Skip to content


Come europei

Come europei

Le reazioni al referendum britannico che ha sancito l’uscita dall’Unione Europea sono state davvero disvelatrici della struttura ormai radicalmente oligarchica della politica occidentale. Per i ceti dirigenti -vale a dire per i decisori politici- e per chi gode degli enormi vantaggi economici e simbolici della globalizzazione, la democrazia si riduce a «un sistema in cui al popolo è concessa soltanto la libertà, condizionata, di approvare le linee di condotta decise ‘da chi sta in alto’» (M. Tarchi in Diorama Letterario 332, p. 3). Decisori politici che sono privi, tra le tante altre cose, di una delle condizioni necessarie a far politica: imparare dagli eventi. E invece, «terrorizzati come dei conigli investiti dalla luce dei fari, i dirigenti dell’Unione europea si leccano le ferite ma rifiutano di mettersi in discussione: l’unica lezione che trarranno da questo voto è che bisogna decisamente far di tutto per impedire ai popoli di esprimersi» (A. de Benoist, 6). Quello che sta accadendo e che accadrà sempre più è che «dappertutto, i popoli si rivoltano contro un’oligarchia transnazionale che non sopportano più» (Ibidem). L’arma più potente per tenere sotto controllo questa rivolta è naturalmente l’informazione. I commenti e le analisi successive al Brexit sono davvero esemplari di tale intenzione. Tarchi così le riassume:

Le hanno tentate davvero tutte, per frenare il processo di separazione fra Regno Unito e Unione europea. Mesi di assillante campagna psicologica interna e internazionale incentrata sulla visione apocalittica dei disastri che si sarebbero abbattuti su un intero continente in caso di abbandono delle istituzioni di Bruxelles (e poi si ha il coraggio di sostenere che a puntare sul ‘voto di pancia’ e sulla paura del futuro sono soltanto i movimenti populisti…). Discesa in campo del grande fratello d’Oltreoceano, pronto a rincarare la dose. Manovre pilotate dei ‘mercati’ -ovvero, come nessuno ha ormai il coraggio di negare, dei grandi speculatori che fanno indisturbati il bello e il cattivo tempo delle Borse, piegando ai propri voleri le classi politiche dell’intero pianeta. […] Senza timore di cadere nel ridicolo, insigni studiosi hanno perfino proposto, se non di privarli [i cittadini più anziani] totalmente del diritto di voto, quantomeno di decurtargliene una considerevole quota. […] Su queste elucubrazioni, e soprattutto sul loro sottofondo psicologico, ci sarebbe molto da dire. […] Sarebbe però, in questa sede, un esercizio ozioso, dal momento che a neanche tre settimane dal voto britannico un documentato articolo del ‘Guardian’, che scarsa eco ha trovato fuori dai confini nazionali, ha smentito in pieno la leggenda dei vecchi cattivi (pp. 1-2).

L’unica potenza rimasta a dominare il mondo induce a questo tipo di comportamenti. L’altra, sconfitta nella Guerra fredda, rimane per molti europei un enigma, sul quale cerca di fare un po’ di luce il libro di Paolo Borgognone Capire la Russia. Correnti politiche e dinamiche sociali nella Russia e nell’Ucraina postsovietica (Zambon, 2015). Ne riferisce Archimede Callaioli, mostrando come nel decennio di ultraliberismo seguito al 1991 «la Russia esce dalla condizione di diffusa povertà in cui aveva trascorso gli ultimi decenni (e non solo) della sua storia sovietica, per conoscere la vera e autentica miseria, mentre meno dell’1% della sua popolazione può avere accesso al paradiso del consumismo occidentale» (25). Per quanto riguarda le decisive questioni geostrategiche, Callaioli osserva che ci siamo abituati a ritenere «normale che nessun paese ritenga di poter influenzare quello che accade in un altro, tranne uno, e che non ci risulta che la Russia, la Cina, il Venezuela, l’Iran, Cuba, il Vietnam, e tutti gli altri Stati del Medio Oriente, dell’Africa e dell’America Latina abbiano mai tentato di influenzare la politica degli Stati Uniti, mentre il contrario è sempre avvenuto» (Ibidem).
Rispetto a tale pervasivo e gravissimo monopolio interventista degli Stati Uniti d’America, dovremmo come europei essere più rispettosi nei confronti della Russia, una nazione difficile certo da comprendere ma che «non ha mai approfittato delle sue vittorie militari (e ne ha avute parecchie, nel corso della storia, da Ivan il Terribile in poi) per sottometterci a sé. Nel confronto e nello scontro, ci ha sempre rispettato, ha sempre rispettato la diversità che ci distingueva, cosa che vorremmo molto poter dire di altre nazioni» (28).
Dalle vicende storiche e culturali dovremmo come europei imparare a riconoscere da dove vengono i reali pericoli per le nostre economie e per la nostra cultura. Vengono da Ovest.

4 commenti

  • agbiuso

    Ottobre 23, 2022

    Interessante analisi che parte dalla Gran Bretagna ma arriva ovunque, in un’Europa i cui governi sono “indeboliti dal lobbismo delle compagnie private, ormai divenuto parte integrante delle democrazie più dello stesso popolo votante”

    Gli ammutinati di Westminister
    Marco Di Mauro, Avanti!
    20.10.2022

  • agbiuso

    Gennaio 1, 2022

    Il Ventennio dell’euro
    di Thomas Fazi – L’Antidiplomatico, 1.1.2022

    Oggi l’euro compie vent’anni. Vent’anni di moneta unica che hanno avuto l’effetto di distruggere la nostra economia, svuotare la nostra democrazia e cancellare la nostra Costituzione. In questo senso, possiamo dire che l’euro è perfettamente riuscito nel suo scopo.

    Sugli effetti economici c’è poco da dire. Rispetto ai primi anni Duemila:

    Gli investimenti pubblici sono stati tagliati del 30 per cento.

    Il PIL è crollato del 7 per cento (siamo tornati ai livelli del 1995, un salto indietro di quasi 30 anni), quello pro capite è crollato dell’11,8 per cento, quello per occupato del 12,6 per cento.

    La domanda interna è crollata dell’8,6 per cento.

    La produzione industriale è crollata del 25,4 per cento.

    Le retribuzioni lorde sono state tagliate del 7 per cento.

    Il reddito delle famiglie è sceso del 5,4 per cento.

    Il tasso di risparmio è passato dal 28 per cento degli anni Ottanta all’attuale 3 per cento.

    Il numero di poveri assoluti è triplicato, passando da 1,9 milioni (3,3 per cento) del 2005 ai 5,6 (9,4 per cento) del 2020.

    Abbiamo un tasso di disoccupazione imposta del 10 per cento circa.

    Ogni anno circa 200.000 italiani sono costretti a lasciare il paese per mancanza di lavoro e di salari dignitosi. La maggior parte di questi sono giovani laureati.

    Questo è il “dividendo economico dell’euro”.

    Ma il vero “dividendo”, si fa per dire, è stato politico. Con l’adesione all’euro e l’istituzione della Banca centrale europea (BCE), infatti, abbiamo rinunciato a una delle più importanti prerogative di uno Stato sovrano – la possibilità di emettere moneta –, acquisendo così «lo status di ente locale o di colonia», come avvertì il celebre economista britannico Wynne Godley nel 1992. Oggi questo progetto di colonizzazione giunge a compimento con il definitivo commissariamento dell’Italia per mezzo del PNRR.

    È ora di uscire da questo incubo.

    Che il 2022 sia l’inizio della liberazione. Della fine del nuovo ventennio. Buona lotta a tutti!

  • Lucrezia Fava

    Settembre 3, 2016

    Caro Prof. Biuso, le segnalo di seguito un articolo a proposito di quanto è successo in Brasile e va accadendo nell’America Latina. È in linea con le sue analisi su politica e mentalità degli Stati Uniti. Un’analisi che più si estende e approfondisce, basandosi su fatti realmente accaduti, più dimostra lo spirito affaristico, predatore e prepotente, mistificatore di questo Paese.
    http://www.altrenotizie.org/esteri/7122-il-colpo-di-stato-in-brasile.html#

    • agbiuso

      Settembre 3, 2016

      Cara Lucrezia, l’analisi di Fabrizio Casari è rigorosa sia dal punto di vista geostrategico sia da quello lessicale. Ciò che è accaduto in Brasile è infatti e davvero un ‘colpo di stato’, voluto dagli USA e dai ceti sociali protetti dal gigante nordamericano.
      Le motivazioni geostrategiche sono chiare:
      “C’è Washington dietro il colpo si Stato. E sono proprio i suoi interessi, minacciati dall’indipendenza e dall’integrazione economica e politica latinoamericana, ad essere tornati in campo con forza. Ciò anche a seguito del progressivo allontanarsi dal Golfo Persico di una parte importante degli interessi strategici degli Stati Uniti e dalla sempre maggiore attenzione all’area del Pacifico, base fondamentale del confronto strategico con la Cina. In questo nuovo contesto le strategie dell’impero riportano per converso l’attenzione sull’America Latina”.
      È dalla presidenza Clinton che gli USA preparano lo scontro con la Cina, unica potenza in grado di fronteggiarli. La sanguinosa destabilizzazione del Vicino Oriente -che ci tocca direttamente-, quelle dell’Iraq e dell’Afghanistan, sono tappe di avvicinamento.
      Anche per questo ritengo del tutto e soltanto ‘spettacolare’ la presunta contrapposizione dei candidati Trump e Rodham (Clinton). Chiunque venga eletto, continuerà nella strategia fascista e aggressiva della finta ‘democrazia’ statunitense.

Inserisci un commento

Vai alla barra degli strumenti