Numerosi sono i motivi che ho di esser grato alla vita e al tempo. Uno dei più profondi è l’esser siciliano, è la fortuna di essere nato in questa terra davvero «impareggiabile», in questa luce calda e lontana, in quest’Isola della distanza e della gloria. Il sorriso siciliano è stato dipinto da Antonello in uno dei capolavori assoluti dell’arte, quel Ritratto d’uomo capace di parlare con lo sguardo e dire: «Lo so, la vita senso alcuno non ha, ma io la godo come la più sensuale delle amanti».
La Sicilia è davvero «la chiave di tutto», come scrisse Goethe a Palermo il 13 aprile del 1787. L’Isola plurale appare uguale a se stessa nel tempo e nello spazio ma nel tempo e nello spazio sempre diversa. All’immobilità antica, al silenzio ancestrale, all’arsura del latifondo intorno a Caltanissetta ed Enna, si affiancano le montagne innevate dei Nebrodi e delle Madonie; al nero lavico dell’Etna si uniscono i colori smaglianti dei mari che la circondano; ai templi occidentali si coniuga la dolcezza degli Iblei.
Dal culto greco verso gli dèi e Dioniso Pantocratore, i siciliani sono passati a quello verso il Cristo redentore, transitando per la civiltà islamica. Nel silenzio degli spazi e delle persone, nella bellezza sfrontata dei luoghi naturali e storici, sembra davvero che la contraddizione sia il segno della storia e del carattere siciliani. Perché la Sicilia è un enigma magnifico e doloroso, che rimane più forte di ogni bruttura che la deturpa, di ogni volontà malvagia che la uccide. Ne è prova anche lo sguardo stupito e felice di chi la coglie arrivando da altre terre o di chi in essa è nato e nonostante tutto continua ad amarla, a tornarvi se lontano, a nutrirla come pensiero profondo della mente.
Da dove questa terra trae tanta forza? Forse dalla luce ambigua della quale parla Bufalino, intessuta dello «splendore folgorante del sole» ma pure della «sua funebre ombra». Anche con questa sua inquieta luminosità l’Isola rimane fedele alla sua radice greca, fedele al fasto apollineo dei templi, dei teatri, delle πόλεις, fedele al culto dionisiaco della morte trasfigurante e trasfigurata in mito, pianto, odio. Ancora nella processione del Venerdì Santo del 1930 a Caltanissetta, Antonio Baldini ascoltava attonito «un lamento che rompe acuto da un fondo immemoriale di dolore e di spasimo», nel quale percepiva «il mitico compianto per la morte di Adone, l’approssimarsi dei terrori notturni, l’informe sgomento del poi, l’immotivato sconforto degli adolescenti, il sussulto incontenibile delle isteriche, il vuoto dei monti sopraffatto dalla notte, la solitudine dei mari, la tristezza delle campagne, la somma di vita che se ne va senza più ritorno».
Il paesaggio siciliano e gli umani che lo abitano sono quasi sempre estremi, pericolosi, belli e desolati. Sono soprattutto pervasi di solitudine. L’esser soli è la vera natura di questa terra, la sua autentica diversità da ogni altra. A un siciliano è perciò facile capire che «ognuno sta solo sul cuor della terra / trafitto da un raggio di sole» (Quasimodo), poiché un siciliano «è e si fa isola da sé, e da sé si gode -ma, appena, se l’ha- la sua poca gioia; da sé, taciturno, senza cercare conforti, si soffre il suo dolore, spesso disperato» (Pirandello).
Dentro la fortuna di essere siciliano ne abita un’altra, più intima: essere nato sull’Etna. Il profilo della Muntagna ha accompagnato i miei giochi, i primi amori, il crescere, il camminare. Guardare il paesaggio ha significato da sùbito guardare un’entità non antropomorfica la cui potenza è invincibile. Il vulcano mi ha insegnato che cosa siamo: materia effimera dentro il grande Fuoco. Ha ragione Domenico Andronico: «Ogni siciliano ama la sua terra e l’ama con una passione tutta meridionale; e quando egli dalla sorte è costretto ad emigrare, porta indelebile nel suo cuore una sagoma caratteristica, il profilo d’una montagna sormontata da un superbo pennacchio di fumo, che non s’incontrerà giammai altrove. Somiglia un poco all’immagine della madre. S’incontrano altre donne, buone, affettuose, dotate di pregevoli qualità, ma sì, quelle non saranno mai la madre».
L’Etna è colore, movimento, pericolo, festa. E se la festa in Sicilia è vissuta con un’intensità totale è anche perché «è soltanto nella festa che il siciliano esce dalla sua condizione di uomo solo» (Sciascia). A un siciliano non sarà troppo difficile trasformare in festa l’intera esistenza, sia che la trascorra in «questa terra grande e infelice» (Bufalino), sia che porti altrove il proprio disincanto e la saggezza. Fare della vita un tripudio di colori, di suoni, di gaiezza e di forza diventa, infatti, la condizione per sopportare l’esistenza, per farsene carico e vincerla. La morte arriverà come un sorriso solo un poco amaro.
10 commenti
agbiuso
La Sicilia, la sua luce cangiante e meravigliosa. A Modica stamattina.
Modica 1
Modica 2
Concettina Patanè
Caro prof., sono tanti i momenti della vita in cui un siciliano “sa” di essere siciliano, ma uno emerge su tutti ed è il “ritorno”. Anche dopo una breve assenza, anche solo di qualche giorno, sai che stai tornando a casa. Una casa non sempre comoda, a volte difficile da abitare, ma è la nostra casa. Un caro saluto.
Nunzia Sanfilippo
“Il vulcano mi ha insegnato che cosa siamo: materia effimera dentro il grande Fuoco”.
Caro professore, è sempre un piacere leggere le sue riflessioni.
agbiuso
Cara Nunzia, è sempre un piacere ricevere riconoscimenti dai miei studenti 🙂
agbiuso
«…generosi, dissipati, estrosi, cupi, sciovinisti, alteri, tutti insieme avviati verso una fine ineluttabile…»
Enzo Russo, in Sicilia. Storia e arte, Arsenale Editrice, 2002, p. 14.
Salvatore Fricano
Commuove, e molto, questa sentita partecipazione a quanto di universale possa contenere questa terra siciliana, e che ancor più facilmente un siciliano può sottoscrivere. Senza esagerare la dimensione di un puntino nel punto dell’universo in cui siamo immersi, le parole e i riferimenti che tu fai, caro Alberto, toccano l’essenziale di questa terra.
Mi piace pensare che hai trafitto il cuore del tempo con la bellezza del tuo personale sentire. E non è poco, per me.
agbiuso
Grazie, mio caro amico, di ogni parola così affettuosa che mi rivolgi, della condivisione di questo nostro essere siciliani, della dimensione cosmica nella quale giustamente inserisci la nostra identità, di una magnifica frase come quella che hai voluto donarmi nella chiusa: ‘trafiggere il cuore del tempo con la bellezza di un personale sentire’ non è poco, no. È quasi tutto. Ti abbraccio.
Pasquale
Devo alla Sicilia ed ai siciliani, la memoria, l’eredità dunque di non pochi tra i più densi, intensi, fattivi, educativi, costruttivi momenti della mia vita. Leggere dunque questa tua dichiarazione d’amore per la tua terra, oh Alberto, mi ha commosso, come adesso, fino alle lacrime che devo mimetizzare sotto una pietraia di pelle e parole. Da profugo però, o transfuga, da apolide, ho la Sicilia incisa sul braccio sinistro, ma il segno non si vede ché è un tra me e me. E te. Ricordo un tale a Palermo, a maggio, in maggio a Palermo è bene suicidarsi un poco per il troppo di tutto. Sera, una moschea antica trasformata in ritrovo chic per palermitani che dello chic sono teorici, chic siciliano si intenda, chic fastoso, moro e biondo, da Alhambra normanna; stiamo bevendo del vino bianco, il tale, la mia produttrice – eravamo lì per lavorare- ed io sperduto come un bambino a un luna park sulla luna; ecco che il tale, con candore perverso, declama, Pasquale è tutto bello, è dipinto col pennello, è dipinto coll’inchiostro, Pasquale è tutto nostro. Arrossii non di vergogna ma di piacere; corteggiamenti di uomini, non desiderati, non cercati, fastidiosi, lusinghieri, ne ho sempre avuti, rifiutati per il pallore lombardo o piemontese o per la canaglieria toscana degli stessi, o, quand’ero molto giovane e pare bellino, per il dichiararsi uomo di potere dell’interlocutore. Ma quel distico elegiaco, del tutto improvvisato e vero, mi colpì quanto anni più tardi il dono di un gran mazzo di rose da parte di una hostess di sconfinata bellezza ad un festival estivo; cose che è bene cadano nel nulla per conservarsi eterne come statuette di terracotta in un museo di antichità greche. Non umiliai l’autore con un rifiuto offensivo, ma lasciai capire che pur apprezzando il poemetto non ero di eguali sentimenti. L’omosessualità ha senso se è intatta e intangibile, altrimenti è una parodia. Potrei scrivere della Sicilia, dei Siciliani soprattutto, perché la Sicilia è i suoi indigeni, laddove l’Engadina esiste a dispetto dei suoi abitanti. Non so quanti potrebbero comprendere le notti passate a bere vino denso come miele greco a Lipari, a mangiare pizza coi capperi più buoni che il mondo abbia creato, a vivere, a girare per Catania fino all’alba, e non voler dormire per non sprecare nemmeno un sorso di bellezza, di Sante Rosalie e di cucina studiata per la seduzione; a stare con gli amici che in Sicilia ti adottano come i Romani adottavano qualcuno, solo perché ti riconoscevano simile, un amico. Amici, Maria Drago, Carmen Faìlla, Peppino Macanugo e altri ancora, che ricordo con le lacrime agli occhi, persone strepitose con le quali si stava semplicemente insieme, su e giù per l’Etna al termine di giornate di lavoro schiribillanti, solo perché stare insieme per stare insieme- vivere per vivere – era notre jouissance. Persone che non ho più rivisto né sentito dopo tanti anni passati ad andare dalla Sicilia a quella tomba dell’essere che è Milano, eppure si muove. La Sicilia è l’eterno, e le morte stagioni, e una presente e viva con un suon che non si sa. La citata Carmen mi disse una notte in faccia al mare di Acireale, Non cercare di ritrovare l’identità di tuoi antenati fittizi, non sei siciliano, perché non sei pazzo, non sei siciliano perché ha il vantaggio incommensurabile di non appartenere a nessuno e a niente. A distanza di credo trent’anni Carmen fu Sibilla.
Della Sicilia il fin è maraviglia/se non ti sai stupir/ vanne alla striglia.
agbiuso
Questa tua dichiarazione d’amore alla Sicilia e ai siciliani, Pasquale, è una nostra vittoria, è una conferma, è la luce dell’enigma che diventa luce di relazione in un artista quale tu sei, gelo che brucia nella memoria europea e mediterranea di cui ti nutri.
Davide
“Perché la Sicilia è un enigma magnifico e doloroso, che rimane più forte di ogni bruttura che la deturpa, di ogni volontà malvagia che la uccide”.