E.I.A.E. Et in Arcadia Ego
Fotografie di Giovanni Chiaramonte – Poesie di Umberto Fiori
Cucine del Monastero dei Benedettini – Catania
A cura di Sebastiano Favitta
Sino al 26 marzo 2016
Il giallo di un eterno autunno, luminoso. Le Rovine, le Regge, la Natura tra Potsdam e Berlino. Lo sguardo di Giovanni Chiaramonte su tutto questo è sempre laterale, mai monumentale, straniante. Gli edifici, gli alberi, le architetture, i giardini della Germania del Nord appaiono immersi in un bagliore mediterraneo, nel lucore del meriggio panico, di quell’istante che è la vita nella sua pienezza tragica, nel suo essere qui, ora, senza senso alcuno al di là di se stessa, poiché Pan è l’identità animale di un umano che non è «soltanto occidentale, moderno, laico, civilizzato e ragionevole, ma anche primitivo, arcaico, mitico, magico e pazzo» (James Hillman, Saggio su Pan, Adelphi 2005, p. 32).
Nella pervasività del giallo di Chiaramonte gli spazi teutonici vengono metamorfizzati in un sogno ellenico. Persino la Porta di Brandeburgo è irriconoscibile e tutto è trasformato nella dolcezza della quale parla Qoèlet: «Dolce è la Luce e agli occhi piace vedere il Sole» (11,7).
L’Arcadia del nostro contento è questa, è l’eco della provenienza, perché -scrive Chiaramonte- «l’esistenza di ogni uomo e di ogni donna vive in realtà l’irreparabile divisione tra il luogo del proprio inizio e il luogo dell’origine: la vera dimora, fotografia dopo fotografia, mi è apparsa così l’incessante migrazione che ogni istante, ciascuno di noi deve compiere tra il luogo del proprio inizio e il luogo da sempre perduto dell’origine». La nostra dimora è il Tempo. Colonne, giardini, templi e ogni altro luogo sono le sue stanze.