sa mai.
Giulia»
Così, la scatola del tempo, la mia amica Giulia ha intitolato questa sua mail.
Il tempo dunque può essere toccato, si fa oggetto.
Il tempo può essere ascoltato, una melodia.
Il tempo può essere gustato, la madeleine.
Il tempo può essere annusato, un profumo intriso di memorie.
Il tempo può essere visto, Elsa Martinelli e Ludwig Wittgenstein in giorni diversi delle loro vite.
Le aporie temporali indicate da Paul Ricoeur sono risolte nella densità della materia e dei corpi, nel divenire della Lebenswelt, nel mondo della vita vera, non quella dei fisici o dei matematici. La vita che è tempo.
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3 commenti
Pasquale
Che bello per le consonanti essere intonate. Psq.
Pasquale
Bella scatola del tempo quella di Giulia, conservatrice compulsiva cui non va il mio biasimo ma tutta la mia simpatia di custode del tempio delle bricciche. Tempio e tempo differiscono per una I, diversi ma affini si direbbe.
E commovente il tuo commento caro Alberto, autentico, straziante. Noi siamo nella misura in cui esiste non una madelaine, che è magari pretendere troppo, ma un frammento, un lacerto che sia persino divenuto niente, un ricordo cioé.
Sulla mia scrivania che dico mia per necessità grammaticale, stante che appartenne a mio padre ed ora a Tempo, stanno orsi di pelo dei figli, tazzine di latta di un servito di mia moglie bambina, e un pezzettino di basalto caduto dal muro esterno della casa di José Saramago a Tías. Caduto; forse un piccolo dio desiderava che arrivasse nella dimora che abito.
Tutto ciò a significare che Tempo è persino materia che non siamo ma dove ci siamo. È una domanda.
Abrazos Psq
agbiuso
Gli oggetti prima di noi, gli oggetti dopo di noi, ancora essenti, mentre noi ci saremo dissolti nello spazio e nel tempo.
Sì, questo è straziante, caro Pasquale, questo è il Dasein.
La tua formula è corretta, profonda: “Tempo è persino materia che non siamo ma dove ci siamo”. A confermare l’unità del tutto, il Tempio.