Si sta vedendo e si vedrà sempre più chi è davvero Matteo Renzi. Un avventuriero senza scrupoli che prima ha distrutto il Partito Democratico e poi ha trascinato nella stagnazione e nello scontro l’intero Corpo sociale.
Il maggior partito della sinistra, indegno erede del Partito Comunista Italiano, ha subìto una metamorfosi che lo conduce a governare con un partito che si chiama Nuovo Centrodestra e ora vorrebbe proseguire insieme al partito Forza Italia del pluricondannato Berlusconi Silvio. Il suicidio storico-politico della sinistra in Italia è un fenomeno strabiliante e di grande interesse scientifico-sociale. Suicidio al quale hanno dato e continuano a dare il loro contributo le risibili, vagolanti, donabbondie ‘minoranze interne’ e le formazioni che si dichiarano ‘a sinistra’ del PD ma non hanno osato attaccarlo frontalmente in questa sua sistematica distruzione della sinistra, anche perché molti dei loro esponenti -soprattutto la presidente della Camera Boldrini- sono stati eletti nelle liste di quel partito.
Dall’avventura renziana l’Italia esce stremata, disoccupata, più malata, più ignorante. L’attacco ai diritti, alla salute, al lavoro, allo studio, è stato totale, fantasioso (sull’Università si sono inventati di tutto, persino i superbaroni)- feroce. Per fortuna le principali vittime di questo attacco -le generazioni più giovani- se ne sono accorte, hanno avuto un soprassalto di consapevolezza e sono andate a votare in larghissima parte NO alla distruzione della Carta costituzionale.
Un Paese in macerie, dove le pietre più evidenti non sono la dissoluzione del Partito Democratico e l’impoverimento drammatico del Corpo sociale ma la buffoneria di una politica fatta di lavagnette, di mirabolanti e impossibili promesse, di slogan tanto ripetuti quanto banali, di semplice spettacolarizzazione della politica. Fatta insomma di berlusconismo puro, distillato. A governare in questi due anni è stato infatti il Geist futurista-mussoliniano, del quale i governi Berlusconi e il governo Renzi hanno costituito l’ennesimo avatar, la maschera sempre ripetuta della cialtroneria italiana.
Ma ciò che più addolora è altro. È vedere una parte del Corpo sociale affascinato, intrigato, inebetito dalla pantomima renziana.
Non parlo tanto dei militanti -vecchi e giovani- che in quanto militanti non si accorgono che il Partito Democratico di Renzi conduce politiche ferocemente antisociali, oligarchiche, prone ai dettati della finanza ultraliberista. E che dunque è un partito chiaramente di destra, della peggiore destra.
Mi riferisco in parte al sistema televisivo/mediatico che -con assoluta coerenza, va detto- dopo essere stato ai piedi di Berlusconi si è prostrato al ghigno di Renzi. La democrazia contemporanea è fatta anche e soprattutto di libera informazione. Dove questa manca rimane l’apparenza dei parlamenti sottomessi allo strapotere dell’esecutivo.
Mi riferisco soprattutto agli studiosi, ai professori universitari, agli scrittori, agli artisti, agli editorialisti, agli storici, agli scienziati, ai filosofi. Mi riferisco a tutti coloro che il mio amico Pasquale D’Ascola ha definito poveri rigoletti, pronti a giullarare il padrone di turno. Ne conosco di persona, li ho visti all’opera in questi mesi di patologia sociale. Le ragioni del servaggio sono tante, alcune anche comprensibili. Ma mai comprensibili sono quando la servitù sta in bocca a chi ha soldi sufficienti per rimanere libero. Perché è anche il denaro che fa la libertà. Coloro che possiedono gli strumenti per comprendere l’accadere e però si comportano come il più ingenuo militante o il più cinico carrierista politico, costoro sono i peggiori. «Tutti i peccati saranno perdonati ma il peccato contro lo Spirito, questo non avrà perdono» (Mc, 3, 28-29).
Ma non sono bastati. Non sono bastati la potenza mediatica, il ricatto ideologico, le risorse pubbliche impiegate per ragioni di parte. Non sono bastati la sopraffina tecnica dell’imbonitore, del vannamarchi, delle trecarte nei cunicoli delle stazioni, del truffatore professionista. Il quale tenta ora l’azzardo supremo di rimanere al potere mentre dichiara solennemente di volersene andare. L’ennesimo colpo di dadi che gli riuscirà se il suo compare Berlusconi penserà di poterne trarre vantaggio. Alla correttezza dei ‘supremi poteri dello Stato’ non credo proprio. Basti ricordare le modalità e gli effetti di tale supremazia quando ha avuto il nome di Giorgio Napolitano .
Vedremo. Intanto mi sembra un razionale miracolo che, in tutto questo, milioni di italiani abbiano percepito l’inganno tramato ai loro danni, dei loro figli, del futuro, e abbiano detto no agli avventurieri che giocano con le vite, con il lavoro, con l’istruzione, con la salute, con le libertà e i diritti delle persone.
35 commenti
agbiuso
La becera sinistra degli “utili idioti”
di Vincenzo Costa
(Professore ordinario di Filosofia teoretica – Università Vita e Salute / San Raffaele – Milano)
Le critiche al governo Meloni sono giustificate, necessarie. Persino ovvie. Ma poiché le fate per fare tornare al governo il PD siete solo dei reazionari, gente che dalla storia non ha imparato niente, degli scarti.
Non siete contro la destra becera: siete solo la sinistra becera, quella che gli italiani hanno letteralmente vomitato.
Ogni critica al governo Meloni che non inizi con “mai più il PD al governo” è reazionaria, mira a riconsegnare il paese a chi lo ha svenduto.
E se personaggi come Fiano, Boccia, e tutti coloro che hanno votato in modo infame tutti i provvedimenti di smantellamento dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori, della sanità oggi si richiamano al “socialismo” bisogna solo dire: Fiano, con la tua bava non insudiciare il termine socialismo.
La Schlein prima di gridare per la difesa dei diritti sociali inizi a fare pulizia nella sua lurida casa, dove albergano i vermi che hanno distrutto sanità pubblica, diritto allo studio, scuola pubblica, stato sociale. È’ stato il PD a votare l’abolizione dei diritti dei lavoratori, non la destra becera. Se lo ricordi miss Elly tre passaporti Schlein. Facile ora chiedere misure socialiste e diritti sociali: perché non lo avete fatto quando eravate al governo? Ipocriti.
La destra, che è quella massa di cialtroni che è, è diventata la foglia di fico per nascondere il disegno reazionario, elitario. Volete solo tornare a quel mondo stupendo che fu l’epoca piddina. Per questo non vale la pena discutere.
Non siete compagni, siete i soliti utili idioti, quelli che permettono all”oppressione di proseguire.
Per costruire qualcosa di nuovo bisogna lasciarsi alle spalle questi “compagni” inutili, questa sinistra becera.
agbiuso
Da Non è necessario però aiuta
Davide Miccione, Avanti!, 26.2.2023
“Ecco perché, in generale, e più sfacciatamente in quei ministeri (Cultura, Istruzione, Ricerca universitaria) dove sarebbe ovvio succedesse, non vedrete mai intellettuali. Dunque non solo non abbiamo come ministro dell’istruzione un Croce o un Gentile, ma non dobbiamo neppure averli perché un individuo che conosce le questioni, ci abbia riflettuto e abbia costruito una propria visione cozzerebbe con il ruolo che ormai il ministro deve avere. Averli sarebbe penoso per loro e per il governo stesso. Un Croce ministro verrebbe sconfessato all’istante dal proprio governo o si dimetterebbe lui stesso. Le sue decisioni si infrangerebbero con i mille protocolli, accordi, agende, indirizzi delle organizzazioni internazionali, che prima di lui sono stati sottoscritti. Non avere idee, non avere cultura e visione del mondo, forse non sarà necessario, ma di certo aiuta nell’esercizio attuale della politica. Un uomo di cultura verrebbe costantemente intralciato dalle proprie idee pregresse sui temi e dalla propria attitudine a ragionare invece che a eseguire. Persino nel caso in cui se ne trovi uno del tutto prono agli interessi esterni non sarebbe mai adatto quanto può esserlo qualcuno che non sappia nulla. Ecco perché, ad esempio, in questi anni l’università e la scuola sono state riformate da oscuri tecnocrati o da esordienti assoluti e perché anche l’attuale governo dopo una manfrina sulla contro-egemonia culturale si sia ben guardato dal chiamare un intellettuale e abbia preferito dare un segnale di continuità ben chiaro mettendo all’Istruzione un ex-sottosegretario del ministro Gelmini e collaboratore del ministro Bussetti”
agbiuso
Il Partito Democratico, la sciagura.
agbiuso
Per il collega Vincenzo Costa, che -ricordo- insegna Filosofia teoretica all’Università Vita Salute-San Raffale, “il PD è un equivoco, storico e culturale”.
Costa spiega qui brevemente ma con chiarezza le motivazioni di un tale giudizio:
La fine della funzione storica del PD e le nuove esigenze politiche.
3.9.2022
agbiuso
PD – Partito Destra
PD – Partito Disastro
agbiuso
Il Partito Democratico prima di Letta, poi di Renzi e poi di nuovo di Letta (o di chiunque altro) costituisce la vera destra del panorama politico italiano. Un pericolo per la sopravvivenza stessa dell’Italia, ridotta da questo partito (e da Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia) a pura e semplice colonia degli Stati Uniti d’America. La sua opzione guerrafondaia porterà alla miseria i cittadini.
agbiuso
Un articolo esatto e piacevolissimo di Daniela Ranieri sul Fatto Quotidiano del 7.12.2017.
Spero che la sottosegretaria Maria Elena Boschi non si dimetta sino alle elezioni, visto l’importante contributo che sta offrendo alla sconfitta del Partito Democratico.
agbiuso
Esemplare analisi del manifesto sull’autodissoluzione del Partito Democratico e su Renzi “incapace di abbozzare una attendibile lettura della realtà”.
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Renzi consegna il sistema al duello centrodestra-M5S
di Michele Prospero
il manifesto, 9.11.2017
Oltre che uno statista solo immaginario, Renzi è anche un giocoliere superficiale nel disegno strategico. Il dato di sistema, che il voto siciliano prospetta, rivela infatti che si tratta di un politico dell’azzardo, incapace di abbozzare una attendibile lettura della realtà. Ha imposto la nuova legge elettorale con voti di fiducia, con forzature regolamentari. Senza sensibilità istituzionale, ha indotto i custodi della Costituzione a scelte controverse, confidando di trarre un vantaggio dalla legge elettorale, quale unico argine ai populismi.
E invece, con le sue ruvide tecniche elettorali, consegna il sistema politico proprio alla sacra del populismo che culmina nel duello tra destre coalizzate e M5S.
Entrambi i protagonisti del prossimo scontro di primavera possono ringraziare l’autorottamatore del Pd.
IL SUO DISEGNO era di annichilire il M5S assunto come punto debole del tripolarismo asimmetrico, per via della riluttanza a stipulare alleanze. E invece la prova di forza irresponsabile, che ha umiliato il parlamento costringendolo al voto di fiducia in entrambi i suoi rami, ha restituito vigore etico-politico ai grillini, che si presentano agli elettori come una forza della lealtà costituzionale minacciata dall’abuso di potere di chi intende sotto-rappresentarli con illeciti trattamenti di immunizzazione.
COME FORMAZIONE un tempo antisistema che gridava “tutti a casa” il M5S appariva in difficoltà perché l’apprendistato dei suoi amministratori scadeva nel grottesco e il non-partito, ormai inserito negli ingranaggi del potere normale, aveva smarrito la carica eversiva originaria (non riesce per questo in Sicilia e a Ostia a incidere nello scivolamento verso l’astensionismo di massa). Grazie alla insana volontà di potenza che spinge il Pd a fare violenza alle istituzioni, il M5S può invece rivendicare una estraneità rispetto ai giochi pericolosi di un potere che cerca con mezzi manipolativi di emarginarlo in quando formazione scomoda.
IL PRINCIPALE beneficiario della trovata dello sprovveduto statista di Rignano è però il raggruppamento della destra. Da Renzi ha ottenuto in dono l’arma più preziosa in un sistema altamente frammentato: la possibilità di ricorrere alla coalizione fasulla che non richiede la condivisione reale di un programma e consente di stipulare alleanze del tutto insincere per raccogliere i voti nei collegi e poi scappare. Percependo l’odore della frittata, che spalanca i palazzi del potere a Salvini e Meloni, il ministro Franceschini non ha di meglio che suggerire al defunto centrosinistra che copiare la destra per mettersi tutti insieme solo per una finzione scenica e poi continuare a scontrarsi senza inibizioni.
INCAPACE di liberarsi di un leader del “si perde” sempre, il Pd si dedica a giochini senza senso. Fallita la strategia dello sfondamento al centro, in una caccia grossa ai moderati orfani del cavaliere, il Pd precipita in una terza posizione nella raccolta dei voti che lo rende scarsamente competitivo. Non solo non potrà accennare al ricatto del voto utile, ma anche l’ipotesi di giocare in aula, dopo il voto, un ruolo centrale per la definizione di una grande coalizione con il cavaliere si rivela del tutto irrealistica. La destra, con la nuova tecnica di voto, può aspirare alla conquista di una maggioranza autosufficiente.
DINANZI AL BARATRO della sicura sconfitta, il Pd è un non-partito disarmato che non ha l’autonomia e la forza per strappare a Renzi l’unica arma che intende brandire: in virtù delle liste bloccate, egli intende avvalersi del potere di nomina dei candidati per conservare un esiguo seguito personale con il quale dedicarsi alle manovre parlamentari. E’ una logica estrema di personalizzazione-privatizzazione del potere che sfugge a considerazioni politiche, e non lascia altra alternativa al Pd che quella della distruzione-annichilimento come unica soluzione al fattore Renzi.
A SINISTRA del Pd deve proseguire con coerenza il difficile lavoro per ricostruire una soggettività nuova che restituisca visibilità a uno spazio ideale e sociale che pare tramontato. Le condizioni per l’impresa non sono favorevoli, i rischi di fallimento non vanno nascosti. E però non ci sono alternative alla lotta autonoma per ritrovare lo spazio ideale e sociale di una sinistra che tra le macerie lavora per una risposta non regressiva alla crisi della democrazia repubblicana. La lista unitaria deve rivendicare la coerenza di una proposta radicale che non accetta la confusionaria e dannosa offerta di mettersi tutti insieme per ingannare i cittadini e poi riprendere la rissa. La sinistra scegliendo la strada dell’autonomia deve puntare a ricostruire una cultura, un’organizzazione, un radicamento sociale per rispondere come forza pronta alla crisi irreversibile del Pd.
agbiuso
Le dimissioni di un uomo solo allo sbando
di Norma Rangeri
il manifesto, 7.11.2017
Non lo farà, non farà un passo di lato così come non accetterà i buoni consigli che alcuni commentatori gli inviano a mezzo stampa (fai autocritica, buttati a sinistra), perché, molto semplicemente, certi suggerimenti vanno a sbattere contro il progetto e la cultura politica di Renzi.
Certo sarebbe arrivata l’ora di riconoscere che la disfatta siciliana è solo l’ultima di una lunga serie di sconfitte, sia a livello politico generale (il referendum costituzionale), sia in importanti amministrazioni locali, con grandi città (Roma, Torino, Genova) consegnate al governo dei pentastellati o del centrodestra. Ora si aggiunge la ciliegina sulla cassata siciliana.
Come onestamente ammette il vicesegretario Lorenzo Guerini, si tratta di «una sconfitta inequivocabile».
Renzi dovrebbe, altrettanto onestamente, prenderne atto riconoscendo di aver dato il massimo contributo a un esito così nefasto per il Pd. E, serenamente, riprendere il progetto di ritirarsi a vita privata.
Se non fosse che il giovane leader, ha perseguito e affermato una linea politica neocentrista e, coerentemente, lavorato alla rottamazione della sinistra interna, volendo portare a termine una profonda metamorfosi del Pd.
Ha costruito un partito sulla sua persona, contro sindacati e forze intermedie. Solo che così, come all’indomani delle primarie del 2013 scrivevamo «di un uomo solo al comando», oggi, 5 anni dopo, è ormai ora di cambiare definizione perché con tutta evidenza siamo di fronte a un uomo solo allo sbando.
L’ex presidente del consiglio non è tipo da farsi da parte, anche perché il partito che così ostinatamente si è cucito su misura è una creatura che, nonostante tutti i falsi movimenti verso Pisapia e altri raggruppamenti, rivendica le politiche neocentriste e principalmente sull’economia e il lavoro. Esattamente quelle che meglio esprimono la nuova natura del suo Pd.
Più che consigli verso tattici spostamenti a sinistra, sarebbe giusto riconoscergli una sua forte coerenza sulla via maestra di una coalizione, dopo le elezioni politiche, con il redivivo Berlusconi. Tanto più che il vecchio leader di Arcore suda cento camicie nel completare l’operazione di lifting politico, da padre del populismo italiano a figura degasperiana europeista. Trovando il conforto delle grandi firme.
E’ per questo motivo, di fondo e generale, che l’emorragia di consensi, prolungata e profonda, anziché amare riflessioni sul suicidio del Pd, al contrario, si manifesta con reazioni scomposte. Come la sgangherata e vana ricerca di qualche improbabile capro espiatorio. E’ il caso dell’attacco al presidente del senato Grasso per non aver accettato la candidatura in Sicilia. Recriminazione sciocca non fosse altro per il fatto che è rivolta a chi stava meditando di lasciare il Pd, come Grasso ha fatto all’indomani dell’approvazione della legge elettorale.
Se il partito di Renzi si ritrova senza candidati qualche domanda sul perché non sarebbe inutile. Succede in Sicilia e capita anche con il preoccupate risultato di Ostia, il popoloso municipio di Roma, dove è stato ripescato un piddino senza chance in un territorio commissariato per mafia da due anni, con il presidente del Pd finito agli arresti.
E come non bastasse, ecco che nel ballottaggio tra pentastellati e destra (con l’exploit di Casa Pound), l’indicazione di voto del Pd è l’astensione, la fuga, l’abbandono del campo di battaglia.
Se Sparta piange, Atene non ride.
La lista di Claudio Fava lotta per raggiungere il quorum del 5%, probabilmente riuscirà ad agguantare un rappresentante nell’assemblea siciliana. Un risultato dignitoso ma deludente, specialmente se giudicato nel contesto di un’astensione che nessuno, nemmeno i grillini, riescono a scalfire. Né in Sicilia, né al confine metropolitano di Ostia dove è aumentata del 20%.
Ma è proprio lì, nella disillusione verso questa sinistra che riconsegna il paese alla destra, che chiunque voglia costruire un nuovo soggetto politico dovrà misurarsi.
agbiuso
42 anni fa veniva massacrato un uomo libero, Pier Paolo Pasolini.
Massacrato dallo Stato piduista che oggi trionfa con Berlusconi e i suoi amici del Partito Democratico.
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«Pier Paolo Pasolini era spiato dall’ufficio stragi del Sid: riaprite le indagini sull’omicidio»
Lettere inedite con Giovanni Ventura. E un dossier segreto dei servizi deviati. Prima di essere ucciso, 42 anni fa, lo scrittore era controllato dalla stessa centrale dei depistaggi di Piazza Fontana. Un libro ora chiede una nuova inchiesta sul delitto di Ostia. A firmarlo è il presidente dei familiari delle vittime di Bologna
DI PAOLO BIONDANI
Fonte: l’Espresso, 2.11.1017
agbiuso
Segnalo l’eccellente analisi di Michele Prospero a proposito del Partito Democratico “come un non-partito del capo che gestisce candidature, tesse legami con potenze economico-finanziarie”.
Pd, un non-partito proiettato alla deriva
il manifesto, 15.10.2017
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A dieci anni dalla nascita, il Pd si conferma non tanto un amalgama mal riuscito quanto un esperimento fallito.
È rimasto in giro un ibrido pericoloso per gli effetti sprigionati dai suoi detriti impazziti.
A confrontare la foto dei fondatori con quella degli attuali capi, viene la stessa impressione suscitata dalle immagini dei grandi protagonisti dell’Ottobre sovietico il cui volto all’improvviso scomparve dalla iconografia ufficiale del regime.
Il cattolicesimo sociale più radicale e con venature di rosso (Rosy Bindi) è fuggita da tempo dall’abbraccio con il cerchio gigliato di Rignano. I cattolici adulti (Prodi, Parisi, Monaco) hanno già allontanato la tenda dall’accampamento di un partito sfigurato. I cattolici dell’ala tecnico-moderata (Letta) sono inorriditi dalle arti magiche vendute all’ingrosso dal populismo di governo.
Tra i cattolici conservatori restano in scuderia gli andreottiani Guerini e Fioroni, l’ultra moderato Lotti, la fanfaniana Boschi che, rimuovendo organiche inclinazioni bancarie con un impeto di egualitarismo, propone di pagare allo stesso modo i calciatori maschi e femmine, il manipolatore delle regole democratiche del voto (Rosato). E si barcamena tra le macerie l’eterno viandante Franceschini che idee non coltiva ma si pone agli ordini di qualsiasi leader, pur di conservare margini di potere.
A resistere, tra quanti vengono dalla sinistra, sono soltanto i piemontesi che giocano a carte con Marchionne e controllano gli enti locali e le fondazioni bancarie (Fassino, Chiamparino), il vecchio capo delle cooperative un tempo rosse e ora affiliate alla confindustria, la signora Finocchiaro, cui è stato affidato il compito ingrato di chiedere la fiducia per una legge elettorale denominata persino da Repubblica come «un colpo di mano», il ministro degli «sbirri» (come lui dice) che soccorre i migranti con i campi di reclusione in Libia.
E poi ricama in teatro le sue sceneggiature Veltroni che però appartiene ormai al mondo del cinema e quindi, se parla di politica, cammina tra i sentieri immateriali del verosimile filmico.
Senza l’antica componente comunista (Reichlin ordinò la fuga votando no al plebiscito di dicembre), con la distanza abissale dalla Cgil, con lo strappo di Bersani, D’Alema, Rossi, Bassolino, Errani che provano a riorganizzare una sinistra autonoma, il Pd si configura come un non-partito del capo che gestisce candidature, tesse legami con potenze economico-finanziarie.
Resiste in quel ginepraio il mite Cuperlo che, all’affannosa ricerca di una mediazione culturale alta, mostra una volontà d’acciaio nel forzare se stesso a credere che una possibilità di influenza ancora rimane a disposizione nell’inferno del Nazareno.
E anche Orlando prima o poi si riconcilierà con il principio di realtà rinunciando a inseguire i mulini a vento di una mitica ricollocazione del Pd in una area culturale di sinistra. Da una casa del tutto inospitale, proseguirà un nuovo esodo.
Con Renzi vengono condotti ad esiti estremi i germi che però insidiavano dall’inizio il corpo del nuovo soggetto. Già Veltroni aveva celebrato il ruolo egemonico dell’impresa, condannato ogni idea di conflitto sociale per i diritti del lavoro.
Esibendo il computer con la mela, Renzi porta ai limiti inusitati questo sradicamento sociale del partito tramutandolo in veicolo di poteri finanziari. La precarietà viene eretta a sistema di vita con il Jobs Act. E con le decontribuzioni, gli sgravi, i sostegni alle banche le risorse assai scarse del pubblico sono indirizzate verso le agenzie del profitto privato.
Fu Veltroni a teorizzare un liquido partito del leader, che vive con un non-congresso e coltiva la sbiadita identità del «ma anche». Il non-partito dei gazebo lo nominò comandante e, con lo scettro appena ricevuto, invece di puntellare il gracile esecutivo dell’Unione concordò con Berlusconi una nuova legge elettorale, poi sventata, e con pratiche irrituali indusse Prodi all’abbandono del governo.
Renzi va oltre. Dal partito del leader che convive con una oligarchia trapassa al partito personale che rottama come macchine inanimate i gruppi dirigenti, le strutture organizzative, recide le radici sociali e i profili ideali.
Abbandonato dal mondo del lavoro, rigettato dalla scuola, graffiato dalla diserzione delle regioni rosse, dal disagio giovanile, dallo spaesamento del popolo di sinistra, il Pd è attraversato da un malessere che ne paralizza il presente e ne distrugge il futuro.
Non solo dopo Renzi il Pd non è recuperabile, ma le sue scelte in materia sociale, istituzionale costituiscono una insidia per la repubblica. Nella storia repubblicana la sinistra politica e sociale è stato l’argine alla deriva della democrazia.
L’artefice di un plebiscito per l’acclamazione del capo non accetta la lezione di dicembre e reitera l’attacco al cuore del parlamentarismo ordinando il voto di fiducia per imporre una legge elettorale concordata con Salvini per penalizzare il M5S e la sinistra. Dopo dieci anni, il Pd ha poco da festeggiare. E la democrazia ha molto da stare in guardia dalle mosse avventate partorite dal Nazareno.
Certe forzature costituzionali sembrano purtroppo evocare un imminente ritorno della destra.
agbiuso
Perché?
agbiuso
CasaP(oun)D. Rapporti con l’estrema destra nel ventre del partito renziano
di Wu Ming e Nicoletta Bourbaki *
→ Un’inchiesta collettiva ← Raccolta di informazioni e link condivisa su Twitter, e il risultato messo in fila su Storify. Tutte le fonti sono dichiarate. Come il tentativo di costruire il Partito della Nazione sfondò ogni argine a destra e ancora più a destra.
«Nel corpo sempre più virtuale del partito – che non ha più una teoria né una minimamente coerente visione del mondo oltre la mera difesa della propria funzione e dello stato delle cose – regnano la più assoluta spregiudicatezza, il peggior eclettismo e la schizofrenia. Se aggiungiamo che la scalata di Renzi ha attirato avventurieri da ogni dove, il risultato è che da dentro il PD giungono addirittura esternazioni chiaramente fasciste.»
Pasquale
Caro Alberto c’è il mio consueto sarcasmo di mezzo. Ma se ci pensi ho la storia dalla mia: a parte il patto Molotov, a tutti noto, sai che fu proprio per intenzione di Hitler che la parola socialista fu accasata con nazionale. Crasi che altri hanno riprodotto se non nel lessico nelle intenzioni, su su fino ai khmer rossi e a Gheddafi e compagnia cantando, tutti i socialismi rivendicano o hanno rivendicato identità, gli specchi da barba non bastano a nessuno, nazionali e religiose assimilandole a istanze sociali. Pensa al cristianesimo evangelico. È l’occidente razionale, perlomeno da Kant ma tu puoi contraddrimi meglio di me stesso, che ha separato, giustamente, sciolto i nodi, svelato gli inganni. Per crearne altri. Ma anche lì, forse solo i laburisti britici della nazione sentono poco il richiamo. Se mai della regina. Peraltro degli Stati Uniti ci siamo già detti che cosa sono, anche lì: identità, dio patria e bandiera in melting pot liberale. Il contrario del sociale ma nazionale. Un califfato al rovescio, ma della stessa merdaglia. Forse volo, preso dall’entusiasmo che cattura l’iconoclasta in dirigibile, per cui atterro e ti racconto questa storiella.
Tanto e tanto tempo fa ero forte simpatizzante dei radicali, tanto che, se non ricordo male, per qualche po’ ebbi la tessera del partito. Come radicale e come intellettuale inorganico, così mi piaceva dirmi, per sfrontatezza, con agli organici, ero molto mal visto, sul lavoro per esempio; guardato con sospetto, tollerato diciamo così in ambiente sindacale, insomma tant’è. Un mio collega, peraltro cara persona, con sua moglie, erano scatenati comunisti berlingueriani che parlavano di Enrico come del loro autista, ignari del fatto che era Enrico – aveva tanti difetti ma la virtù di conte che lo avvicinava al contadino, trattando entrambi di contado – che avrebbe potuto trattarli come si tratta una coppia di amabili domestici; lui no ma lei era l’erede di una famosa fabrichètta di gioielli, non ancora mandata in rovina. Una certa sera alla vigilia delle elezioni che portarono il PCI a un passo dal sorpasso èramo, io e la mia morosa di allora S***, in casa di non so chi a cena e il discorso cadde sulle elezioni. Casa borghese, ricca non aristocratica purtroppo, figurati, sai quel condominio scuro, isolato, nei giardinètti milanesi di Pagano al semaforo tra via Burchiello e via Cremona, ci abitava Lella Costa per dire, altra camerata. Ebbene nessun dubbio sul voto, nemmeno per me e la S***, che dichiarammo fallimentare il votare radicale sul piano pratico, ma ma ma del resto, al PCI il voto no. Se non ricordo male, si parla di 40 anni fa, io mi azzardai a dire che il voto al PC era un come il voto democristiano. Scese un sipario di ferro. La moglie del collega, rattrappì gli occhi in una miosi assassina e così guardandoci in campo lungo, Io non so proprio capire come si possa non votare piccì., chiosò. Ehm di imbarazzo. Io replicai, E io non capisco che lo si voti. Ghiacci, Alaske, Antartidi, sorbetti di umorismo industrial-lombardo. Con una scusa circa l’ora tarda non ci rimase che andarcene, bestemmiando tutti e due, io e la morosa, ai compagni fascisti del Pci. Fine della storia.
E una storiella ma di storielle così ne ho a iosa, meno divertenti forse. Tu hai letto come uscì mio padre dal Pc nel dopoguerra e per i motivi che rileviamo. Nella sostanza infatti è per dirti che non mi stupisce affatto una eventuale liaison con FN. Trovo anzi che restituirebbe al PD il carattere che ha perduto nel risciacquo in Arno e avrebbe, ci scommetto, un successo enorme perché popolare. Al contrario del duetto con Bellusco che va verso il crisopatriziato ma scontenta il popolo che, un po’, dei rodomonti adesso dev’essersi stancato. Infatti, ascolta Salvini, se lo senti parlare di cose ovvie, di pericoli che tutti vediamo, non riesce del tutto a farti arrabbiare.A fregarlo ma a farlo andare lontano, sono le conclusioni sconclusionate che piacciono nei bar della provincia lombarda e non solo, agli emigrati benestanti. Se fossero più intelligenti al PD si accorderebbero più con lui che non con Belsucaccio che rappresenta Forte dei Marmi e sì tutta la minutaglia barribanchiera, ma è finita lì. All’ombra dei cipressi e dentro l’urne, non ci sono più socialisti da coniugare con dio patria e nazione. La figa interessa credo ormai poco. Si chiede tranquillità e continuità per fare i propri affari e far lavorare i figli. Il popolo vede le difficoltà, i proprio stracci, chi li ha, e aspetta al solito, la prossima puntata di Messia sconosciuto. Penso. Abbracci P.
Pasquale
E aggiungo Alberto, questa notiziola che arriva da voce autorevole della mafia e che dà voce all’orientamento dell’organizzazione.
Dell’Utri dal carcere tifa larghe intese: “Sarebbe auspicabile un patto nazionale Pd-Fi. Io sono un prigioniero politico”
agbiuso
Grazie, Pasquale.
Dell’Utri è esplicito: “Se non ci fosse Berlusconi? L’unica via è Renzi. Sarebbe auspicabile un patto nazionale intelligente ma non è possibile: il Paese non lo capisce”.
È comunque chiara da tempo la struttura massonica e mafiosa del Partito Democratico.
agbiuso
I pochi che vanno a votare preferiscono l’originale -la destra e Berlusconi- alla copia, il Partito Democratico e Renzi.
Il quale sarà sempre più come Hitler nel bunker. Due gravi sconfitte -il Referendum costituzionale e le elezioni amministrative 2017- ma lui nega la realtà.
Se non si libera di Renzi, il Partito Democratico è finito.
agbiuso
Da Televideo, 23/06/2017 ore 15:28
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Berlusconi e Pd: “Gentiloni non cadrà”
Berlusconi a tutto campo esterna sui leader del Pd in un programma de La 7 con frasi gentili per Gentiloni e Renzi e non pensa che Prodi abdicherà al suo ruolo di”nonno felice” per la politica. “Gentiloni? Non cadrà; è una persona cordiale e gentile da qui il suo nome”. “Renzi da sindaco mi venne a trovare ad Arcore;mi piacque molto; ebbi la netta sensazione di non trovarmi davanti a un comunista. Viene dalla sinistra Dc”. “Renzi è Macron? Non vedo un Macron italiano;lì le elezioni sono presidenziali da noi,no”, conclude il leader di Forza Italia.
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Tutto chiaro, no? Chi vota per il Partito Democratico vota per Berlusconi e chi vota per Berlusconi vota per il Partito Democratico.
agbiuso
Le nomine dei manager di Stato mostrano che soltanto la fantasia anche criminale degli italiani avrebbe potuto inventare qualcuno peggiore di Berlusconi: Renzi.
agbiuso
agbiuso
Il governo presieduto dall’onorevole Paolo Gentiloni Silverj, conte di Bromuro e Passiflora, corre in aiuto di Silvio Berlusconi, amico del Partito Democratico e in ispecie di Matteo Renzi.
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Televideo – 15/12/2016 14:55
Mediaset, M5S: inappropriata tesi governo
14.55 Forti critiche da parte dei deputati pentastellati sulle ‘perplessità’ del governo sulla vicenda Mediaset-Vivendi. “Totalmente inappropriato un intervento dell’esecutivo a tutela Mediaset, esso nulla fece contro l’aggressiva scalata di Vivendi a Telecom Italia, che era veramente strategica per il nostro Paese”, affermano i parlamentari M5S della Commissione Trasporti e telecomunicazioni.
agbiuso
Fedeli alla linea
La nuova ministra dell’Istruzione e dell’Università -Valeria Fedeli- così scrive sul proprio sito:
http://www.valeriafedeli.it/chi-e-valeria-fedeli/
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Sono nata a Treviglio (Bg) il 29 luglio 1949. Sono cresciuta in provincia, in un territorio operoso e attivo. Finite le scuole mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma di laurea in Scienze Sociali, presso UNSAS.
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UNSAS è una Scuola privata per Assistenti Sociali che non rilascia lauree bensì diplomi, i quali sono stati equiparati alle lauree brevi a partire dal 1999-2000; successivamente, quindi, alla data di conseguimento del diploma da parte di Fedeli.
Dunque una ministra non laureata -e questo non è certo un obbligo-, la quale fa intendere di esserlo -e questa è una bugia.
Singolare è poi che sul proprio sito ufficiale compaia la formula che ho evidenziato: «mi sono trasferita a Milano per iscrivermi dove ho conseguito il diploma». Che lingua è questa?
Mi sembra infine che UNSAS non abbia neppure un proprio sito e che la sede milanese alla quale il CV della ministra fa riferimento non esista più (ma posso sbagliarmi).
Nel Partito Democratico sono ridotti così male da non trovare una persona laureata, o almeno non truffaldina, per dirigere il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca?
Forse una risposta sta nel fatto che ministri e ministre recenti sono state in realtà delle figure di rappresentanza e la politica scolastico/universitaria sia stata decisa da burocrati guidati dai sottosegretari, in particolare da Davide Faraone.
Fedeli alle linea, appunto.
Dario Generali
Caro Alberto,
non c’è davvero un limite al peggio e un governo con una massa di ministri privi addirittura di una banalissima laurea sembra una provocazione deliberata. Inoltre qui non ci troviamo certo di fronte a intellettuali di altissimo profilo, con competenze e fama che vanno oltre qualsiasi titolo accademico, ma a mediocri sindacalisti e funzionari di partito, largamente al di sotto delle necessarie soglie di competenza necessarie per rivestire simili ruoli. Se poi pensiamo che uno dei primi ministri della pubblica istruzione dell’Italia unita è stato Francesco De Sanctis, il baratro in cui siamo precipitati non può che apparirci in tutta la sua drammaticità.
Dario
agbiuso
Caro Dario,
sembra davvero non esserci limite. Si è saputo, infatti, che la ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca non possiede neppure il diploma di maturità quinquennale ma soltanto quello triennale relativo alla scuola materna. Lo confermano i suoi ‘collaboratori’:
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“Lo avevamo già spiegato nei giorni scorsi, lei ha fatto una scuola per conseguire il diploma di maestra nelle scuole materne che dura tre anni” e poi l’oramai famosa scuola per assistenti sociali.
Fonte: huffingtonpost.it
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Costei, inoltre, presiedeva il Senato quando ammise, contro il Regolamento, il ‘supercanguro’ relativo alla legge elettorale.
Che un soggetto simile svolga la funzione di ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca mi sembra una indecente provocazione.
A quando un ministro dell’Università completamente analfabeta?
Dario Generali
Caro Alberto,
non credo ci sia molto da dire, ma ci sarebbe al contrario molto da fare, spazzando dalla scena politica del nostro paese questi incredibili cialtroni, per non dire di peggio.
Al referendum sul finanziamento pubblico ai partiti gli elettori si sono espressi con estrema chiarezza. Sul fatto, quindi, che sia un’esigenza largamente diffusa di liberarsi di questa classe politica e dei suoi privilegi non ci sono dubbi. La questione è solo trovare il modo di farlo senza limitarsi semplicemente a sostituire i ladri e i cialtroni attuali con dei nuovi, identici a quelli che da decenni colonizzano il paese.
Un caro saluto.
Dario
agbiuso
Anche il manifesto parla in modo assai chiaro dell’ “avventurismo” di Renzi e del suo Partito Democratico prima e dopo il referendum. Mi fa molto piacere 🙂
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Il renzismo è già finito, la burla ancora no
di Michele Prospero, il manifesto, 9.12.2016
Considerata la effettiva levatura del personaggio, era nelle cose che una immensa tragedia, come la sconfitta senza appello ricevuta in uno storico referendum che avrebbe dovuto incoronarlo, si tramutasse in burla. Che Renzi uscisse di scena, recitando, prima del commiato per lui inevitabile, la parte residua con un repertorio da barzelletta, era prevedibile. Invece di prendere atto dell’accaduto, egli sembra raccontare la trita storiella.
C’era un francese, un grande generale che, trafitto dal plebiscito sulle riforme del senato, abbandonava l’Eliseo e rinunciava per sempre alla politica. C’era poi anche un inglese, un conservatore che, inciampato in un incauto referendum sull’appartenenza all’Europa, rinunciava al numero 10 di Downing Street e al seggio ai Comuni per rifugiarsi nel dimenticatoio.
E poi però compare il furbo. Ha ovviamente il volto di un politicante italiano. Anche lui aveva posto la fiducia su se stesso affidando al popolo l’incarico di dire sì a un facile plebiscito (volete ridurre i costi della politica e abbattere il numero dei parlamentari?). Una valanga di voti lo ha travolto. Ma lui però non è un fesso come gli altri, e si arrocca. Affida a una direzione surreale e senza dibattito l’estremo e infantile tentativo di ripartire con il 40 per cento.
Cerca così di spingere il suo partito a manovre dilatorie o persino a scelte provocatorie (irridere il popolo sovrano senza neppure chiedere: «quando sia poi di sì gran moti il fine / non fabriche di regni, ma ruine?») pur di ottenere un reincarico e formare il nuovo governo.
Una cosa inaudita. Sfidare i 20 milioni di No, dopo aver personalizzato senza ritegno la contesa, è prova trasparente di avventurismo. Come l’eventuale vittoria del Sì avrebbe avuto benefici per lui incalcolabili (investitura plebiscitaria, personalizzazione del potere), così la prevalenza del No scatena dei costi obiettivi da cui è per Renzi impossibile sottrarsi.
Nessun vincolo giuridico è toccato, nulla di formale è in questione. Si parla qui solo il linguaggio politico della inappellabile sovranità popolare.
Prendersi gioco di venti milioni di cittadini, che hanno emesso una sentenza univoca che non consente ulteriori esercizi di ermeneutica, è da irresponsabili. Evocare lo scontro con il popolo sovrano, ignorando il responso delle urne, è un atto di arroganza senza precedenti. Costringere il capo dello Stato al reincarico di un politico che marciava per l’incoronazione della folla e ha invece incrociato la sfiducia del popolo sarebbe un atto dalle conseguenze inimmaginabili.
Tocca al non-partito di Renzi ristabilire il principio di realtà e quindi scongiurare avventure dopo il 4 dicembre.
Come hanno fatto i conservatori inglesi dopo la defenestrazione referendaria di Cameron, il Pd deve prospettare un altro governo, con un nuovo premier. Quello che è caduto in disgrazia è, infatti, solo il leader che ha indicato come posta in gioco del referendum la sua permanenza al potere.
Non si tratta di evocare una semplice questione etica, e quindi impolitica, che esige il rispetto della parola data. È in discussione piuttosto un fondamentale principio politico.
Nessun leader, per restare in sella, può condurre una guerra contro il popolo.
Ne consegue che Renzi deve accettare l’oblio. Non ha alcuna possibilità di permanere al governo e nemmeno, ma questo dipende dal suo non-partito, può conservare la leadership del Nazareno vantando la fedeltà di 13 milioni di baionette. A una ascesa precoce al potere segue per lui una altrettanto celere caduta nelle retrovie.
È una legge della politica che non permette eccezioni. Poiché Renzi non sembra volerne tener conto aderendovi di sua spontanea volontà, adesso spetta alle componenti del Pd meno predisposte allo spirito d’avventura (la minoranza di sinistra, i cattolici più accorti, il presidente Orfini) ricondurlo alla ricognizione dei rapporti di forza che indicano come sia cominciata una nuova stagione politica, con attori, strategie, scenari tutti da reinventare.
Il renzismo è già finito e Renzi, con le sue aspettative di reconquista, non se la passa meglio.
Dario Generali
Caro Alberto,
come ci siamo detti molte volte, una delle cifre per comprendere alcune miserie del nostro paese è la sua storia di servitù a padroni stranieri e alla chiesa controriformistica. In tale prospettiva, nella quale dominava l’utilitarismo e il cinismo spicciolo del “Francia o Spagna, purché se magna” e una morale profondamente ipocrita, le aspirazioni popolari non andavano oltre alla sopravvivenza quotidiana e a un’astuzia servile sempre tesa a ingannare i propri despoti. In tale miseria non si poneva neppure l’esigenza civile di una cittadinanza consapevole e libera, intesa alla rivendicazione di diritti e non all’acquisizione furbesca di risorse e di minimi privilegi. In alcuni momenti della sua storia il popolo italiano ha saputo però emanciparsi da queste logiche servili, dai chierici costantemente al servizio dei padroni di turno, riconquistando identità nazionale e dignità civile. Il nostro attuale paese partecipa di entrambe queste anime e, anche se sembra costantemente prevalere la prima, in alcuni momenti significativi riemerge lo spirito del Risorgimento e della Resistenza, dando ai cittadini quella forza morale e quell’indipendenza di pensiero che li spinge a rigettare con forza inganni e derive autoritarie.
Nei referendum fondamentali (tranne in quello sulla fecondazione assistita, che ha pagato il prezzo di riguardare nel concreto una minoranza di cittadini lasciando prevalere nella maggioranza cinismo e disinteresse) gli italiani hanno sempre risposto in modo adeguato alle loro migliori tradizioni. Divorzio, aborto, finanziamento dei partiti, per due volte energia nucleare e referendum costituzionale.
Questo lascia qualche speranza di un futuro migliore, di un’Italia finalmente libera, trasparente e civile.
Le peggiori responsabilità, come dici giustamente, in questi frangenti le hanno i chierici venduti, indegni di occupare qualsiasi ruolo significativo nella società, perché non si può che condividere la posizione più volte richiamata in questi giorni sul web di Benjamin Franklin, secondo il quale “Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di temporanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza”.
Un caro saluto.
Dario
agbiuso
Grazie per la tua analisi, caro Dario, come sempre lucida e di lungo respiro.
Sì, credo anch’io, che il risultato di questo referendum “lascia qualche speranza di un futuro migliore, di un’Italia finalmente libera, trasparente e civile”. In ogni caso, dobbiamo fare tutto ciò che è nelle nostre forze e possibilità per vivere in un consesso decente, poiché non si può essere liberi da soli. Questa verità, che da Aristotele arriva sino alla sociologia contemporanea, mi guida in questi miei piccoli sforzi di comprensione e di comunicazione, la cui eco tra i miei amici e lettori mi sostiene e mi dà fiducia.
Pasquale
Bah Alberto, non fosse stato per la rallegrata del citarmi, grazie, il tuo intervento è come non di rado radicalmente pessimista. Non ricordo chi l’abbia detto, azzardo Sciascia, Non sono io ad essere pessimista, sono i tempi che sono pessimi..
A commento suggerisco l’ascolto di questa rara prova circostanziale
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/12/08/milano-la-scala-e-il-referendum-in-centro-il-si-ha-vinto-con-il-65-siamo-i-poteri-forti-e-il-voto-dei-ricchi-dato-al-pd/3245569/
E infine aggiungo, già che lo citi, che quell’anima nera, quel collo torto del Napolitaner, verrà sentito in merito alla così detta crisi, dal Matterello che lo sostituisce. Ma perché, santi dèi, perché, perché? Per vedere come mantenere tutti in sella e infischiarsene a modino del risultato elettorale. Perché quello del referendum tale è stato. E invece si parla di far finire la legislatura. Ho un’idea. Magari la espongo in un prossimo post-icipato. Caramente. P.
agbiuso
Mio caro amico, no, non è di tonalità pessimistica ciò che scrivo. Vorrebbe invece costituire l’analisi di una vittoria, di una grande vittoria della Costituzione, della dignità, della libertà di un popolo.
L’ammissione da parte di qualche bauscia della Milano ricca che loro apprezzano Renzi e hanno votato sì per tenersi i propri privilegi, rafforza la soddisfazione.
Che Napolitano sia l’anima nera che ha contribuito a generare l’avventuriero è cosa evidente. È dunque segno di giustizia vedere sconfitto un Partito che si è affidato a un democristiano senza scrupoli, senza fede, senza intelligenza di nulla se non del proprio clan. Lo conferma l’amara testimonianza di Lucrezia Ricchiuti, membro della Direzione PD, che su fb ha commentato la riunione successiva al referendum, nella quale Renzi ha continuato a umiliare il Partito.
Pasquale
Non vorrei deluderti, per me il pessimismo è prova di carattere e larghezza estrema di vedute, dunque di intelligenza. Quindi l’epiteto era un complimento. Mi spiace per le povere vittime del pd. Ma quel che dico è: se stai nel pd e non hai capito che non ci puoi stare vattene. O ribellati e a muso duro, a cavuci e pugnettuna se è il caso del caos. Lo dice uno chi di porte sbattute in faccia e pugni mostrati se ne intende. Poi vincono sempre i Don Rodrigo, che importa, ma intanto gliele hai cantate e se possibile suonate. Lo scempio che stanno compiendo nel dopo raferendum è una vergogna di chi non si vergogna di niente in modo sistematico. L’ho scritto con qualche anticipo.
Cristina
Vedremo. Caro Alberto inutile dire che condivido dal primo punto all’ultima virgola.
Aggiungo .Non solo spero ma CREDO che continuare a ‘pensare alto’ sia ‘CREARE ALTO anzi ALTISSIMO ‘. Mi perdoni il sogno ?
agbiuso
Cara Cristina, nella volgarità ideologico-politica che da vent’anni governa l’Italia, che da Berlusconi a Renzi trasforma la vita sociale in uno spettacolo di infimo livello, cercare di pensare alto -come dici tu- è già un atto rivoluzionario. Questo è un ‘sogno’ non da ‘perdonare’ ma da condividere.
Teresa Sardella
Sintetica, precisa e lucidissima analisi: caro Alberto, i tuoi interventi sono sempre un contributo straordinario …
agbiuso
Grazie Teresa. Sono molto contento se il tentativo di capire, e di condividere ciò che ho compreso, è apprezzato dai miei amici e dalle persone che stimo.