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Internet / Postumano

Internet / Postumano

From Internet to Posthuman
(liberamente leggibile in pdf)
in Rivista Internazionale di Filosofia e Psicologia
Anno 6 – Numero 2/2015
pp. 305-310

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Abstract

La natura sociale e interattiva dell’essere umano ha generato strutture politiche, etiche, tecnologiche assai diverse tra di loro. Internet è una di esse. La comprensione della funzione, delle potenzialità e dei rischi del World Wide Web ha bisogno certamente di paradigmi sociologici, psicologici e cognitivi ma ha bisogno anche e soprattutto di uno sguardo teoretico radicale su quanto di umano e postumano abiti e si muova nella Rete e nei suoi dispositivi.

3 commenti

  • agbiuso

    Ottobre 21, 2015

    L’ibridazione è la costitutiva apertura dell’umano all’alterità, al diverso da sé, senza il quale non potremmo neppure concepire la nostra specie, la sua storia evolutiva, la sua relazionalità tecnica.
    L’antroposfera è sempre dipesa dal rapporto con gli altri animali (la teriosfera), con la tecnologia (la tecnosfera), con il sacro (la teosfera).
    Dato che la corporeità è il modo umano di stare al mondo, l’ibridazione della specie umana con gli artefatti da essa prodotti è antica quanto l’umanità stessa e se siamo ancora qui, pur non essendo stati dotati dalla natura di arti per volare, correre veloci, abbattere con un sol colpo la preda, lo si deve in gran parte alla intrinseca tecnicità dell’Homo sapiens.
    Incubo per alcuni o speranza mistica per altri, non saranno comunque le macchine a diventare intelligenti ed è invece assai più probabile che saranno gli umani a trasformarsi o, se si preferisce, a evolversi, in intelligenze ancora più raffinate, potenti, sintetiche. Con ibridazione intendo dunque la connessione del corpo umano con elementi e strutture tecnologiche.

    Anche di questo discuterò al Colloquio di Ricerca che si svolgerà in Dipartimento a fine mese. E di questo ho parlato in almeno due dei miei libri: Cyborgsofia e La mente temporale, ai quali non posso che rinviarla per una risposta più articolata.
    Grazie a lei per aver letto il saggio e avermi sottoposto il suo commento.

  • Emilio Sanfilippo

    Ottobre 21, 2015

    Ho letto recentemente un articolo di Floridi, breve e anche ironico, in cui si discute di certi limiti dell’IA riguardo lo sviluppo di “macchine intelligenti” (Floridi 2015). La critica è diversa rispetto quella proposta nel suo articolo e riprende certe discussioni “tipiche” riguardo le macchine di Turing.

    C’è però da dire che molti scienziati (ad es. Kevin Warwick, link sotto) che oggi si occupano di IA e lavorano allo sviluppo di “macchine intelligenti” tracciano una distinzione netta tra intelligenza umana e “intelligenza meccanica”. La seconda è intesa come una potente capacità di calcolo (logico-matematico) per l’esecuzione di procedure complesse (ad es. diagnosticare il cancro ad un paziente dall’analisi del suo quadro clinico), che solo un umano esperto (un medico in questo caso) potrebbe eseguire. L’intelligenza meccanica, pertanto, non avrebbe niente a che fare con la capacità umana di amare una persona, o soffrire per la scomparsa di qualcuno.

    A proposito di quello che lei sostiene nell’articolo, se ho ben capito i limiti delle “macchine intelligenti” sono da imputare alla mancaza di corpo (inteso come corpo umano) da parte delle macchine stesse. Per certi versi Turing stesso fece una considerazione molto simile e a tal proposito mi permetto di segnalarle alcune mie brevi considerazioni (link sotto). Anzi, l’idea che ci sia una distinzione marcata tra intelligenza umana e meccanica è proprio di Turing.

    Non mi è molto chiaro il concetto di ibridazione. Chiaramente siamo immersi nell’ambiente naturale, sociale e tecnologico. In che senso, però, dipendiamo dagli artefatti [“we depend on machines as much as machines depend on us”]? (dico “artefatti” come generalizzazione di “machines”) Dal mio punto di vista un conto è sostenere che senza alcuni artefatti sarebbe difficile l’esecuzione di certe azioni (senza bastoni, mettiamo, non potremmo cacciare), altra è sostenere che dipendiamo esistenzialmente (ontologicamente) dagli artefatti stessi. Siamo degli “ibridi” (non so se il termine è corretto) perché non possiamo vivere sconnessi dall’ambiente e perché l’ambiente ci “plasma”? Se così fosse, ho l’impressione che il concetto di ibridazione rischi di essere sterile ma sicuramente non ben inteso.

    Cari saluti e grazie per lo stimolo.

    ——

    — Floridi, Singularitarians, AItheists, and Why the Problem with Artificial Intelligence is H.A.L. (Humanity At Large), not HAL

    — Sanfilippo, recensione: http://www.filosoficamente.org/?p=143

    — Warwick presentazione a AI*IA 2015: http://aixia2015.unife.it/wp-content/uploads/slides/invited/Warwick-Turing%E2%80%99s_Imitation_Game.pdf

  • susannavalle

    Settembre 16, 2015

    George Orwell, insomma si invoca il grande fratello che solo l’web ci può garantire. chi sono gli Hacking,Forse dopo l’epoca del romanticismo,dell’illuminismo,del nichilismo,ora siamo in pieno webismo

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