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«Rasenta l’umiliazione»

«Rasenta l’umiliazione»

L’Assemblea odierna dei docenti dell’Ateneo di Catania ha confermato la volontà di proseguire nella rivendicazione dei diritti calpestati dall’attuale governo e di difesa del futuro dell’Università italiana, della sua esistenza.
Sullo stesso argomento il filosofo Eugenio Mazzarella ha pubblicato sul Corriere della sera di sabato 30.1.2016 una lettera aperta al Presidente Sergio Mattarella. La ripropongo qui perché mi sembra particolarmente efficace nel descrivere le ragioni della nostra mobilitazione.

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Illustre Presidente Mattarella,
mi rivolgo a Lei su una questione dell’università italiana, che, per i motivi che Le illustrerò, rasenta l’umiliazione.
Questione che conosce, per una lettera a Lei firmata da oltre quattordicimila docenti. Prima di arrivare al punto più dolente, riepilogo la situazione. La Pubblica Amministrazione, nella crisi del Paese, ha fatto sacrifici importanti: un pressoché generale blocco del turn over e un altrettanto pressoché generale blocco degli stipendi dal 2010. In concreto si è percepito per sei anni gli stessi emolumenti. Con l’ultima Legge di stabilità questa stagione di “fermo immagine” al 2010 per il pubblico impiego si spera si avvii a chiudersi, riattivando una fisiologia della dinamica salariale che chi vive di reddito fisso sa quanto pesi.
I sacrifici fatti sono stati consolidati, con senso di responsabilità dei diretti interessati: di un quinquennio di arretrati neanche l’ombra, ma solo il riconoscimento giuridico, agli effetti economici del quinquennio di blocco, ai fini del ricalcolo retributivo. Ma non per tutti. Ne sono esclusi i professori universitari. Per loro lo sblocco salariale non comporta riconoscimento giuridico del quinquennio trascorso. I danni che ne derivano sulla prospettiva di una carriera media dei docenti sono quantizzabili sulle due voci a più di 90.000 euro netti (il calcolo è su un professore che abbia adesso 55 anni). La maggior parte dei docenti dovrà peraltro aspettare fino alla fine del 2017, quasi due anni, per l’aumento previsto, che si avrà scaglionato nel tempo: mediamente 105 euro mensili invece dei circa 365 se fosse riconosciuto giuridicamente il periodo 2011-2015; una perdita di 260 euro mensili.
Oltre al danno la beffa: nello stesso tempo gli stessi docenti devono impegnarsi in una procedura di valutazione del loro lavoro­ –per gli addetti VQR, valutazione qualità della ricerca– per un quinquennio che agli effetti giuridici ed economici non esiste! Più che uno schiaffo economico e giuridico, è uno schiaffo morale a studiosi, docenti e ricercatori, già decimati dai tagli all’università.
Ma il peggio è il motivo per cui mi sono risolto a scriverLe. Per far valere le loro ragioni, migliaia di docenti hanno scelto il rifiuto di sottoporsi alle procedure di valutazione scientifica. È sembrato essere lo strumento di pressione meno penalizzante terzi incolpevoli (studenti). Che cosa sta succedendo? Poiché ai dati della VQR è legata la ripartizione delle risorse agli atenei, e quindi il budget per assunzioni e progressione delle carriere, si è creata la seguente situazione, più o meno chiaramente proposta negli atenei: “se volete, potete non fornire i dati della ricerca, però così rischiate di danneggiare voi stessi e i vostri allievi”. Come ricatto fattuale e morale, che vanifica ogni dialettica negoziale negli atenei, non c’è male.
La cosa è talmente indecente che il Presidente della CRUI ha scritto al Ministro perché si diano risposte al malessere dei docenti. Presidente, Lei è stato un autorevole docente universitario. Sa di che cosa si parla. Usi la sua moral suasion perché il Parlamento metta riparo ad un’ingiustizia che i professori universitari italiani non meritano.

Eugenio Mazzarella

 

18 commenti

  • agbiuso

    Settembre 21, 2016

    Un nuovo articolo di Eugenio Mazzarella sulle storture e sulle irrazionalità presenti in alcuni criteri dell’ASN, Abilitazione Scientifica Nazionale.

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    Come puoi essere un “asino” in VQR e presentarti più facilmente alla ASN
    Roars, 20 settembre 2016

    La logica ha la durezza dei fatti. Ed è del tutto ovvio che il tentativo di far esistere in realtà un oggetto logico che non esiste – la rivista di fascia A – debba portare a conseguenze aberranti. Perché entri o resti in fascia A, di una rivista bisogna valutare la “qualità dei prodotti scientifici raggiunta nella VQR dai contributi pubblicati” nella medesima. Chi avrà pubblicato in fascia A si troverà in curriculum la scorciatoia di uno, due o tre articoli in fascia A per adire l’abilitazione Però, può darsi benissimo il caso che uno o tutti di questi articoli abbiano avuto una VQR non favorevole, quindi non contribuendo in nulla al rango peer review della rivista; e tuttavia si avvantaggiano della classificazione del contenitore per un accesso prilegiato alla ASN. In buona sostanza, se ho due articoli che hanno conseguito una pessima VQR ma sono stampati in fascia A accedo alla ASN, se gli stessi articoli hanno avuto una VQR eccellente ma sono stampati in altro modo, finiscono del calderone del 15/30 contributi diversi che devo presentare sul criterio “contributi scientifici figli di un dio minore”. Ma cosa si fa a consentire una cosa del genere? C’è un giudice a Berlino?

    La logica ha la durezza dei fatti. Ed è del tutto ovvio che il tentativo di far esistere in realtà un oggetto logico che non esiste – la rivista di fascia A – debba portare a conseguenze del tutto aberranti e lesive dei diritti dei soggetti che le subiscono; in questo caso docenti e ricercatori che vogliano accedere all’Abilitazione scientifica nazionale. Nonostante il mare di polemiche sull’improprietà scientifica e la fondamentale illeggitimità nel porre come criterio per accedere alla valutazione il possesso di un certo numero di articoli in riviste di fascia, per altro ridicolmente più basso del numero richiesto alla voce “altri contributi scientifici”, Miur ed Anvur hanno difeso testardamente il criterio delle riviste di fascia A.

    Ora, per dimostrare, di fronte al montare delle polemiche, la non arbitrarietà della selezione delle riviste di fascia A – o la minore arbitrarietà nonostante le buone intenzioni della selezione, come si esprime in una recente lettera il Presidente dell’Anvur –, l’Anvur ha recepito un’indicazione vincolante del Miur per la collocazione in fascia A delle riviste. In concreto, perché entri o resti in fascia A, di una rivista bisogna valutare la “qualità dei prodotti scientifici raggiunta nella VQR dai contributi pubblicati” nella medesima.

    Il criterio dovrebbe assicurare che all’inserimento in fascia A contribuisca il giudizio tra pari della VQR esercitato su (parte almeno) del contenuto (gli articoli) del contenitore (la rivista). E quindi dare maggiore legittimità scientifica alla collocazione in fascia A, anche per contrastare l’obiezione di chi si oppone all’uso di articoli in fascia A come criterio di accesso alle abilitazioni perché si pre-giudica in modo favorevole il contenitore, la rivista, sulla materia effettiva del giudizio peer review che può riguardare solo il contributo sottoposto a valutazione.

    Ma poiché la logica ha una sua logica, la toppa è peggiore del buco e mostra la totale inaffidabilità del criterio e la sua impugnabile illeggitimità. In sostanza in fascia A una rivista ci arriva se ha uno standard superiore alla media del settore disciplinare di contributi valutati positivamente (buoni?, eccellenti?) alla VQR, contributi sottoposti alla peer review della valutazione. Chi avrà pubblicato su queste riviste si troverà in curriculum la scorciatoia di uno, due o tre articoli in fascia A in quindici o dieci anni per adire l’abilitazione. Però può darsi benissimo il caso che uno o tutti di questi articoli abbiano avuto una VQR non favorevole, quindi non contribuendo in nulla al rango peer review della rivista; e tuttavia si avvantaggiano della classificazione del contenitore per un accesso prilegiato alla ASN. In buona sostanza, se ho due articoli che hanno conseguito una pessima VQR ma sono stampati in fascia A accedo alla ASN, se gli stessi articoli hanno avuto una VQR eccellente ma sono stampati in altro modo, finiscono del calderone del 15/30 contributi diversi che devo presentare sul criterio “contributi scientifici figli di un dio minore”. Ma cosa si fa a consentire una cosa del genere? C’è un giudice a Berlino?

  • agbiuso

    Settembre 16, 2016

    Da Roars:

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    ANVUR ha proposto per commissari e candidati soglie specifiche per ogni settore disciplinare. Tali soglie si allontanano in modo estremamente variabile dalle mediane delle popolazioni di riferimento. E non esiste un pattern riconoscibile sulle modalità con cui sono state definite le soglie. Dal documenti di accompagnamento si capisce che ANVUR ha lavorato avendo sottomano le statistiche di commissari e candidati.
    A pensare male si fa peccato. Ma procedendo in questo modo sarebbe stato possibile, specialmente per i commissari, agire sulle soglie in modo tale da includere/escludere questo o quello studioso. Anche perché in alcuni settori gli ordinari non sono certo numerosi e una piccola modifica delle soglie significa includere qualcuno ed escludere altri.
    A che logica risponde, in un settore composto da quattro ordinari, fissare per i commissari una soglia al di sotto della mediana e un’altra pari al +700% rispetto alla mediana? Forse che si voleva fare fuori qualcuno dei quattro? Al di là di questi dettagli, sarebbe stato molto più onesto da parte del MIUR attribuire ad ANVUR, esplicitamente, il compito di produrre l’elenco dei commissari sorteggiabili. Da questo punto di vista, la ASN 2.0 è un salto di qualità notevole nel processo di riforma illiberale dell’università italiana.
    Un esperimento sociale di controllo centralizzato che forse non era mai stato pensato in queste dimensioni, se non forse in Unione Sovietica.
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    L’articolo completo si trova qui: Commissari ASN: a pensare male…

    In un mio libro sul Sessantotto ( Contro il Sessantotto. Saggio di antropologia ) ho sostenuto la continuità tra quella stagione e la ‘Destra televisiva’, vale a dire la riduzione della politica e della vita collettiva a spettacolo narcotizzante guidato da interessi privati.
    Che il presidente dell’Anvur -il Prof. Andrea Graziosi ( Di Lotta e di governo: Andrea Graziosi è il nuovo presidente ANVUR )- sia stato membro attivo di Lotta Continua rappresenta l’ennesima conferma, che avrei preferito non avere.

  • agbiuso

    Settembre 15, 2016

    Due lettere di Eugenio Mazzarella in merito all’Abilitazione Scientifica Nazionale e ai gravi rischi che alcuni dei suoi criteri comportano per la libertà e il rigore della ricerca (oltre che per la correttezza nella valutazione dei candidati).

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    Tra i criteri per accedere alle procedure di valutazione per le abilitazioni scientifiche nazionali alla docenza universitaria tornano, in modo fortemente vincolante, le famigerate riviste di fascia A. Un criterio aberrante per vari motivi. Ora basta.

    Ora basta. Tra i criteri per accedere alle procedure di valutazione per le abilitazioni scientifiche nazionali alla docenza universitaria tornano, in modo fortemente vincolante, le famigerate riviste di fascia A, più propriamente la richiesta di un tot di articoli in rivista di fascia A come soglia che concorre ad ammettere o ad escludere dalla valutazione. Un criterio aberrante per vari motivi. E’ illegittimo: non è degno di un’etica scientifica che ambisca a questa dizione; distorce la libertà della ricerca e meccanismi di mercato editoriale; sottrae al principio della peer review, o ne facilita ad alcuni l’accesso precludendolo ad altri.

    E’ illegittimo perché l’Anvur dovrebbe avere terzietà nella costruzione dei parametri di valutazione dell’esercizio libero della ricerca. Terzietà che nell’indicare come parametro dirimente la presenza di articoli in riviste di fascia A viene platealmente meno, perché è la stessa Anvur a determinare con apposita commissione quali sono le rivista di fascia A; di fatto l’Anvur produce i criteri di cui dovrebbe garantire la terzietà. Un’autentica falsificazione di un’etica scientifica che si ispiri ad una libertà non condizionata della ricerca, e meno aulicamente ad una sua effettiva indipendenza da un mercato “accademico” dei criteri precostituito. Mercato che per altro induce sul mercato editoriale un favor contrario ai principi della libera concorrenza per le aziende editoriali editrici delle riviste di fascia A (sul punto sarebbe interessante un approfondimento indipendente sulle relazioni personali tra case editrici – proprietà, direzioni scientifiche, consulenze – e presenze nella governance dell’Anvur a vari livelli: troverei impropri intrecci tra valutatori della ricerca e strutture editoriali; si darebbe il caso che valutatori dei prodotti valuterebbero prodotti delle aziende editoriali in cui sono a vario titolo implicati. Il problema si risolve in modo molto semplice: nessun favor editoriale, di legge, a nessun contenitore editoriale. Il favor è solo quello reputazionale, che non ha mai avuto bisogno di nessun elenco ‘ufficiale’ ). Ancora più grave sul medio periodo è la distorsione della libertà della ricerca: se per stare in rivista di fascia A, devo scrivere sulle teorie pincopalliniane di una disciplina e ne va della mia carriera, tempo una generazione di studiosi e le linee di ricerca (la varietà biologica dell’intelligenza) sarà ridotta alle linee di ricerca delle riviste di fascia A. A parte il risibile corollario che il criterio della fascia A premia il contenitore, la rivista, e non il contenuto, l’articolo, che potrebbe star lì per il mercato di relazioni accademiche a tutti noto e non altro. In ultimo al giudizio tra pari, fondamento della reputazione nella comunità scientifica, si accederebbe ad libitum di un segmento della comunità, guarda caso di chi gestisce il consorzio di relazioni fattuali tra sistema di valutazione e produzione e indirizzo della ricerca. Qualcuno – gli allievi delle scuole con rivista in fascia A, per uscire dalle metafore – è più pari degli altri per accedere al giudizio tra pari, che alla fine finiranno per essere gli stessi che gli hanno aperto le porte alle riviste di fascia A. I favorevolmente “pre-giudicati” saranno ammessi ad essere giudicati nell’empireo valutativo, per esservi definitivamente santificati. Credo possa bastare.

    Ho voluto tenere in queste riflessioni un tono fortemente polemico, perché penso che su questo andazzo dobbiamo in scienza e coscienza ognuno noi prendere posizione. Dicendo se ci va bene, o se bisogna smetterla. E’ implicito l’invito a ognuno di noi a fare la sua parte, se ritiene.

    Un cordiale saluto a tutti

    12.07.2016

    Lettera inviata alla mailing list della SISEM

    Cari Colleghi,

    chiedo scusa in anticipo della lunghezza di questa mia, ma al punto cui è arrivata la discussione, tra consensi alle mie osservazioni e perplessità sulla loro traducibilità operativa, credo sia necessario.

    Dividerò questa comunicazione in tre punti.

    Breve ricapitolazione generale dei problemi che suscita la comunicazione dell’Anvur al Cun circa i valori soglia, alla luce delle, per me, fondate obiezioni del Cun.

    a) Per tutti i settori bibliometrici e non bibliometrici si fa di nuovo, nei fatti, ricorso alle mediane, con una surrettizia precomparazione dei potenziali candidati alle abilitazioni, e per conseguenza dei potenziali commissari, tramite l’accesso non a criteri assoluti ma a fasce statistiche di percentili. Questo riduce al 55% per cento la platea potenziale di chi può accedere all’abilitazione (e alla lista dei commissari). Un modo per lasciare fermi nei ruoli di appartenenza, senza possibilità di farsi valutare, un paio di generazioni di studiosi. In alcuni settori non c’è, pare, un ricercatore a tempo indeterminato che superi le soglie. Fondamentalmente una surrettizia gestione, necessitata dalle dinamiche del FFO, delle aspettative del personale, che forse tutela le singole amministrazioni da fibrillazioni e pressioni interne, ma non i diritti soggettivi ad essere valutati dai docenti strutturati con criteri noti e fruibili per tutto il periodo che concorre a poterli conseguire, e non noti ex post. Per intenderci, come potevo proporre a una riviste di fascia A, ad esempio, un articolo prima della loro definizione regolamentare?

    b) Per i settori bibliometrici ricorre, se l’interpretazione del Cun risultasse confermata, l’autentica assurdità del non considerare (ai fini dell’assolvimento dei valori soglia) le citazioni ricevute negli ultimi 10/15 anni (relativamente per associati e ordinari) da ricerche condotte prima, sicché ad esempio se nel 2002 ho scritto un lavoro cardiologico che ha rivoluzionato gli studi e le cure dopo una sperimentazione durata alcuni anni ed ho ricevuto 100 citazioni a partire dal 2005, poniamo, queste citazioni non valgono e magari non posso concorrere. Insomma un’autentica idiozia. È come per Kant fosse vivo non valessero le citazioni della Critica della ragione pura perché è stata scritta più di 15 anni fa. Criterio che rafforza, unito all’uso dei percentili per determinare i valori soglia, l’ablazione dalla concorsualità di un paio di generazione di studiosi.

    c) Per i settori non bibliometrici è un dato di fatto, e non un’opinione di chi non apprezza il criterio, il patente venir meno della terzietà dell’Anvur tra comunità scientifica e Miur nel proporre criteri di valutazione, giacché il criterio delle riviste di fascia A vede lo stesso ente, l’Anvur, determinare un criterio che dovrebbe essere terzo ma che in realtà produce essa stessa decidendo le riviste che possono erogarlo. Un conflitto di interesse che cederebbe in ogni tribunale.

    Illegittimità e inappropriatezza scientifica per i settori non biblibliometrici della definizione, ai fini dell’accesso alla concorsualità, delle riviste di fascia A.

    Tra i criteri per accedere alle procedure di valutazione per le abilitazioni scientifiche nazionali alla docenza universitaria tornano (in modo vincolante, considerato che viene eliminata la motivata deroga per le commissioni per la vincolatività dei criteri della circolare Profumo, che nelle scorse abilitazioni consentì di tutelare l’effettiva autonomia del giudizio delle commissioni) le riviste di fascia A, più propriamente la richiesta di un tot di articoli in rivista di fascia A come soglia che concorre ad ammettere o ad escludere dalla valutazione. Un criterio aberrante per vari motivi. E’ illegittimo; non è degno di un’etica scientifica che ambisca a questa dizione; distorce la libertà della ricerca e meccanismi di mercato editoriale; sottrae al principio della peer revieuw, o ne facilita ad alcuni l’accesso precludendolo ad altri.

    E’ illegittimo perché l’Anvur dovrebbe avere terzietà nella costruzione dei parametri di valutazione dell’esercizio libero della ricerca. Terzietà che nell’indicare come parametro dirimente la presenza di articoli in riviste di fascia A viene platealmente meno, perché è la stessa Anvur a determinare con apposita commissione quali sono le rivista di fascia A; di fatto l’Anvur produce i criteri di cui dovrebbe garantire la terzietà. Un’autentica falsificazione di un’etica scientifica che si ispiri ad una libertà non condizionata della ricerca, e meno aulicamente ad una sua effettiva indipendenza da un mercato “accademico” dei criteri precostituito. Mercato che per altro induce sul mercato editoriale un favor contrario ai principi della libera concorrenza per le aziende editoriali editrici delle riviste di fascia A (sul punto sarebbe interessante un approfondimento indipendente sulle relazioni personali tra case editrici – proprietà, direzioni scientifiche, consulenze – e presenze nella governance dell’Anvur a vari livelli: troverei impropri intrecci tra valutatori della ricerca e strutture editoriali; si darebbe il caso che valutatori dei prodotti valuterebbero prodotti delle aziende editoriali in cui sono a vario titolo implicati. Il problema si risolve in modo molto semplice: nessun favor editoriale, di legge, a nessun contenitore editoriale. Il favor è solo quello reputazionale, che non ha mai avuto bisogno di nessun elenco ‘ufficiale’ ). Ancora più grave sul medio periodo è la distorsione della libertà della ricerca: se per stare in rivista di fascia A, devo scrivere sulle teorie pincopalliniane di una disciplina e ne va della mia carriera, tempo una generazione di studiosi e le linee di ricerca (la varietà biologica dell’intelligenza) sarà ridotta alle linee di ricerca delle riviste di fascia A. A parte il risibile corollario che il criterio della fascia A premia il contenitore, la rivista, e non il contenuto, l’articolo, che potrebbe star lì per il mercato di relazioni accademiche a tutti noto e non altro. In ultimo al giudizio tra pari, fondamento della reputazione nella comunità scientifica, si accederebbe ad libitum di un segmento della comunità, guarda caso di chi gestisce il consorzio di relazioni fattuali tra sistema di valutazione e produzione e indirizzo della ricerca. Qualcuno – gli allievi delle scuole con rivista in fascia A, per uscire dalle metafore – è più pari degli altri per accedere al giudizio tra pari, che alla fine finiranno per essere gli stessi che gli hanno aperto le porte alle riviste di fascia A. I favorevolmente “pre-giudicati” saranno ammessi a essere giudicati nell’empireo valutativo, per esservi definitivamente santificati.

    Mi dilungo sul punto perché so che le opinioni tra noi colleghi sono diverse, e persino in alcuni casi presumo antitetiche. Proprio per questo però, al di là del merito opinabile della mia personale valutazione su cosa significa fascia A per una rivista, se non una considerazione reputazionale difficile da costruire per consenso generale, il punto è l’illegittimità del criterio della fascia A per contribuire a dare o meno accesso alle abilitazioni. E’ un dato della missione statuaria dell’Anvur offrire al Miur una terzietà nella proposta dei criteri, che palesemente non c’è nel criterio di rivista di fascia A, dal momento che il criterio stesso è ‘costruito in casa’ dall’Anvur medesima. A parte l’ovvia situazione in cui veniamo a trovarci quasi tutti per patenti conflitti di interesse tra nostra presenza nella governance di riviste di fascia A e eventuale posizione giudicante della qualità degli articoli in esse presenti. Insomma illegittimità nella costruzione del criterio – chi propone il criterio è lo stesso soggetto che lo determina – e potenziali conflitti di interesse in cui possono essere coinvolti i soggetti chiamati ad impiegarlo nelle procedure, non sono giudizi di valore opinabili, ma punti di diritto. Quindi o il criterio è illegittimo, o non lo è.

    Nel secondo caso nessuna questione. E’ decisione di politica accademica in capo a chi ne ha la titolarità, Ma se il criterio è illegittimo va cassato, anche se lo scrivente ne fosse il più convinto assertore come discrimine tra chi fa buona ricerca e chi no. Se illegittimo, il criterio va abolito, anche se fossimo tutti d’accordo sulla sua bontà. Al più potremmo chiedere al legislatore di cambiare le regole di ingaggio sulla terzietà dell’Anvur.

    Detto questo, ammesso e non concesso che il criterio sia tenibile, è credibile che un articolo in fascia A valga agli effetti dell’acceso alla valutazione 10 articoli in riviste scientifiche standard? Non ripugna al nostro buon senso una sproporzione di tal genere? Sproporzione che in un contenzioso avrebbe vita difficile a poter essere sostenuta nel generale principio di proporzionalità richiesto in diritto. Potrei capire, e non condividere, che 1 articolo in fascia A generi gli stessi effetti a definire diritti soggettivi di colleghi a essere giudicati (o a poter essere commissari) di due o tre articoli in fascia standard; ma così è veramente un puro favor premiale ad alcuni a danno di altri. Giustamente un collega mi ha fatto notare che oltre tutto il criterio si applica ad una distensione temporale. Di 15 anni, poniamo, per ordinari. Ma la vita del criterio (computando da quando è nato con le escogitazioni dell’Anvur) è più breve del lasso temporale su cui è parametrato. Credo di due terzi. Così che se mi si chiedono 3 articoli in fascia A in quindici anni, in realtà ci sono dieci anni di assenza di criterio in cui non sapevo neanche a quali riviste proporre i miei lavori per conseguirlo; ne discende che per equalizzarlo (credo si dica così, ma non sono sicuro e chiedo venia) bisognerebbe riferire il numero degli articoli esigibili agli anni avuti a disposizione per conseguirlo; nel caso di specie dovrebbe bastare 1 articolo. Mi sono addentrato nella logica interna della criteriologia fascia A per argomentarne l’inappropriatezza persino nella sua attuazione. E sono stato costretto a dilungarmi, abusando della pazienza di chi legge, perché è difficile ‘logicizzare’ l’illogico, o dispositivi normativi talmente arbitrari da essere difficili da normalizzare in base ai loro stessi principi.

    In ultimo merita attenzione (riprendo pressoché alla lettera ossservazioni che mi sono state proposte) anche la richiesta – inderogabile – del superamento di due soglie invece che una. Quello che viene fatto passare come un semplice innalzamento dell’asticella – come si usa dire – provoca effetti fortemente distorsivi. Non soltanto, di nuovo, dando un peso decisivo agli articoli nelle riviste di fascia A, stante l’incredibile sproporzione rispetto a quelli pubblicati in riviste semplicemente “scientifiche” (che di fatto programmaticamente vanifica quest’ultima soglia). Ma anche andando a mettere in questione prassi ampiamente riconosciute nei nostri ambiti: un ordinario, vado per iperboli ma per farmi capire, potrebbe aver scritto “solo” 10 validisssime monografie e non essere ritenuto idoneo, o sempre per iperboli, avrebbe potuto scrivere 9 monografie, 4 articoli di fascia A e 34 articoli scientifici e ugualmente essere ritenuto scientificamente non qualificato, se poniamo si chiede di assolvere ai valori di 2 monografie o 5 articoli in fascia A ovvero 35 articoli scientifici (l’iperbole si può facilmente verificare per le tabelle di alcuni settori).

    Penso sia sufficiente a far comprendere, tutto ciò, la mia convinzione che richieste di aggiustamento al Miur poco tolgono all’arbitrarietà sostanziale del criterio e alla sua difficoltosa tenuta in un contenzioso che ne nascesse. E che pertanto la richiesta da fare è cassare il criterio.

    Cosa fare e cosa si può fare.

    Cosa fare mi sembra deducibile dal complesso dell’argomentazione. Chiedere all’Anvur e al Miur di accogliere le osservazioni del Cun su improprio utilizzo di percentili e validità temporale delle citae per quanto riguarda le riviste di fascia A proporre valori soglia per le riviste di fascia A e le riviste scientifiche tali da depotenziare l’ineguale accesso ai criteri da parte dei candidati e l’incongruità di dover avere in curriculum un criterio avanzato ex post al percorso di ricerca che a quel curriculum ha portato. Bisognerebbe che per la conseguibilità del criterio degli articoli scientifici, se ne possano chiedere al massimo tre per ogni articolo richiesto in fascia A; cosicché se in un settore il criterio fascia A è assolto da 4 articoli, per gli articoli scientifici esso dovrebbe essere assolto al massimo da 12.

    In prospettiva si dovrebbe ottenere che venga cassato il criterio delle riviste di fascia A, o al più tenerlo a condizione della sua definizione da parte della comunità scientifica di riferimento (la proposta di Leonardi va in questo senso), e non deciso da commissioni nominate da un ente a suo volta nominato dal governo. Più in generale, il peso dato agli articoli in rivista – A e standard – rispetto alle tradizionali monografie, minaccia seriamente in molti settori l’attitudine all’approfondimento originale della ricerca, costruendo un ricercatore attorno all’idea di “campionature” per quanto egregie su questo o su quel tema; cosa che una volta facevano da “corona” all’approfondito lavoro monografico. In molti settori umanistici a un curriculum consono può ben chiedersi una monografia ogni cinque anni, che in definitiva si risolverebbe nell’evoluzione della tesi dottorale per un primo approccio, di una seconda monografia per concorrere all’abilitazione alla II fascia, di una terza monografia per concorrere alla I. Il buon tempo antico procedeva più o meno così, e non mancavano a corona articoli eccellenti o scientificamente validi. Rischiamo di diventare succubi di una cultura dell’articolo che viene dagli ambiti scientifici, dove la monografia è tradizionalmente sistemazione trattatistica, ma non innovazione di ricerca. Per molti settori questo è un rischio molto forte di indebolimento culturale e critico. E credo che un discorso su questo dobbiamo pur affrontarlo, anche se il Miur produce DM. Adeguarsi alla ricezione, magari malpancista, di un indirizzo di governo della ricerca che si va sempre più burocratizzando, non solo fa e farà male all’università italiana, ma condurrà noi tutti – soprattutto gli “inutili” saperi umanistici – all’irrilevanza culturale e sociale, perché un’università che non sappia più da sé cosa deve “produrre” come potrà dare un contributo non solo “esperto” a richiesta, ma “critico” al progresso del suo Paese? Questa non è nessuna rivendicazione di una torre eburnea, ma al più di un avamposto (neanche una torre perché rischiano di non esserci i mattoni) di guardia.

    Ringrazio davvero tutti della pazienza.

    18.7.2016

    (Fonte: Roars, Sull’ASN: due lettere di Eugenio Mazzarella)

  • agbiuso

    Febbraio 25, 2016

    Elena Cattaneo, docente alla Statale di Milano e senatrice a vita, ha scritto un intervento assai netto a proposito del finanziamento della ricerca in Italia.

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    “QUELLA di Human Technopole è una sfida complicata e difficile, ma ciò che sta accadendo è che dopo anni di ambizioni al ribasso la possibilità di avere il meglio viene finalmente messa in cantiere”. Queste parole non sono state dette ad Hamelin dal pifferaio magico. Le ha pronunciate ieri a Milano il Presidente del Consiglio, presentando il progetto a suo dire “petaloso” per fare dell’ex area Expo un centro di ricerca di rilevanza mondiale. Progetto per il quale si investiranno un miliardo e mezzo di euro nei prossimi dieci anni. Risorse pubbliche, di tutti. La narrazione del premier in tema di politiche sulla ricerca fa sorgere il dubbio di essere spettatori della famosa favola dei fratelli Grimm.
    […]
    Investire in innovazione e ricerca significa, nel mondo liberaldemocratico, dare spazio al confronto tra idee, per poi selezionare le migliori a beneficio di tutti. Per farlo, prima ancora di scegliere su cosa e chi puntare le risorse, servono una programmazione e una valutazione terza, competente e indipendente delle proposte. Questa è politica per la ricerca. Il resto è un grande spot fondato sull’improvvisazione. Che alla politica interessi e percepisca il valore di investire in ricerca in Italia è una favola a cui non crede più nessuno. Non è però questo il problema più grave. Peggio sono l’inaffidabilità, l’intermittenza, “la dispersione e la frammentazione” (cito il ministro Giannini) di quanto viene stanziato, i metodi di erogazione, cioè le procedure opache e con obiettivi vaghi di assegnazione dei finanziamenti, le valutazioni in itinere ed ex-post praticamente assenti. Il tutto condito da preoccupante approssimazione politica. La stessa con cui si passa, indifferentemente, dalle public calls (i bandi pubblici) alle phone calls (le assegnazioni via telefono), o ai fondi top-down , assegnati dal decisore politico direttamente al beneficiario. E alla comunità scientifica che punta sulle idee anziché sulle relazioni privilegiate restano i bandi Prin, Firb e briciole varie.
    […]
    E mentre la ricerca agonizza, spunta lo Human Technopole. Il presidente del Consiglio lo ha tirato fuori dal cilindro mesi fa definendolo “centro di ricerca mondiale su sicurezza alimentare, qualità della vita, ambiente” e affidandone (alla cieca) la gestione all’Istituto italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, fondazione di diritto privato. Per cui, mentre i ricercatori pubblici nemmeno sanno se esisterà un bando Prin 2016, un ente di diritto privato avrà garantiti 150 milioni di euro all’anno per dieci anni (ma allora le risorse ci sono!). Lo stesso a cui sono erogati da anni (sono già oltre 10) 100 milioni all’anno. Preziose risorse pubbliche che vengono stanziate dal governo di turno “senza accorgersi” che in buona parte sono accantonate in un tesoretto (legale ma illogico) che oggi ammonterebbe a 430 milioni. Risorse pubbliche per la ricerca “dormienti” depositati presso un fondo privato. Il progetto sul post-Expo è l’esempio più emblematico, tra i tanti possibili, delle distorsioni per fini politici, dell’improvvisazione e di come non si dovrebbero gestire i fondi pubblici per la ricerca. Un finanziamento top-down che crea una nuova corte dei miracoli (a prescindere che si chiami Iit) presso la quale c’è già chi si è messo a tavola.
    […]
    Mai come ora si sente il peso della propaganda politica, della spettacolarizzazione che tutto divora, compresa la speranza dei più giovani.

    Fonte: Human Technopole, la scienza all’Expo e la favola del pifferaio
    la Repubblica, 25.2.2016

  • agbiuso

    Febbraio 24, 2016

    Segnalo un chiaro e documentato articolo del collega Franco Coniglione, tra i partecipanti all’assemblea di ieri:

    Università di Catania in agitazione. Ma al fondo c’è la crisi dell’intero Meridione

  • agbiuso

    Febbraio 23, 2016

    Si è svolta oggi una seconda assemblea dell’Ateneo di Catania dedicata alla Valutazione della Qualità della Ricerca. Riporto qui la mozione conclusiva.
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    Mozione dell’assemblea dei docenti dell’ateneo di Catania sullo Stop Vqr di giorno 23 febbraio 2016 indetta da Uspur, R29aprile, CUDA

    L’assemblea tenutasi giorno 23 febbraio presso il Palazzo centrale dell’Università – che ha visto un’ampia partecipazione di docenti e una presenza importante di colleghi non strutturati, di studenti e di dottorandi – prende atto che ad oggi rispetto alla situazione del 1 febbraio, quando si tenne la precedente assemblea, gli unici elementi di novità siano costituiti dalla proroga concessa dall’ANVUR per il 14 marzo (ben diversa dal 30 aprile chiesto dalla CRUI) e dall’invito del ministro all’assemblea Crui che si terrà tre giorni dopo la scadenza, il 17 marzo; non vi è ancora nessun segnale serio e concreto di quel tavolo tecnico tra docenti, Miur e Mef necessario ad avviare una soluzione dei problemi dell’Università (dallo sblocco degli scatti stipendiali, al ripristino del turn-over fino ad una seria politica di sostegno del diritto allo studio, necessaria per studenti e famiglie).

    L’assemblea rileva con rammarico che – dinanzi ad un atteggiamento di dialogo e collaborazione – ai molti docenti che in Italia hanno scelto di aderire alla protesta Stop VQR sono stati opposti (talora, spiace dirlo, anche da componenti della Crui) tentativi di disinformazione e argomenti deboli se non offensivi. Siamo stati accusati di essere pochi e insignificanti (perché allora ci si è così tanto preoccupati di questa protesta?). Siamo stati accusati di voler impoverire le nostre università (ma i nomi e i cognomi di chi ha impoverito l’università italiana attraverso il taglio lineare dei fondi per la ricerca, il blocco del turn over, la mortificazione del diritto allo studio costituzionalmente sancito, il blocco del piano associati, i 50 milioni buttati per la misura demagogica dei 500 superprofessori, la porta in faccia alle nuove generazioni di ricercatori, etc… non stanno sulla luna. QUESTI NOMI STANNO NELLA GAZZETTA UFFICIALE, DALLA LEGGE 133/2008 VOLUTA DA TREMONTI E GELMINI FINO AL DDL STABILITA’ DEL GOVERNO RENZI DEL 2015). Ci si è detto anche che con la nostra protesta responsabile e democratica rischiamo di fare saltare stipendi e tredicesime; ma chi lo dice sa bene che solo grazie al risparmio sul FFO generato dal blocco quinquennale degli scatti stipendiali 2011-15 si possono ancora pagare tredicesime e stipendi…

    Riteniamo dunque – data la numerosa e significativa adesione alla protesta nell’ateneo di Catania e negli altri atenei italiani, con dati che vanno dal 60% di Pavia al 30% di Palermo – di dover confermare la linea del non conferimento e della non collaborazione al processo di valutazione VQR. Alla fine dell’assemblea, si comunica che la lista degli aderenti alla protesta – ad oggi 240 – verrà inviata al Rettore.
    L’assemblea ritiene di dovere continuare l’azione di proposta concreta di un modello nuovo di finanziamento dell’università italiana. Per fare questo è necessario perseverare nella protesta, anche attraverso le vie legali, con l’obiettivo di salvaguardare le prerogative dei docenti universitari italiani (anche con ricorsi amministrativi e forme di class action) e di invalidare un processo di valutazione colmo di vizi di forma e di sostanza, come evidenziato in numerose sedi, insieme ai suoi effetti perversi (si pensi alla ricaduta sui dottorati). Riteniamo inoltre che altre forme di protesta, complementari e non sostitutive dell’astensione dalla VQR, debbano essere discusse, decise ed implementate dopo la scadenza del “conferimento dei prodotti”.

    L’assemblea ritiene importante continuare un’azione di sensibilizzazione dei colleghi nei singoli dipartimenti e degli studenti (oltre che di collaborazione con i colleghi non strutturati, i dottorandi e il PTA) al fine di arrivare a una piattaforma congiunta di richieste e ad una adozione reciproca delle rivendicazioni dei singoli settori dell’università a livello nazionale. Solo così si potrà costruire una pressione dell’intero sistema universitario ancora più efficace nei confronti di politiche penalizzanti e mortificanti, che mettono a rischio l’alta formazione e con essa il benessere materiale e morale del nostro paese. Possiamo solo augurarci che anche la Crui voglia abbandonare pratiche di lobbying rivelatesi inefficaci e che rischiano semplicemente di vanificare le legittime richieste dei docenti italiani e voglia contribuire ad azioni incisive di promozione politica della ricerca e dell’alta formazione.
    L’assemblea si aggiorna dunque a data da destinarsi dopo il 17 marzo per una valutazione dei provvedimenti annunciati o messi in atto dal governo e per le scelte conseguenti.

  • agbiuso

    Febbraio 10, 2016

    Che cosa fareste se vi sottraessero 90.000 € dal portafoglio?
    Niente, se siete tra i docenti che «conferiscono» le loro pubblicazioni alla VQR.
    E questo nonostante la VQR si basi su criteri bislacchi, arbitrari, non scientifici.
    Francamente, il masochismo illogico di molti colleghi sarebbe un fenomeno da studiare.

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    Versione completa dell’articolo:
    Anche più di € 90.000 netti: ecco quanto costa rinunciare a bloccare la VQR

    Anche più di € 90.000 netti: questo è quanto costa individualmente il mancato riconoscimento giuridico del quinquiennio 2011-2015, una delle ragioni della protesta #stopVQR (per un calcolo personalizzato, seppur approssimato, si veda: Calcolo dei danni economici per Docenti e Ricercatori derivanti dal mancato riconoscimento degli effetti giuridici del periodo 2010-2015).
    Una cifra a cui vanno aggiunte le somme non percepite, che variano da €18.500 a € 54.000 a seconda dei ruoli e dell’anzianità. Non fa meraviglia che, nonostante la campagna di disinformazione sull’entità della partecipazione alla protesta, l’efficacia della stessa sia stata tale da costringere la CRUI a richiedere un’ulteriore proroga di due mesi – al 30 aprile.
    Considerare la spesa – complessiva e non solo quella retributiva – per l’università una voce improduttiva, come testimonia il progressivo definanziamento del sistema università-ricerca italiano, è la manifestazione palese della bassa considerazione del fondamentale ed insostituibile ruolo dell’istituzione universitaria statale. Dobbiamo, però, riconoscere che la responsabilità primaria di questo stato di cose ricade anche su noi stessi non essendo stati capaci di contrastare con successo questa deriva. Se non ora, quando?

  • Pasquale

    Febbraio 7, 2016

    @ tutti
    1.Gentile era un grande filosofo ed è stato il promotore dell’unica riforma scolastica decente del Novecento (e oltre) che si sia avuta in Italia. Non a caso i distruttori della scuola la attaccano di continuo.(Alberto)
    Ma mi pare fuori discussione che, da intellettuale di rango, egli fu lasciato libero di attuare una riforma aristocratica l’unica di cui si sia giovato il paese nei fatti (Pasquale)
    Fuori discussione Alberto. Sono un po’ gappista per parte di padre ogni tanto;( tu hai letto però che l’unica pistolettata che sparò andò a vuoto); la voglia di sangue non mancava loro e Gentile offri loro il destro. Cose di guerra, chino il capo e accetto volentieri il corrige.

    2. Grazie, Diego mi colma di aggettivi, maestosamente irriverente, mi piace come ruolo e definizione. Quando a scudiero guarda, le rare volte che mangio fuori casa i camerieri mi fermano mentre sto sparecchiando. La cenerentola che c’è in me agisce di default.

    3. Le battaglie sui diritti civili rischiano di costituire una delle tante armi di distrazione di massa, dietro le quali passa la distruzione dei diritti sociali. Operai e salariati si affidano a quel punto alle forze populiste. Come dar loro torto?

    Alberto colpisce affonda e a volte stupisce tanto ché se lo avesse concosciuto Nelson lo avrebbe voluto come ufficiale di tiro.
    Tutto questo scambio di pensieri mi piace da morire. Abbracci a tutti. P.

  • agbiuso

    Febbraio 7, 2016

    @Pasquale
    Condivido per intero questo tuo bellissimo intervento su don Milanin milanon e sui sussidiari globalizzati e infarciti di nulla, i quali “danno al ciuco l’illusione di essere cavallo”
    Non sono d’accordo, invece, sull’assassinio di Giovanni Gentile, che fu un crimine stalinista tra i più ingiustificati, anche alla luce -come giustamente rilevi- del transito di molti fascisti nella struttura della Repubblica, Togliatti benedicente.
    Gentile era un grande filosofo ed è stato il promotore dell’unica riforma scolastica decente del Novecento (e oltre) che si sia avuta in Italia. Non a caso i distruttori della scuola la attaccano di continuo.

    @diego
    Grazie ancora una volta di una stima così profonda e costante. La tua umiltà -ti definisci “scudiero”- non riesce a nascondere il tuo valore di compagno di pensiero, di stimolo continuo.
    Che tu abbia potuto all’inizio ritenermi di destra significa secondo me che ‘destra’ e ‘sinistra’ sono categorie nobilissime ma ormai obsolete, che spesso diventano dei veri e proprio miti invalidanti.
    Un solo esempio: la sinistra (anche la più militante) si va concentrando sui diritti civili, i quali costituiscono un campo tipico del liberalismo. E lo fa, questo è gravissimo, abbandonando sempre più la difesa del lavoro, delle garanzie, dei salari; lo fa accettando quella che di fatto è una nuova schiavitù.
    Le battaglie sui diritti civili rischiano di costituire una delle tante armi di distrazione di massa, dietro le quali passa la distruzione dei diritti sociali. Operai e salariati si affidano a quel punto alle forze populiste. Come dar loro torto?

  • diego

    Febbraio 6, 2016

    Pasquale, in te e in Alberto scorgo qualche sottile ma importante nervatura di senso aristocratico. Non da schiatta di sangue, ma da serietà austera di studio e approfondimento. Pensa che la prima volta che m’affacciai nelle pagine di questo sito credetti d’aver trovato, finalmente, un grandissimo intellettuale di destra a cui, umilmente, accodarmi. Non era di destra, ma rimasi accodato lo stesso, il più ignorante dei discepoli, ma certo d’esser col maestro giusto. Poi arrivi tu, spettacolare, penna pirotecnica, maestosamente irriverente, temperamento assai diverso, ma nella diversità vedo le stesse nervature, la stessa tenace fibra dello studio serio e dell’approfondimento. Così è accaduto, e mi son fatto scudiero di due cavalieri.

  • Pasquale

    Febbraio 6, 2016

    … shhh, a parlare bene di Gentile, come cervellone riformatore non come endorser di Salò, siamo in pochissimi. Ho sempre apprezzato chi lo tolse di mezzo a Firenze anche se c’è da pensare che sarebbe stato meglio travasare lui alla Repubblica che i torturatori dellla milizia nella pubblica sicurezza. Grazie Togliatti. Ma mi pare fuori discussione che, da intellettuale di rango, egli fu lasciato libero di attuare una riforma aristocratica l’unica di cui si sia giovato il paese nei fatti (nota che la scuola sovietica nacque in identico modo e ancora la Russia zarista di oggi ne risente, lo dico per osservazione diretta, i giovani russi sanno Puskin a memoria e ne sono fieri, i nostri balilli alla voce Don Abbondio cercano un account fessbuk). Da lì sono succedete poi, solo variazioni in stile parrocco: din dan don Milanìn milanón. Riforme omogenee a un disegno di potere rivoltante. In pratica, dall’omologazione della scuola media in avanti si è proceduto sulla strada del livellamento al basso, parole di Paolo Grassi nel 1978 ( a proposito di sindacato quando era sovr. della Scala). Livellamento che coincide con il disconoscimento delle differenze. Funny tricks per negare il diritto in nome dell’eguaglianza. Che è un gran bell’inciampo logico. In short siccome si sa che esistono i ciuchi, i cretini e i calabresi ( intesi come teste dure di particolare tenacia), invece di costruire una scuola che tenga conto delle differenze puntando in alto, la abbassiamo all’alzo zero dell’ambizione e fabbricchiamo democristiani ( il disegno fascista attuato in pieno). Osservare un sussidiario di scuola media: nemmeno una riga di autore, un carduccino toscano, un gozzanino, uno sguardo da ponte: tutto un proliferare di poesie di bambini africani, di giannerodare decadute dal già basso livello del principale, di analisi del telegiornale. Così danno al ciuco l’illusione di essere cavallo. Ma poi in un aula di tribunale al ciuco bastonate e al cavallo megalobischero il consolato.

  • diego

    Febbraio 5, 2016

    Ancora una noterella, Pasquale. Ho cercato di scrivere nel tuo stile evitando la mia solita polverosa moderazione da parroco di periferia.

  • diego

    Febbraio 5, 2016

    Pasqualissimo, in effetti questa prospettiva: il sapere è apprezzato laddove solo incarnato nel potere, mi era parzialmente sfuggita. Per altro invece una robusta, cioè ben finanziata università statale, è il presidio principe per la qualità d’una nazione. In questo aveva molto ragione Gentile.

  • Pasquale

    Febbraio 4, 2016

    @ non più di un’impressione la mia, dettata dal mio mitico oltranzismo. È un difetto, capisco, dettato dall’antipatia che, a prescindere, mi suscitano i tipi come Mattarella. Labbra viscide.

    @ Diego, non mi pare tu dica sciocchezze. È vero che nel sentire comune di un popolo zotico e piccino, chi sa qualcosa è guardato con disprezzo se non è un prete cioè uomo di potere. L’italo ama chi ha potere. Guarda se io e Biuso, insegnassimo alla Cattolica e fossimo in qualche organizzazione di quelle lì di quelli lì, vedresti come ci tratterebbero nel quartiere. Del resto quando interrogo per caso qualcuno per sapere se il figlio si è iscritto dove, se in Statale o in Bicocca, la risposta immancabile è ( prova a immaginarne l’intonazione) NOOOOO IN CATTOOOOLICA. Chi, al contrario per deficienze del sistema statale ricorre a una scuola superiore laica, fuori d’Italia o qui in ambiti specifici come quello artistico, ti risponde preoccupato per il costo e che spera di riuscire a pagare tutto il triennio o il master o quel che l’è. Il resto sai: il progetto generale è quello di far fuori la scuola, almeno quella pubblica per dominare la nazione attraverso la scuola privata; scuola di ciucciotti malleabili.

  • diego

    Febbraio 3, 2016

    Cari amici, carissimo Alberto e mitico Pasquale. Alberto, io sono d’accordo in toto con voi, ma devo spiegare una cosa triste. Vi scrivo dalle galassie lontane. Lontane dalla docenza universitaria, lontane dal mondo dell’insegnamento dalla materna su fino alla Normale di Pisa, lontano dal mondo del pubblico impiego, lontano perfino dal lavoro dipendente tutto (privato e pubblico). Purtroppo nelle galassie lontane da dove vi arriva la mia scrittura prevale, in quasi tutti, un disprezzo nefasto per il pubblico impiego tutto, figuriamoci per i docenti universitari (per inciso perfino i docenti di liceo a volte si lascianno andare in invidiose critiche verso i colleghi più fortunati, dicono loro, dell’università); questa cupissima premessa per capire in quale enorme, immenso buco nero d’ignoranza versa quasi tutto l’agglomerato umano italiano definito con clemenza «popolo». Di qui il problema: praticamente impossibile comunicare la verità. Allora occorre un dato tecnico, numerico, essenziale: la spesa per l’istruzione tutta, in questa penisola che dette i natali a Leonardo ma anche al mostro di Firenze, è bassa, mentre il grande macigno è in realtà una massa pensionistica fatta di milioni di pensioni retributive non coperte da contributi, da 270 miliardi di euro l’anno. Per capirsi, il reddito di cittadinanza, proposta migliore del sulfureo ma giusto comico genovese, costerebbe circa 13 miliardi di euro l’anno. Allora, per chiarire: i soldi per i docenti universitari sono davvero una cifra modesta, ci potrebbero essere eccome. Non vorrei che il trattamento «speciale» rispetto ai colleghi delle scuole non fosse una scaltra mossa per dividere. Se ho scritto delle fesserie, abbiate pazienza, vi voglio bene lo stesso.

  • agbiuso

    Febbraio 2, 2016

    Segnalo un breve e interessante intervento di Guglielmo Forges Davanzati, apparso su Micromega, dal titolo La distruzione dell’Università e le ragioni di chi si oppone

  • agbiuso

    Febbraio 2, 2016

    Caro Pasquale, la lettera aperta a un Presidente della Repubblica deve rispettare delle forme per avere una qualche possibilità di pubblicazione e di efficacia. In ogni caso mi sembra che la sostanza del testo del Prof. Mazzarella sia molto chiara e assai severa. Ed è questo che conta. Ti assicuro che molti altri docenti sono e appaiono assai più prudenti. Questa è una lettera molto bella e coraggiosa, il cui contenuto condivido per intero.

  • Pasquale

    Febbraio 2, 2016

    Non rasenta nulla ed è molto peggio del’umiliazione, Alberto. Qui si tratta di disprezzo. Della scuola dall’alpi alle piramidi. Facciamo esercizi di abitudine e di sopportazione da tempo. E del diritto. E infine del lavoro. La banda che da mezzo secolo si è impadronita della repubblica del resto, non può che disprezzare un esercizio che ignora. MAssime quello legato al sapere. Quindi la frase finale della lettera del signor Mazzarella non mi è piaciuta: suona un po’ come un si metta una mano sul cuore lei che è come noi. E in generale non mi piace chi, per prudenza lo capisco, è gentile troppo gentile con quelli lì. Il presidente è non più che une image d’Épinal, si può strapazzarle, non sono destinate a durare. Quelli lì, banda di villani oltretutto, non conoscono la differenza tra risolutezza e attacco. Tra la piaggeria dei sudditi che loro amano perchè non reclamano il diritto, e la concessione. Non credi? Tuo P.

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