Teatro Coppola / Teatro dei cittadini – Catania – 23 aprile 2017
HIM
con Marco Cavalcoli
drammaturgia di Chiara Lagani
regia di Luigi De Angelis
produzione Fanny & Alexander
Davanti a uno schermo spento sta un attore inginocchiato e dalle fattezze identiche all’Adolf Hitler di Maurizio Cattelan. Sta in attesa che dietro di lui appaiano le immagini de Il mago di Oz di Victor Fleming. Il film inizia, del tutto privo di sonoro.
È him, è lui, è Hitler a dare voce ai personaggi del mondo incantato, inquietante e onirico del mago di Oz. È him, è lui, è Hitler a riprodurre i suoni della natura, del vento, degli altri animali. È him, è lui, è Hitler ad agitare braccia e mani, guidando come un direttore d’orchestra ciò che è già scritto. Lo stesso accade a tutti gli umani che pensano di dirigere il susseguirsi degli eventi, la cui concatenazione è invece inesorabile pur se ignota: «Dobbiamo considerare gli avvenimenti con gli stessi occhi coi quali consideriamo lo stampato che leggiamo, ben sapendo che c’era prima che lo leggessimo» (Arthur Schopenhauer, La libertà del volere umano, trad. di E. Pocar, Laterza 1988, p. 107).
Il film scorre sino alla fine. Null’altro accade in scena.
Al di là della prestazione virtuosistica di Marco Cavalcoli -che doppia l’intero film in inglese in un sincrono perfetto pur senza avere davanti a sé le immagini- Him ha il significato di un vorticoso détournement debordiano, che sposta le immagini di Fleming dai terrori dell’infanzia ai terrori della storia. Ma questa operazione drammaturgico-politica ha senso soltanto perché him è Adolf Hitler.
Il Führer è andato ormai da molto tempo al di là dei limitati, per quanto intensi, dodici anni del suo cancellierato e della guerra. Diventato icona universale del male e della storia, Hitler ha vinto non attraverso quei pochi esaltati neonazisti che ne imitano i gesti in modo stanco e grottesco ma ha vinto nell’ossessione pervasiva della sua figura che si ripresenta in libri (come Er Ist Wieder Da), in film, nel ripetersi di accuse e analogie -questo e quel dittatore definiti ‘il nuovo Hitler’-, in performances come quelle della compagnia Fanny & Alexander, che ha prodotto e pensato lo spettacolo.
Abbiamo assistito alla vittoria del Führer dentro un teatro libertario. Abbiamo assistito ancora una volta al trionfo di Adolf Hitler diventato un archetipo, divenuto quindi immortale. Il détournement è più tragico di quanto Debord potesse immaginare. Forse sarebbe ora di dimenticare il fascismo, il nazionalsocialismo, lo stalinismo. Passare oltre. Forse sarebbe ora di dimenticare Hitler.
2 commenti
Tina Messineo
Prof, “per capire il presente dobbiamo conoscere la storia”.
Forse si conosce la storia solo attraverso il racconto dei manuali?
Non capisco perché dobbiamo dimenticare Hitler.
agbiuso
“Dimenticare” qui non vuol dire non conoscere la storia del Novecento (che a lezione invito ogni giorno a studiare!) ma significa non trasformare la figura di Adolf Hitler in un archetipo, come tale immortale e indistruttibile.
Questo infatti sarebbe ed è la vittoria culturale del Führer del nazionalsocialismo.
In generale, per poter dimenticare bisogna prima conoscere.
Grazie della domanda, così ho chiarito 🙂