Lo sguardo di…
Pavillon Unicredit – Milano
Sino al 30 agosto 2015
Scelti da dipendenti della banca proprietaria del Pavillon costruito nel quartiere Isola di Milano, si incontrano in felice mescolanza artisti di varia natura, stile, fama, intenzioni. Dal Cinquecento al presente sfilano arte sacra, astrattismo, fotografia, installazioni. Alcuni nomi più o meno a caso, tra i tanti presenti: Salvatore Rosa, Tintoretto, Mario Sironi, Gaetano Previati, Emil Nolde, Giorgio de Chirico, Massimo Campigli, Carlo Carrà, Felice Casorati, Alexander Wolff, Andy Warhol, Sam Francis -policromo e fremente il suo Erotic arabesque (1987) che qui pubblico-, Antonio Donghi, Gabriele Basilico, Francesca Rivetti, Mimmo Jodice, Luigi Ghirri, Michelangelo Pistoletto. Di quest’ultimo è esposta Embrace Differences, un’opera del 2005 nella quale un’Europa grigia viene attraversata da linee di colore che disegnano confini mobili, confini culturali, confini della mente e non delle armi o del denaro.
Differenza è quello che l’Europa dovrebbe essere, quello che l’Europa è, come testimoniano anche le opere qui esposte, nella molteplicità eppure nella forte identità che l’arte del nostro Continente possiede. Abbracciare le differenze e la Differenza, al di là di ogni pretesa di egemonia e di uniformità, da qualunque parte venga. Questo è l’Europa, questo è il suo pensiero.
6 commenti
pasquale
Faccio mie e intensifico alcune considerazioni di Manuel Vázquez Montalbán, scrittore di peso assimilato al suo gusto per la cucina e ormai negletto, sulla cultura del pan y tomate. E mi permetto di notare che là dove il disco semirigido di pasta cotta sia buona abitudine e antica di quell’alvo che da alvéo è diventato il Mediterraneo, solo… solo però in un caso, da mensa per sbrodolature di carnami o indifferenziati vari, esso è diventato sfondo, o, per così dire, tela per una composizione allettante di colori, sapori e nutrienti organizzati e in equilibrio perfetto tra loro: il rosso del pomodoro con il bianco del latte, l’acido e il dolce grasso, seminati del verde dell’erba, vitaminico basilico, sulla neutralità écru della pasta di pane rovente – lì sta la differenza tra la pizza e il rudimentale pan y tomate spagnuolo o le primitive pide turche, intrugliate con gola da orda migrante e non con il gusto blasé e pur miserabile del vesuviano. Nàpule, città che ha dimenticato questa rivelazione culturale per dedicarsi all fornicazione stolida con il male e con appetiti senza senso del proprio destino. Quando l’Isis condannerà la pizza, oh lo farà oh se lo farà chissà forse trovandone per caso il vero volto di dio, saranno in via definitiva gli ultimi giorni dell’umanità. Greca. Oìmoi.
c#er
un’Europa grigia viene attraversata da linee di colore che disegnano confini mobili, confini culturali, confini della mente e non delle armi o del denaro.
se non avessi la sana abitudine di leggere di tanto in tanto questo blog, sarei definitivamente un automa al servizio del PIL.
diegod56
finalmente ho conosciuto un altro essere umano (e di gran schiatta pensosa) che apprezza come me la fantasmagoria dei panni nell’oblò, restavo pomeriggi interi ad osservare, fino alla catarsi della centrifuga
la pizza è fondamentale, una vita non è che l’organizzarsi da una pizza all’altra, giacchè sono l’apparato gustativo e il secondo cervello intestino, il vero centro dell’umana vicenda
pasquale
@Diego,
Caro mio, ho solo risposto ad Alberto, sempre così implacabile nel disegnare il vero, riportando una frase di Heidegger che con poco racconta bene il molto e che compare nel suo reliquiario di pensieri, a sinistra della sua pagina. Trovo spesso pleonastico commentarle ma a volte è solo per non lasciare orfane di apporvazione le sue idee.
Quanto alla tua osservazione, nel suo svolgersi, non mi sento di contraddirla; forse di avvalorarla; non qui ma, se hai pazienza, con una nota che, guarda caso ho divisato ieri in marcia nella foresta della Val di Mello (Sondrio) e abborracciato ieri sera prima di addormentarmi. Se la riterrò pubblicabile la apposterò nella vedetta del mio blog. Non userò mai quella parolaccia che è postare.
Nello specifico, l’esempio della pizza non mi pare né contraddire Heidegger, una pizza avviene nella luce della nostra golosa fantasia prima che tra le mani e dal forno alchemico del pizzaiuolo; né mi pare rozzo; al contrario ha quella beata allegria che era di Nietzsche al meglio della sua vis polemica. E guarda caso della pizza ho appena tracciato un ritratto nel lavoro che sto scrivendo da gennaio.
Non mi porto ad esempio ma chi ti risponde ha un passato e un presente molto artigianale; scrivere è in sè artigianato o non è. Ma senti questa. Ai dì della mia a-tesi di laurea, la fantascienza e il cinema anglosassone, scrissi quasi di getto un preambolo sulla natura della fantasia in cui, per tuo divertimento, a parte i molti accostamenti ( far somiglianze??) tra quel fenomeno e altri, attinti dal catalogo della realtà domestica, ah ah, conludevo con un ardito paragone tra gli elementi che affollano il nostro fantasticare e un bucato colorato nell’oblò della lavatrice. Tutta la dissertazione andava avanti così e forse anche il nostro Alberto storcerebbe il naso oggi a tanto ardire in sede accademica. Non a torto peraltro. Bref: fui accusato di spiritualismo. Che mi poneva vicino a Bergson, tutto sommato non disdicevole ma, nel non detto, piuttosto relegava vicino a Blondel (ricordo lo sguardo di disgusto, forse motivato, del relatore, marxista pallido e dalle carni frolle, molto contra Nietzsche che io, da senza-dio genetico, allora citavo a schiovero dopo averlo letto tutto… sai le cose da ventenni) e molto molto lontano dal mio controrelatore Umberto Eco, allora all’apice della sua antipatia, con il quale incrociai le lame alla discussione e risultai perdente. Ovvio. Punito con un declassamento di punti invece che con quel donativo che le commissioni possono attuare quando ti manca niente al 110. Dunque, mi pare che siamo simili, benchè differenti. Pizzaiuoli. A me compete di diritto il ruolo, faccio da anni e anni il pane e ogni tipo di focacce: memento. Un caro saluto e aspettati qualche nota in più. Forse.
p.s. Ricordiamoci la carretta di vasi di ferro con l’unico vaso di coccio in mezzo. El nòster Lisànder era una mago del paragone d’artigianato. E ha fatto una discreta carriera. Eco non se lo ricorderà nessuno passato l’orgasmo dell’articulo mortis che presto o tardi…
diego
scusa caro pasquale, secondo te, che differenza c’è fra la somiglianza e la differenza? non sono forse due parole che descrivono lo stesso scarto, lo stesso «fuori registro» fra una cosa e tutto ciò che non lo è? prendiamo esempio dalla pizza: una pizza margherita è diversa da una pizza quattro stagioni; ebbene, c’è la differenza fra le due, utile a distinguerle quando la ordini al cameriere, ma c’è anche la somiglianza, sono simili perchè tutte due sono pizze; dunque, tutta questa faccenda è un gioco di linguaggio, ed è il linguaggio che ci legge la realtà e nel contempo rispecchia come è fatta la nostra mente, la realtà è un brodo per cui la nstra mente è a forma di cucchiaio
perdonami, sono un rozzo pensatore autarchico e artigianale
pasquale
Ci muoviamo sempre nella differenza che accade.