Lo stile, nella politica come nella vita, dice molto delle persone e dei movimenti.
Lo stile del Partito Democratico e del suo Duce è ben descritto in un editoriale di Alberto Burgio, uscito sul manifesto di oggi. In esso Burgio evidenzia con ottime argomentazioni che cosa siano il «thatcherismo plebeo» del Partito Democratico e lo «lo squadrismo verbale del novello Farinacci» che lo guida, godendo dell’entusiastico sostegno -dentro il Partito- di «un uditorio di facinorosi, di frustrati, di smaniosi di vincere con qualsiasi mezzo — magari vendendosi e svendendosi nelle aule parlamentari».
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Ne ha dette, ne dice giornalmente tante e tali che non ci si dovrebbe più far caso. Ma una delle ultime esternazioni del presidente del Consiglio urta i nervi in modo particolare, sì che si stenta a dimenticarsene. «I sindacati debbono capire che la musica è cambiata», ha sentenziato con rara eleganza a margine dello «scandalo» dell’assemblea dei custodi del Colosseo. Non sembra che la dichiarazione abbia suscitato reazioni, e questo è di per sé molto significativo. Eppure essa appare per diverse ragioni sintomatica, oltre che irricevibile.
In effetti la rozzezza dell’attacco non è una novità. Come non lo è il fatto che il governo opti decisamente per la parte datoriale, degradando i lavoratori a fannulloni e i sindacati a gravame parassitario che si provvederà finalmente a ridimensionare. È una cifra di questo governo un thatcherismo plebeo che liscia il pelo agli umori più retrivi di cui trabocca la società scomposta dalla crisi. Sempre daccapo il «capo del governo» si ripropone come vendicatore delle buone ragioni, che guarda caso non sono mai quelle di chi lavora. E si rivolge, complice la grancassa mediatica, a una platea indistinta al cui cospetto agitare ogni volta il nuovo capro espiatorio.
Sin qui nulla di nuovo dunque. Nuova è invece, in parte, l’ennesima caduta espressiva. Un lessico che si fa sempre più greve, prossimo allo squadrismo verbale di un novello Farinacci. Così ci si esprime, forse, al Bar Sport quando si è alzato troppo il gomito. Se si guida il governo di una democrazia costituzionale non ci si dovrebbe lasciare andare al manganello.
«La musica è cambiata», «tiro dritto» e «me ne frego». Senza dimenticare i beneamati «gufi». Quest’uomo fu qualche mese fa liquidato come un cafoncello dal direttore del più paludato quotidiano italiano. Quest’ultimo dovette poi prontamente sloggiare dal suo ufficio, a dimostrazione che il personaggio non è uno sprovveduto. Sin qui gli scontri decisivi li ha vinti, e non sarebbe superfluo capire sino in fondo perché. Ma la cafoneria resta tutta. E si accompagna alla scelta consapevole di selezionare un uditorio di facinorosi, di frustrati, di smaniosi di vincere con qualsiasi mezzo — magari vendendosi e svendendosi nelle aule parlamentari.
Secondo un’idea della società che celebra gli spiriti animali e ripudia i vincoli arcaici della giustizia, dell’equità, della solidarietà.
Di fatto il tono si fa sempre più arrogante, autoritario, ducesco. Gli altri debbono, lui decide. Ne sa qualcosa il presidente del Senato, trattato in questi giorni come quantità trascurabile. E qualcosa dovrebbe saperne anche il presidente della Repubblica, che evidentemente ha altro a cui pensare, visto che non ha fatto una piega — un silenzio fragoroso — quando Renzi ha minacciato di chiudere il Senato e trasformarne la sede in un museo — per fortuna non più in «un bivacco di manipoli». E forse proprio qui sta il punto, ciò che non permette di liberarsi di questo fastidioso rumore di fondo.
Questa ennesima villania non aggiunge granché a quanto sapevamo già dell’inquilino di palazzo Chigi, del suo profilo, del suo, diciamo, stile. Dice invece qualcosa di nuovo e d’importante su noi tutti, che ci stiamo assuefacendo, che ci disinteressiamo, che registriamo e accettiamo come normale amministrazione una volgarità e una violenza che dovrebbero destare allarme e forse scandalizzare. Tanto più che non si tratta, almeno formalmente, del capo di una destra nerboruta.
Nessuno ha protestato, nessuno ha reagito: men che meno, ovviamente, gli esponenti della «sinistra interna» del Pd […]. Quest’ultima aggressione si armonizza appieno con la «musica» che questo governo suona da quando si è insediato. Ma la forma è sostanza, soprattutto in politica. E il sovrappiù di aggressività e di volgarità che la contraddistingue stupisce non sia stato nemmeno rilevato.
Evidentemente ci va bene essere governati da uno che — al netto delle sue scelte, sempre a favore di chi ha e può più degli altri — non sa aprir bocca senza minacciare insultare sfottere ridicolizzare.
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L’intero articolo si può leggere sul manifesto.
17 commenti
agbiuso
Il tempo stavolta è finito davvero
di Michele Prospero
il manifesto, 3.9.2016
Il governo somiglia a un club di sciamani. Evoca in suo soccorso forze misteriose per arginare la presenza del male (il terribile zero) che non sa come affrontare con politiche efficaci. Il ministero dell’economia, con le sue danze propiziatorie, gioca con i numeri e anticipa una crescita inesistente. Tocca all’Istat rimettere le cifre in ordine e confermare, nei giorni di Cernobbio, che la ricetta del governo dei bonus è miseramente fallita. Dopo «63 governi dormienti» Renzi si vantava di aver restituito velocità, vigore, ottimismo. Rivendicava persino un ritrovato contatto con la felicità. «Quando attaccano Happy days non lo fanno perché si sentono lontano da Fonzie, ma perché si sentono lontani dalla felicità», diceva Renzi. E però, dopo tre anni di potere vissuti secondo l’hashtag «Italia col segno più», i numeri sgonfiano un chiacchiericcio che produce ormai più irritazione che consenso.
Sebbene abbiano una grande pazienza, i nudi fatti, a un certo punto, si infastidiscono dinanzi a una overdose di comunicazione deviante per la quale la realtà è solo un fastidio e «il vittimismo è un ostacolo alla crescita». Strattonati, i fatti reagiscono alla dittatura dell’ottimismo per decreto.
Senza opposizione e controllo, il governo riesce nell’impresa di affondarsi da solo, con l’incontinenza del suo cinguettio infinito che opera nel mondo del presso a poco. Le sue metafore, spacciate per fascinosa ipermodernità, cominciano a stufare anche i più distratti consumatori di spot che si infastidiscono dinanzi alla strafottenza del governo via tweet («si scrive legge di stabilità, si pronuncia legge di fiducia»). Il pubblico, sebbene indotto dai media alla passività, avverte che la narrazione delle «buone notizie» non corrisponde al vissuto reale. E per questo sente una crescente avversione per un potere che, anche dinanzi alle tragedie, gioca alla fabbricazione di pure trovate linguistiche, come Casa Italia, o in mezzo alle macerie pensa alla prenotazione di incontri mitici con archistar.
Una forma espressiva ricorrente della retorica renziana è quella che scandisce «è finito il tempo». L’intenzione del potere è di rimarcare l’eccezionale portata innovativa del governo del fare. Ogni campo sfiorato dalla mano magica dello statista gigliato diventa incredibilmente fertile. Una svolta epocale si registra ovunque il novello uomo del destino abbia deciso di intervenire, naturalmente con la sua proverbiale velocità di pensiero ed energia corporale.
E, in effetti, qualcosa di epocale nell’azione di governo c’è. Ma non è quella raccontata dalla narrazione («La Quaresima è finita», fantasticava un titolo di Repubblica), che viene trasmessa a media unificati: è o no l’Italia negli ultimi posti nella classifica mondiale della libertà di informazione? Il tempo è finito in senso letterale perché, per la prima volta, si inverte un ciclo storico lungo che ampliava le aspettative di vita. La spesa pubblica per la sanità, e per la prevenzione delle malattie, registra negli ultimi anni un decremento significativo, con conseguenze inevitabili sulla qualità della vita. Mentre il triangolo dell’Etruria dedicava un triennio dell’attività parlamentare per escogitare misure forzate utili a prolungare artificialmente la durata delle legislature e prefigurare gli esiti delle elezioni, la vita delle persone si contraeva senza rimedio. Un nesso tra fuga del pubblico e insicurezza si avvertiva anche nei rapporti di lavoro, abbandonati alla deregolazione della volontà padronale chiamata Jobs Act.
Anche qui «è finito il tempo» della costante contrazione delle morti bianche. E dopo 15 anni di regolare diminuzione, nel 2015 le morti sul lavoro crescono di oltre il 16,5%. Sarà che l’Italia riparte (o come si esprime la ministra Boschi «ha riavviato i motori»), ma per 1.172 lavoratori il tempo è finito per sempre nel dannato 2015.
È «finito il tempo» in cui cresceva la propensione allo studio. Dieci anni fa 73 diplomati su 100 si iscrivevano all’università. Oggi solo 49 su 100 sfidano lo scetticismo del ministro Poletti sul valore dello studio, soprattutto quello che si chiude con lode. Con il 23% di giovani con laurea (metà dei francesi) l’Italia è alla coda dei paesi europei nella scolarizzazione, altro che fandonie sulla generazione Erasmus.
Il governo ora invoca la flessibilità nei bilanci («i soldi me li prendo. Punto»), ma lo fa per distribuire bonus elettoralistici, per trasferire gli scarsi fondi pubblici alle imprese (decontribuzioni, tagli Irap: «Ancora sgravi per chi assume, meno di prima però, affrettarsi prego»), togliendoli ai servizi collettivi e alle politiche industriali. Oltre che inique (niente Tasi per tutti) e antisociali (nessun bonus agli incapienti), le politiche populistiche dell’esecutivo (un neolaurismo che ha appreso le fresche tecniche del marketing pubblicitario) sono del tutto inefficaci.
Mentre l’Europa dichiara guerra alle miliardarie evasioni fiscali del colosso americano dell’informatica, Renzi suole farsi riprendere a palazzo Chigi con una mela, che non è quella che sollecitava la curiosità di Newton («Sono stato denunciato da una associazione consumatori perché uso il Mac e dicono che faccio pubblicità occulta. Ragazzi, una camomillina, una tisana e passa la paura»). Quali sono le potenze che sostengono questo ceto politico della piccola borghesia toscana che dalle rive dell’Arno si accasa nella capitale e che prima sfrecciava con la bici e poi vola con il nuovissimo sup-jet?
All’ombra del Credito fiorentino e di Banca Etruria, dei consigli di amministrazione delle filiali locali, è nato il temibile potere costituente del partito della nazione che, con appoggi massicci e coperture illimitate, pone le basi della terza repubblica. Una palude di scambi, intrighi, ambizioni che accumula influenza nei giornali, nelle società controllate e partecipate, nella Tv e però ha un fondamentale difetto: abile nell’uso delle slide, non sa governare. L’improbabile timoniere annuncia che «l’Italia prosegue la lunga marcia». Verso la catastrofe.
agbiuso
Girodivite.it, Cronache dalla Festa nazionale dell’Unità di Catania: “Cacciamo Renzi e tutta la cricca“.
agbiuso
La ‘Costituzione più bella del mondo’ ne uscirebbe sfregiata, distrutta.
Giorgio Cremaschi: Il referendum costituzionale è popolo contro banche
agbiuso
Lo stile dell’amico di Renzi e del suo Partito Democratico.
da Newspedia, 25.7.2016
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“Turchia: mandato d’arresto per 42 giornalisti, colpevoli – secondo Erdogan – di essere sostenitori di Fethullah Gulen, colpevole – sempre secondo Erdogan – di essere l’ispiratore del colpo di Stato in Turchia.
Roba da rabbrividire, specialmente se consideriamo che avviene alle porte dell’Europa, in un Paese che vorrebbe anche entrarne a far parte.
Vi ricordate come Matteo Renzi ha commentato il mancato golpe in Turchia? Ve lo ricordiamo noi: “La preoccupazione per una situazione fuori controllo in un partner Nato come la Turchia oggi lascia spazio al prevalere della stabilita’ e delle istituzioni democratiche”.
Stabilità? Istituzione democratiche? Se questa è l’idea di Renzi di stabilità e di democrazia (che è sempre “la strada maestra”, precisa l’ex sindaco) siamo proprio conciati per le feste: la repressione in corso in Turchia è di ferocia formidabile e l’arresto di questi 42 giornalisti è solo la “ciliegina sulla torta” di un’epurazione colossale, che ha coinvolto migliaia di persone fra professori universitari, magistrati, militari e persino imam.
Turchia: dopo il tentato golpe subito da (o realizzato da?) Erdogan, tutto è concesso. Diritti umani sospesi, Europa nei fatti indifferente
E la reazione della civilissima Europa, di fronte a uno scenario staliniano di questa portata qual è? Niente più che un formale scuotimento di testa, qualche chiacchiera per esprimere un vago dissenso e niente più: la Turchia ci serve per fare da filtro al flusso di immigrati, quindi se vengono violati i più elementari diritti umani ci tappiamo occhi e orecchie e voltiamo la testa.
Un precedente pericolosissimo, vista anche la natura sospetta del golpe, secondo diverse voci critiche organizzato (o non contrastato) dallo stesso Erdogan: nei paesi d’Europa basterà simulare un golpe della durata di qualche ora per rendere legittima ogni sorta di rappresaglia, facendo fuori i soggetti “anticipatici” al governante di turno, già inseriti da tempo nella black list governativa?
Gli pseudo-golpe diventeranno un sistema per bloccare l’ascesa delle forze politiche cosiddette “populiste” o comunque non in linea con il Vangelo neoliberista di Ue, Bce e Fmi? In Europa diventerà normale aver paura di dire quello che si pensa e, magari, essere arrestati per aver scritto un post come quello che state leggendo ora?”
agbiuso
Il baro Renzi gioca a carte truccate con la Costituzione: ora vuole rimandare il referendum!
di Giorgio Cremaschi
È notizia di queste ore che Matteo Renzi vorrebbe rinviare al 6 novembre il Referendum sulla sua controriforma della Costituzione. Inizialmente, quando faceva il gradasso, il presidente del consiglio aveva parlato del 2 ottobre come data probabile del voto. Poi, dopo la batosta alle amministrative, aveva detto che in base alla legge la consultazione avrebbe dovuto svolgersi tra il 2 e il 30 ottobre. Ora la legge non c’è più e si andrebbe a novembre. Queste scandalose cialtronerie istituzionali sono il segno di un regime che, per la paura di essere travolto, ha perso anche la parvenza delle regole. Del resto già la controriforma era stata approvata con una miriade di voti di fiducia, da una maggioranza di fedeli in un parlamento di nominati dichiarato incostituzionale.
Marcia la controrinforma, marcio il modo di approvarla, ora il marcio tocca anche le procedure di voto dei cittadini Se in Italia ci fosse un Presidente della Repubblica con un minimo di senso della carica, non avremmo questo ridicolo gioco delle tre carte sul voto. Invece Sergio Mattarella ubbisce, nell’ordine gerarchico verso l’alto, a Renzi, a Napolitano, ai poteri europei che hanno espresso preoccupazione per l'esito del referendum. Per cui il presidente della repubblica si presta a questa scandalosa sceneggiata, fatta solo per allontanare più gente possibile dal voto nella speranza che, meno siano coloro che andranno alle urne, maggiori siano le possibilità di vittoria del SÌ.
Una partita a carte truccate giocata da un baro che prima ha lanciato il referendum come plebiscito sulla sua luminosa figura, poi ora sta cercando di rinviare, anzi di nascondere, tutto. Magari nella speranza di poter un giorno dire a reti unificate: Non ve ne siete accorti, il referendum c’è stato e l’ho vinto io.
D’altra parte la controriforma della Costituzione è stata voluta dalle banche e dal sistema di potere della UE, che come si è visto con la Brexit , sono incompatibili con la democrazia. Ora che sentono che il popolo italiano potrebbe mandare a quel paese la loro legge, i poteri europei suggeriscono Renzi prudenza e rinvio, rinvio e prudenza. Tra bari ci si intende sempre.
Dovremo mobilitarci e scendere in piazza per poter votare NO il prima possibile e quindi mandare a casa Renzi. Che a quel punto smentirà di aver mai pensato alle dimissioni. Via il regime dei bari.
agbiuso
Quando capirà la ‘sinistra’ d’establishment che Renzi è l’apoteosi del berlusconismo?
di Paolo Flores d’Arcais
Parola di Renzi: “è stato un voto per il cambiamento, dunque dobbiamo accelerare con le nostre riforme”. Roba da matti! Nemmeno un dadaista in piena forma avrebbe potuto creare un “non sequitur” talmente ciclopico.
Riflettiamo appena appena (anche Renzi può arrivarci, magari con la sollecitazione di Filippo Sensi): il voto al M5S è stato effettivamente e ovviamente un voto per il cambiamento. Ma rispetto a cosa e a chi? Rispetto alla morta gora del “ventennio che non passa”, cioè l’impasto di berlusconismo a destra e inciucio a “sinistra”. Mentre le “riforme” di Renzi costituiscono esattamente l’inveramento e il compimento del progetto di regime berlusconiano, delle controriforme del pregiudicato di Arcore, in gran parte fermate per anni dalle lotte della società civile.
Jobs Act, riforma Rai, aggressione sistematica all’indipendenza della magistratura e edulcoramento di ogni legge anticorruzione a antimafia, leggi bavaglio, e infine controriforma costituzionale, sono berlusconismo puro. È il segreto di Pulcinella, lo ha ripetuto in forma schietta e comprensibile perfino a Serracchiani e Guerini una Pci>Ds>Pd inossidabile, ma alla fine disgustata e perciò lucida, Sabrina Ferilli.
Resta invece sbalorditivo che una verità così lapalissiana e confortata da ogni riscontro empirico (basta fare il confronto fra le leggi e i progetti dell’epoca di Arcore e di quella di Rignano) stenti ancora a farsi strada nelle sinapsi di noti e per definizione autorevoli commentatori, editorialisti e intellettuali della “sinistra” d’establishment. I quali continuano a propinare in articolesse e talk show labirintiche spiegazioni in contraddizione l’una con l’altra (e spesso con se stessa), quasi che decifrare l’evidenza del perché della sconfitta di Renzi sia arduo come la stele di Rosetta prima di Champollion.
Nulla di più patetico e irrealistico, perciò, degli ammonimenti che qualcuno rivolge a Renzi di cambiare atteggiamento: ricordano quelli ancor più ridicoli rivolti a Berlusconi per vent’anni di realizzare davvero una “rivoluzione liberale” (che sarebbe cosa gobettiana!) anziché far ruotare l’intera politica attorno ai propri interessi privati.
Renzi, a differenza di Berlusconi e dunque più radicatamente di Berlusconi, è berlusconiano per convinzione profonda, anzi, come abbiamo scritto prima ancora che andasse al governo, è berlusconiano e soprattutto marchionnista, crede davvero che modernità siano i manager che guadagnano mille volte il salario di un operaio, e che l’impegno per una crescente eguaglianza sia novecentesco o addirittura ottocentesco.
Per questo non c’entra nulla con la sinistra, né moderna, né futura né passata. E’ un democristiano mannaro ovviamente diventato berlusconiano, che per furbizia tattica ha trovato in un Pd in disarmo e avvitamento da inciucio (Veltroni D’Alema e Bersani sono i “produttori” di Renzi, anche se ora lo detestano) il terreno ideale per una “scalata” che nella destra di Berlusconi gli sarebbe restata preclusa.
Renzi non è affatto un rottamatore del sistema del privilegio, della Casta e delle cricche, dell’intreccio politico-affaristico con propaggini criminali che fa il bello e il cattivo tempo in Italia in modo crescente da un quarto di secolo. Ne costituisce l’apoteosi: ha rottamato cricche ormai obsolete con la sua Nuova Cricca, tutto qui.
Il referendum di ottobre sarà perciò lo scontro tra queste due Italie: l’establishment del privilegio e le lotte e le speranze dei girotondi, dell’antimafia, delle piazze contro il bavaglio, del “vaffa” di Grillo che ha saputo diventare forza politica di radicale cambiamento (con contraddizioni che non abbiamo mai nascosto e cui continueremo a non mettere la sordina, ma con una lungimiranza e lucidità nel giudicare l’intero ceto politico che avevamo sottovalutato grandemente e che a noi talvolta sono mancate).
Gli aedi del renzismo inviteranno al Sì dicendo che il No significa Berlusconi e Salvini anziché Zagrebelsky e Appendino, Raggi e Rodotà, e il meglio del costituzionalismo, e la meglio gioventù, e chi non si piega a rottamare la Costituzione nata dalla Resistenza ma vuole invece realizzarla pienamente (unica prospettiva politica davvero moderna e innovativa).
Non è così: i Salvini e Berlusconi concioneranno per il No, ma solo “pro domo”, per concorrenza con Renzi non per alternativa. E se Renzi sarà sconfitto il futuro a loro sarà precluso, checché si illudano in contrario e checché cerchino di spacciare gli opinionisti d’ordinanza. Il futuro – se a ottobre vince il No – toccherà alla forze che vogliono più giustizia e più libertà, e che oggi come oggi hanno nel M5S il loro cruciale vettore.
(22 giugno 2016)
agbiuso
Matteo Renzi è in Russia. Restaci. In Italia è iniziato il tuo declino.
agbiuso
La ministra Boschi e il suo capo Renzi si pongono ormai al di fuori di ogni sensibilità storica e decenza politica.
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Anpi,Bersani: Boschi come si permette?
Televideo 22/05/2016 17:45
17.45 E’ polemica per le parole della ministra Boschi sull’Anpi, “i partigiani veri voteranno sì al referendum”, pronunciate nell’intervista a”in 1/2 ora”. “Come si permette, di distinguere tra partigiani veri e partigiani finti? Chi si crede di essere? Siamo forse già arrivati a un governo che fa la supervisione dell’Anpi? E’ evidente che siamo a una gestione politica sconsiderata e avventurista”.Così Bersani su facebook. “Come se anche l’Anpi fosse un covo di gufi.Perdere la memoria significa perdere anche la misura”twitta Scotto,Si.
agbiuso
Dichiarazione di voto contrario sulla Legge costituzionale da parte di Walter Tocci, senatore del Partito Democratico.
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Ho fatto un sogno costituzionale
di Walter Tocci
Riporto di seguito il testo della mia dichiarazione di voto contrario alla legge di revisione costituzionale, pronunciata in Senato oggi, 13 Ottobre 2015.
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Signor presidente, ho fatto un sogno, mi consenta di raccontarlo. Ho sognato che veniva qui Matteo Renzi, come segretario del partito di maggioranza relativa, non come capo del governo, e proponeva una semplice riforma: eliminazione del Senato, dimezzamento del numero dei deputati e riduzione del numero delle Regioni.
Nel sogno, il Parlamento ne discuteva in spirito costituente e apportava due condizioni: 1) legge elettorale basata sui collegi uninominali per consentire agli elettori di guardare in faccia gli eletti; 2) garanzia di maggioranze qualificate nella legislazione sui diritti, le regole, l’informazione, la giustizia, l’etica, la guerra. Il risultato era limpido: un governo in grado di attuare il programma, più un Parlamento autorevole, uguale una democrazia italiana finalmente matura.
Fine del sogno – non è andata così, anzi: il Senato ridotto a “dopolavoro” del ceto politico locale; la sottrazione di poteri alle Regioni in cambio di scranni senatoriali; la conservazione dei 630 deputati, il numero più alto in Europa – almeno per decenza togliete la parola riduzione dal titolo di questa legge.
Avete scritto un testo costituzionale arzigogolato come un regolamento di condominio. La confusione non è casuale. Si è fatto credere che si discuta di bicameralismo e Italicum, ma la combinazione modifica la forma di governo senza neppure dirlo. Oggi si instaura in Italia un premierato assoluto senza contrappesi e senza paragoni nelle democrazie occidentali. Un demagogo minoritario con meno di un quarto dei voti degli aventi diritto può conquistare il banco, comandare sui parlamentari che ha nominato e disporre a suo piacimento delle leggi fondamentali. Nessuno strumento istituzionale potrebbe fermarlo, neppure l’elettività di un Senato sei volte più piccolo della Camera. È una decisione poco saggia. Si è detto che le Costituzioni servono a prevenire i momenti di ubriachezza, purtroppo non sono mancati nella storia nazionale, anche recente.
Viene a compimento un inganno trentennale. La classe politica di destra e di sinistra ha nascosto la propria incapacità di governo attribuendone la colpa alle istituzioni. Ha surrogato la perdita dei voti con i premi di maggioranza, provocando ulteriore distacco dalle urne. Il governo maggioritario nella democrazia minoritaria ha accentuato la crisi italiana. Il premierato assoluto – in nuce lo abbiamo già visto – è un’illusione numerica, non governa il Paese reale perché rinuncia a rappresentarlo e a comprenderlo nelle sue differenze.
I giovani politici seguono le orme dei vecchi politici. Ripetono l’errore di cambiare la Carta a colpi di maggioranza. Scopiazzano le sedicenti riforme del secolo passato invece di immaginare l’avvenire della Repubblica.
Dedico il mio voto contrario ai futuri riformatori della Costituzione, a quelli che non abbiamo ancora conosciuto.
agbiuso
Editoriale di Alberto Burgio sul manifesto del 10.10.2015, a proposito del “cuore nero del governo” Renzi-Verdini, il governo di Licio Gelli e della P2.
Il Partito Democratico sancisce la legittimità delle mafie nel governo dello Stato, il Partito Democratico è esso stesso parte di queste mafie.
diego
Guarda, caro Alberto, che il problema stia nel Partito Democratico non ci piove.
Mentre ero intento a fare il «badante» un mattino ho visto un servizio televisivo su una questione di rifiuti e malaffare a Misterbianco, e c’era da un lato ex militanti del PD schifati da quel che accadeva e dall’altro nuovi iscritti provenienti dagli ambienti legati all’affare discarica, gente che saliva sul carro PD perchè è il carro giusto.
Uno spettacolo tristissimo.
agbiuso
Caro Diego, anche da studioso di storia, ti dico che non mi convincono le spiegazioni personalistiche. Napoleone Bonaparte fu tale perché -al di là degli elementi caratteriali della sua persona- ci furono centinaia di migliaia di soggetti a sostenerlo. Lo stesso vale per ogni altro cosiddetto “grand’uomo” (compresi Stalin e Hitler).
Il problema non è dunque Matteo Renzi ma il brodo di coltura che lo ha generato. Il problema è il Partito Democratico, la sua profonda corruzione, il suo irredimibile tradimento di un progetto di società più giusta, la sua infame complicità con la malavita.
pasquale
Ti dirò Alberto che preferirei essere meno perennis e più lasciato in pace. Credo che te quanto me, quanto i nostri fortunati e pochi lettori, tutti si sia nella condizione di vivere disturbati da un continuo fischio nelle orecchie, un tinnitus che ritorna e rintrona dal congresso socialastro di Palermo in poi. C’è dello stoicismo in noi per resistere così bene, nonostante il tutto. Ciò sarà dovuto al fatto che siamo disarmati e gli armati ch’anco tardi a venir, non saranno peggio di coloro, e nemmeno meglio. Grazie carissimo.
diegod56
Come sempre interessante e originale il taglio del grande Pasquale. Ricordo bene il film di Virzì. Oggi, in effetti, è tutto ancor più complicato. Quando c’era il satrapo di Arcore erano ben definiti due mondi, due modi di intendere la società. Oggi c’è un magma più confuso, ribollono risentimenti (praticamente tutti, salvo Camusso che ha detto il minimo sindacale al riguardo, hanno disprezzato dal profondo dell’anima i custodi del Colosseo e visto nel ministro adirato un novello San Giorgio contro il drago delle nicchie corporative). Il fiorentino è molto furbo e fortunato, la ripresa economica che si intravvede (acqua sulla sete di lavoro che c’è) è dovuta a fattori esterni e alla genuflessione al modello liberista, ma lui è un’abile e convincente mosca cocchiera. Starà in sella a lungo.
agbiuso
La tua descrizione, Pasquale, dell’antropologia degli stolti piddini e del loro guru, duce, santo, padrone, è magnifica.
In poche righe indichi la piaga purulenta, la feccia traditrice, il corpo deforme devastato dal virus berlusconiano, l’organismo leucemico che nella sua agonia sta uccidendo l’Italia.
Verso Berlusconi e i suoi osannanti nutrivo solo disprezzo, verso Renzi e i suoi osannanti provo anche schifo.
Uno schifo che le tue parole scolpiscono, aere perennius.
pasquale
Sono andato qualche giorno fa a Giulino di Mezzagra. Il sito della fucilazione è segnalato da un’indicazione vaga, sito storico, historical site, e più oltre, lungo il celebre muricciolo con cancello, da una targa dell’ANPI e da una croce nera di cattiva fattura con il nome del capo inciso in un carattere approssimativo, bianco ( omaggio dei nostalgici, credo, nostalgici del brutto e del bruto): Benito Mussolini, 28.10.1945.
In un film di Virzì, Ferie d’Agosto, si confrontano e affrontano due gruppi umani, di mercanti arricchiti i primi, tutti gadget, motoscafo e tacchi a spillo, di reddito fisso i secondi, tutti canne, fasci di giornali sotto braccio, lesbiche in leva volontaria e canti corali. I due gruppi non si distinguono: li accumuna la posizione sopra le righe, giustificata dall’estate, dei motori, delle camicie aperte sul petto, dal vino e dalle chitarre a notte fonda. Gli uni rappresenta(va)no a spanne e alla fine delle illusioni politiche, gli elettori del cavalcatore di Arcore, gli altri della, a volte nominata galassia, di sinistra; ridotta per comodo a una sigla che mi confonde e insulta: p.d.
Massimo comune divisore dei due gruppi una visione acefala del mondo, declinata dalle proprie ferree convinzioni, filistea e, sì, cafona, termine che alla fin fine individua i vicini di casa inopportuni solo perchè allegri, i ragazzi che festeggiano qualcosa a caso in trattoria e urlano evviva, quelli che mettono i piedi sul sedile in treno e non capiscono che il sedile è bene comune, quelli che nei gabinetti e non solo pisciano fuori dal vaso. Quel Renzi è uno di quelli; chiamarlo cafone, arrogante, etc. è fargli onore. Rappresenta piuttosto la saldatura tra diverse correnti di una sola leva antropologica italiana, di borgatari dell’anima, ben individuata da Pasolini, palazzinari a Punta Ala, consulenti bancari, quarantenni ( preconizzati con orrore come categoria morale dal Montanelli) orfana di una zolla misconosciuta, di un tornio ripudiato. Tutti, in sintesi finale, Piccoli Cesari, o meglio Cesaroni. Stracciaculi in gessato. Famolo strano dev’essere il motto della casata dei Renzi. Vous m’en direz des nouvelles.
Pas.
marina
Essendo nata dopo che il fascismo era già caduto (da poco), mi sono sempre chiesta come doveva essere stato (frustrante, desolante, amaro, terrificante…) assistere alla sua ascesa. Adesso, purtroppo, ho sotto gli occhi lo stesso spaventoso progetto che si sta realizzando giorno per giorno, a pezzo a pezzo, nella stessa indifferenza generale che deve avere caratterizzato “quell’altro”, ma senza neppure la ribellione della sparuta minoranza che allora si oppose. Non c’è più neppure un più Matteotti, uno solo, in questa classe politica da caduta dell’impero romano.