«Lettera aperta agli amici sonnambuli»
Così si intitola il testo che Marino Badiale e Fabrizio Tringali hanno pubblicato sul loro sito lo scorso 18 luglio. Ne condivido contenuti e intenzioni. E dunque lo riporto qui per intero. Spero che questa Lettera contribuisca a svegliare quanti si credono ancora ‘di sinistra’ dal sonno dell’Euro. Sonno che diventa sempre più un incubo per la società europea e per i suoi popoli. L’Europa progettata alla fine della Seconda guerra mondiale si è trasformata in una prigione della quale la troika finanziaria tiene le chiavi, con l’obiettivo di non permettere a nessuno -cittadini, politici, intellettuali- di pensare a un Continente unito dall’identità culturale e non da quella bancaria. Identità nella Differenza che l’Europa è sempre stata.
L’Euro è una moneta-garrota, la quale sta strangolando lentamente e ferocemente le economie. Dall’Euro bisogna uscire -anche a costo di sacrifici- per le ragioni delineate con sobria chiarezza da questo testo.
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È evidente a tutti che la fine drammatica dell’esperienza del governo Syriza è uno spartiacque. Essa infatti rappresenta la verifica concreta, l’experimentum crucis che decide se una strategia politica sia valida oppure no. Non è difficile, se si ha onestà intellettuale, trarne le necessarie conseguenze. Proviamo a farlo in questa lettera aperta. Gli “amici sonnambuli” ai quali è indirizzata sono le tante persone del mondo “antisistemico” che in questi anni hanno protestato contro le politiche autoritarie e di austerità dei ceti dominanti, rifiutando però di porre la questione politica dell’uscita dell’Italia dal sistema euro/UE. La proposta dell’uscita veniva tacciata in questi ambienti di “nazionalismo”, e contro di essa veniva evocata la necessità della lotta unitaria dei ceti popolari europei.
Speriamo che la triste vicenda greca serva almeno a favorire un’ampia presa di coscienza su quali siano i nodi politici reali da affrontare in questo momento storico, se non si vuole soccombere.
Cerchiamo di riassumere i punti fondamentali della questione.
1. Il sistema euro/UE è irriformabile.
La strategia di Tsipras era quella di lottare, all’interno del sistema euro/UE, per strappare un compromesso avanzato, che permettesse al suo governo di porre fine alle politiche di austerità. Questa strategia è stata completamente sconfitta, tanto da essere accantonata dal governo greco ben prima dell’indizione del referendum, il quale è stato convocato solo per ottenere dalle istituzioni europee una qualche disponibilità alla ristrutturazione del debito.
Non ha alcun senso, quindi, pensare di riproporre una simile strategia, perché non è possibile ottenere alcun allentamento dell’austerità all’interno del sistema dell’euro/UE.
Le ragioni sono molte e ne abbiamo scritto molte volte. Ci limitiamo qui a sottolineare il fatto che sarebbe estremamente ingenuo pensare che sia impossibile cambiare le politiche europee solo perché le forze di sinistra non hanno abbastanza potere. E che, quindi, una vittoria delle sinistre in paesi forti come la Germania consentirebbe di rendere possibile ciò che oggi non si riesce a fare. Per smentire questa tesi è sufficiente vedere quale è stato, in queste settimane, l’atteggiamento della SPD tedesca, così come quello di Martin Schultz.
Così come non esiste possibilità che le oligarchie europee cambino le loro politiche, allo stesso modo è impensabile che esse possano essere messe in discussione tramite lotte popolari europee, come continuano a ripetere i sonnambuli, che per continuare a sognare “l’Europa dei popoli” devono necessariamente tenere gli occhi chiusi davanti alla realtà.
Anche su questo, infatti, le recenti vicende greche hanno dato una risposto molto netta. Veniamo così al secondo punto.
2. Non c’è nessuna solidarietà fra i popoli europei.
Nella sua lotta disperata, Atene è rimasta sola. Non c’è stata negli altri paesi europei nessuna iniziativa di solidarietà con la Grecia che sia stata significativa, capace di incidere. Possiamo invece facilmente immaginare cosa sarebbe successo se i popoli dei paesi creditori avessero potuto esprimersi sulle condizioni da imporre alla Grecia.
Aspettarsi che i popoli europei, che nel corso di questa lunghissima crisi non hanno finora mai manifestato una capacità di azione comune, possano camminare insieme nel prossimo futuro, significa fare una irresponsabile scommessa sulla pelle dei popoli stessi.
Al contrario, grazie al sistema euro/UE, i ceti dominanti europei sono più uniti e coordinati di prima (pur nei loro ineliminabili conflitti reciproci). Cosicché essi riescono a concentrare una enorme “potenza di fuoco” (UE, BCE, FMI) contro il popolo del paese che di volta in volta è bersaglio (la Grecia, la Spagna, il Portogallo, l’Italia etc..) mentre quest’ultimo è solo, impotente.
Scegliere, come dicono i sonnambuli, il piano europeo come il piano della lotta, è un vero suicidio, perché su quel piano i popoli sono divisi e resteranno tali, mentre le oligarchie possono facilmente unire le forze. È soprattutto per questo che il progetto di un’Europa federale è da respingere, prima che per la sua difficoltà di realizzazione: perché se anche venisse realizzato, sarebbe non un sogno ma un incubo, l’incubo del dominio pieno delle oligarchie unificate su popoli divisi, deboli, costretti a cedere ai ricatti, come hanno dovuto cedere i greci.
Il piano della lotta deve quindi essere necessariamente quello nazionale. Questo non esclude affatto alleanze con le forze antisistemiche di altri paesi. Ma noi dobbiamo iniziare la nostra lotta in Italia, parlando al popolo italiano. Se e quando negli altri paesi si svilupperanno lotte analoghe, si cercherà di costruire collegamenti con esse.
3. L’inevitabile uscita dall’euro e dalla UE.
Nelle interviste rilasciate dopo il suo abbandono del governo, Varoufakis ha rivelato che una volta compreso che la strategia del governo non avrebbe condotto a nulla, aveva cominciato a progettare l’uscita dall’euro. Questo ci rivela alcune cose fondamentali.
La più importante è che l’uscita dall’euro sta nella logica della cose, se davvero si vuole lottare contro le oligarchie e il sistema euro/UE. Varoufakis aveva sempre dichiarato la sua opposizione al Grexit, ma, alla fine, la forza delle cose lo ha portato a porla come opzione. La realtà vince. Dalla posizione di governo, il ministro delle finanze greco ha visto che se si esclude a priori l’uscita dall’euro, ci si consegna mani e piedi alle oligarchie contro cui si combatte. La posizione di Tsipras, che si può riassumere con la frase “negoziamo, ma sia chiaro che noi non usciremo dall’euro” ha reso facilissimo alle istituzioni imporre qualunque cosa, sotto la minaccia, appunto, della cacciata dall’eurozona.
E’ chiaro quindi che se si vuole seriamente lottare contro le oligarchie e si decide di farlo provando a negoziare con esse, bisogna almeno avere pronto il piano B dell’uscita dall’euro. Ma questa considerazione non è senza conseguenze. Infatti l’uscita dall’euro non può essere un segreto, una specie di inganno: se ci si presenta alle elezioni pensando ad essa come ad una possibilità, gli elettori devono essere informati. Questo non per una astratta “moralità democratica”, di cui peraltro non neghiamo il valore, ma perché l’uscita dall’euro (e dalla UE), come abbiamo detto molte volte, non è la soluzione di tutti i problemi, è “solo” la “condicio sine qua non” per la riapertura della possibilità di una vera alternativa alle politiche attuali.
L’abbandono del mostro europeo comporterà prezzi da pagare. Decidere chi li paga, e come, è politica. Occorrerà decidere cosa fare della riacquistata libertà, verso quali obiettivi indirizzare la politica economica. E su questo si scontreranno le diverse forze politiche.
L’uscita dall’euro e dalla UE significa cioè l’inizio di una nuova fase di lotta politica. Le forze antisistemiche non avranno altra base cui poggiarsi che le masse popolari. Ma tali masse devono essere preparate, devono sapere cosa le aspetta. Devono sapere, se votano per forze antisistemiche, che il loro governo prevede l’uscita dall’euro e dalla UE, almeno come opzione B. Se non c’è questa coscienza, l’eventuale uscita potrebbe rappresentare un disastro, perché potrebbe addirittura essere vissuta come sconfitta o tradimento.
Queste considerazioni, che emergono con chiarezza dalla vicenda greca, ci confermano quello che in questi anni abbiamo sempre ripetuto: l’uscita dall’euro e dalla UE è una componente necessaria nel programma politico di una forza realmente antisistemica.
19 commenti
agbiuso
“80 miliardi spalmati fino al 2026 rappresentano uno “stimolo” pari all’incirca all’1 per cento del PIL all’anno, a fronte di un crollo del PIL che per il nostro paese si prospetta a doppia cifra (-15 per cento solo nel primo semestre del 2020 secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio) e di un tasso di crescita che rischia di tornare ai livelli pre-COVID solamente nel 2025.
[…]
Considerazioni politiche a parte, comunque, 127 miliardi spalmati su sei anni, anche se sommati agli 80 miliardi di trasferimenti (netti o meno), sono del tutto insufficienti ad arginare il collasso economico e sociale del nostro paese. Tanto per fare un esempio, il Regno Unito, che ha una popolazione pari a quella italiana, per far fronte alla pandemia e ai relativi danni economici, ha annunciato un deficit della stessa entità per il solo 2020-21. E ovviamente senza chiedere il permesso a nessuno.
[…]
Insomma, abbiamo sacrificato quel poco di democrazia che ci era rimasta in cambio di una manciata di miliardi che, se fossimo ancora un paese economicamente sovrano, non avremmo avuto nessun problema a mobilitare autonomamente (come stanno facendo buona parte dei paesi del mondo, inclusi diversi paesi emergenti e/o in via di sviluppo). E c’è chi la chiama una vittoria”
L’intero articolo qui: Recovery Fund: un MES all’ennesima potenza
di Thomas Fazi, la fionda, 22.7.2020
agbiuso
Un testo da leggere per capire che cosa sta succedendo e che cosa davvero significhino i ‘risultati’ ottenuti dal governo Conte a Bruxelles.
ECCO A VOI IL SUPER-MES
di Leonardo Mazzei, Sollevazione, 21.7.2020
Le conclusioni dell’articolo sono queste:
“Adesso fermiamoci qui che basta e avanza. Tra l’altro, seguire la tecnocrazia eurista nei sui contorcimenti, come nei sui sistematici imbrogli, è roba da far venire il mal di testa. Oltre a tutto il resto, l’Europa fa male pure alla salute…
Spero però che almeno tre cose si siano capite.
La prima è che l’Unione Europea è sempre la stessa. Incorreggibile ed irriformabile. Pure dal volenteroso Covid 19! Ogni narrazione sulla sua capacità di cambiare cozza con la dura realtà dei fatti.
La seconda è che non sarà necessario recarsi al Brennero per fermare la folle corsa di una massa di denaro gratis proveniente dal nord. Quei soldi andranno restituiti con gli interessi. Arriveranno, ma solo per legarci meglio alla gabbia eurista sorvegliata da Berlino
La terza è che invece di uscire dalla crisi, il nostro Paese si sta incamminando rapidamente verso un disastro senza precedenti. Per impedirlo bisogna mandare a casa questo governo, insieme all’attuale classe dirigente tutta. Per impedirlo occorre una nuova Italia, frutto di una dura lotta di liberazione guidata da chi ha la consapevolezza del momento. Una lotta per l’ITALEXIT. Tutto il resto è chiacchiera”
agbiuso
RecoveryMes, verrà la Troika e avrà i suoi occhi
di Gilberto Trombetta, 21.7.2020
Oggi l’Istituto Luce (la stampa dominante) esulta compatto per la grande vittoria di Conte e dell’Italia.
Vediamola dati alla mano questa grande vittoria dell’Italia.
I sussidi sono scesi dai 500 miliardi iniziali a 390. Sostituiti, ovviamente, da un considerevole aumento della quota prestiti (a cui si potrà accedere solo dopo l’uso dei sussidi, quindi non prima del 2024).
Per quanto riguarda i sussidi, all’Italia ne dovrebbero arrivare una cifra compresa tra i 68 e gli 82 miliardi. Erogati tra il 2021 e il 2024, nella “migliore” delle ipotesi.
Cioè una somma equivalente circa all’1% del nostro PIL a fronte di un crollo, solo quest’anno, di almeno il 12%.
Sussidi che non sono a fondo perduto poiché a partire dal 2026 andranno restituiti.
O con l’aumento del contributo al bilancio europeo da parte dell’Italia o con una maggiore imposizione fiscale.
L’uso di questi sussidi è legato inoltre a condizioni vincolanti almeno quanto quelle del MES. Insomma dobbiamo fare le riforme: aumento dell’età pensionabile e taglio delle stesse, taglio dei diritti dei lavoratori e dei salari, taglio e privatizzazione del SSN, taglio del restante stato sociale.
Altrimenti basterà il veto di un qualsiasi Paese per sospenderne l’erogazione.
Quindi si tratta di un Recovery MES più che di un Recovery fund.
Ci hanno portato la troika in casa insomma.
In cambio però pagheremo anche per gli sconti fiscali (rebates) di contributo al bilancio UE di cui usufruiranno altri Paesi.
Più nel dettaglio, ogni anno e almeno fino al 2027, la Germania (maggiore beneficiaria, come al solito) risparmierà 3,671 miliardi di euro, l’Olanda 1,921 miliardi, la Svezia 1,069 miliardi, l’Austria 565 milioni e la Danimarca 377 milioni.
Lasceranno però a noi la scelta su cosa tagliare e le nuove imposte da applicare per aumentare il già trentennale avanzo primario per contribuire (rimborsare) al Recovery MES, mentre per quanto riguarderà la sempre minore spesa pubblica, dovrà passare tutto per l’approvazione di Bruxelles.
Questo è quello che Conte e la stampa di regime fanno passare come una vittoria storica per il Paese.
Il completo assoggettamento a potenze straniere del Paese e la sua definitiva morte economica.
agbiuso
In Portogallo la prova definitiva che la democrazia in Europa non c’è più, sostituita dalla Troika, dai criminali della finanza:
In Portogallo conta più la Troika che gli elettori
di Carlo Clericetti
Pasquale
Senza commento
agbiuso
Grazie, caro Diego, per questo articolo molto istruttivo:
“Un debito insostenibile perde di valore prima o poi, ma la natura e la tempistica di questa svalutazione fanno un’enorme differenza in termini di prospettive economiche di un paese. Inoltre, oggi la Grecia sta vivendo una grave crisi umanitaria perché l’inevitabile ristrutturazione del suo debito è stata usata come scusa per rimandare quella stessa ristrutturazione all’infinito”
È proprio vero: “lì ha ragione il pegaso motociclista: nuova moneta, e buonanotte al secchio”. Nuova moneta per i singoli Paesi europei, poiché l’Euro è ormai la moneta della sola Germania.
diegod56
chiedo scusa, caro Alberto, ma mi permetto di segnalare la spiegazione proprio di Yanis Varoufakis, ospitata non dal «Manifesto», bensì proprio dal «sole24ore», il che indica anche come le tesi del simpatico motociclista siano assolutamente autorevoli anche presso ambienti non certo simpatizzanti per lui
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-07-30/il-circolo-vizioso-debito-greco-063651.shtml
diego
La Grecia è già fallita, di fatto tutto il problema di Tsipras è come fare dal prossimo mese a pagare pensioni e stipendi. Secondo me hanno ragione e di molto gli anarchici più radicali quando avvertono che il cosiddetto stato sociale non è che una trappola che inchioda le genti, costringe un po’ tutti a chinar la testa perchè anche quei stramaledetti 570 euro al mese con cui vive mia zia (esempio tipico) le sono indispensabili, e la rivoluzione è una roba da ricchi, da gente che non ne ha bisogno di palanche pubbliche. In questo senso ha ragione Pasquale quando, nelle pieghe della sua prosa magnificamente grondante teatrale bellezza, ci si legge che le plebi sono ubbidienti, c’è poco da fare. Ma il motivo è quello, e il simpatico senzacravatta, giovane e greco (kaloi agathoi) alla fine ha quel problema: le paghe agli statali e le pensioni, come le pago? E lì ha ragione il pegaso motociclista: nuova moneta, e buonanotte al secchio.
Pasquale
Chiaro Alberto,
Forse anch’io venero per ingenuità lo stesso totem in cui ho creduto. Ma, forse, se, come prevedibile la Grecia sarà tra qualce mese di nuovo sul baratro e sull’orlo di una rivolta oltre che della definitiva angolizzazione, allora per Tzipras ci saranno le ultimative condizioni interne per chiudere la partita con la UE, non pagare e andarsene. In definitiva è quello che avrebbe dovuto fare da subito. È certo peraltro che la descrizione di Cotta è impeccabile. Come Wile Coyote camminiamo sul baratro e non ce ne siamo ancora accorti. Grazie Alberto, tra l’altro di avermi segnalato la rivista che ho messo tra i miei segnalibro.
agbiuso
La Grèce et l’absurde
di Jacques Cotta
Da La Sociale. Analyses et débats pour le renouveau d’une pensée de l’émancipation
Pasquale
Cari tutti, Alberto caro,
mi ero preparato e avevo postato ieri una articolato contraddittorio, ricco di ogni allusione utile ma è sparito, per difetto di sistema e tant’è, vuol dire che non era il suo momento. Semplifico e riassumo. L’argomento scotta.
Io ho capito bene il discorso dei nostri e il tuo Alberto, A me interessa la lotta efficace e realistica contro l’attuale assetto dell’Europa. E in questo ritengo utili e necessari tutti i contributi rivolti a questo scopo..
Nella differenza ci intendiamo, benché ad esempio non sia così convinto che velleitario sia il non farsi tribuno della plebe; ho le prove del contrario ma nei limiti del mio settore, l’arte, che è più che velleitario, financo utopistico. È peraltro probabile che i miei punti di vista si denuncino da sé per aristocratici, so che è una mia costante e in parte un mio difetto. Il succo della mia osservazione è che non condivido conclusioni del tipo smantelliamo quest’Europa. Noi siamo, in-civilmente parlando, il Malcantone di una confederazione periclitante, ma intanto abbiamo un piccolissimo controllo e limite da fuori. Leggendo qui sotto questo bollettino odierno dell’UARR, le mie preoccupazioni mi paiono sensate. A margine dall’Euro che, a me pare, in buone mani sarebbe solo un’efficace semplificazione degli scambi, non più di uno standard come le prese usb, la domanda che mi interroga invece è se siamo così certi che fuori dalla UE ciò che adesso accade in questo Malcantone, non avverrebbe a man salva, senza nemmeno l’offa del timore di una qualche pallida sanzione dall’Aja o da Bruxelles. Secondo me, la domanda mi risponde che oltre avere soltanto un governo di banditi, fuorilegge diventerebbe lo stato tutto, noi in pratica. Mi seccherebbe essere scambiato. E offro due spaccati sensibili della piaga cui è necessario almeno un buon courettage.
“Le scuole cattoliche paghino le tasse”: l’Uaar lancia una campagna nazionale
Posted: 27 Jul 2015 08:12 AM PDT
Chi ha un’attività commerciale paghi le tasse. Non c’è nulla di ideologico in quest’affermazione: lo richiedono la logica e il buon senso e l’ha ribadito più volte l’Europa. Altre scuole private già lo fanno. Chi chiede l’esenzione sta dunque pretendendo un privilegio, necessario per coprire la propria incapacità manageriale.
È quanto sostiene l’Uaar. Che si dichiara «per nulla stupita» dall’annuncio del governo di intervenire prontamente sulla materia. Quel governo che ha già aiutato in tutti i modi le scuole cattoliche: definendo «simbolica» una retta di 7.000 euro e introducendo, poche settimane fa, nuove facilitazioni che, unite ai fondi già concessi da Stato e amministrazioni locali, portano la cifra erogata annualmente a quasi un miliardo di euro.
«E meno male che Stato, Regioni e Comuni piangono miseria», commenta Raffaele Carcano, segretario Uaar. Facendo pagare le imposte dovute alle scuole religiose, sarebbero disponibili risorse importanti per tutta la comunità. La paventata chiusura di tali scuole non deve preoccupare: lo Stato, che ha l’obbligo costituzionale di istituirle dove servono, può sfruttare la propriaeconomia di scala e può anche utilizzare i fondi dell’8×1000 statale. «Altra questione su cui il governo si sta comportando in modo inaccettabile», torna a denunciare l’Uaar.
Per questo motivo i circoli Uaar stanno cominciando a scrivere ai Comuni, affinché avviino tutte le iniziative necessarie affinché le scuole private del proprio territorio paghino le imposte dovute. E invita tutta la cittadinanza a unirsi in tale richiesta. «La Chiesa è il più grande proprietario immobiliare italiano», conclude Carcano: «non si capisce perché agevolarla, e perché farlo andando contro l’Europa e la Costituzione. Il Vaticano dice di voler essere povero, ma i fatti dimostrano che vuole essere ancor più ricco: non è disponibile a pagare nemmeno quanto già pagano gli altri».
Comunicato stampa Uaar
La clericalata della settimana, 30: il governo Renzi
Posted: 27 Jul 2015 02:16 AM PDT
Ogni settimana pubblichiamo una cartolina dedicata all’affermazione o all’atto più clericale della settimana compiuto da rappresentanti di istituzioni o di funzioni pubbliche. La redazione è cosciente che il compito di trovare la clericalata che merita il riconoscimento sarà una impresa ardua, visto l’alto numero di candidati, ma si impegna a fornire anche in questo caso un servizio all’altezza delle aspettative dei suoi lettori. Ringraziamo in anticipo chi ci segnalerà eventuali “perle”.
La clericalata della settimana è del governo Renzi che ha preannunciato tramite il sottosegretario De Vincenti che
non terrà conto della sentenza della Cassazione e interverrà nella legge di stabilità per impedire che le scuole paritarie cattoliche paghino l’Ici.
agbiuso
Caro Dario, grazie di cuore per questa intensa testimonianza di Giambattista Angioletti a proposito della vera identità europea.
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Caro Diego, le tesi del tuo amico sono davvero interessanti. Grazie per averle riportate qui.
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Caro Pasquale, poche parole di risposta alla tua attenta analisi.
In primo luogo: Badiale e Tringali si riferiscono in particolare, certo, alla situazione italiana ma non si limitano a essa. La loro tesi/proposta è che per salvare l’Europa bisogna chiudere in tutti i Paesi con la UE e on l’Euro.
Secondo: se la lotta contro l’estremismo e il terrorismo della troika dovesse essere affidata a persone come me, te e agli altri nostri amici, non avremmo nessuna speranza. La politica ha le sue regole, se non vogliamo essere velleitari. I movimenti hanno bisogno di tribuni, tutti i movimenti. A ciascuno il suo. A me interessa la lotta efficace e realistica contro l’attuale assetto dell’Europa. E in questo ritengo utili e necessari tutti i contributi rivolti a questo scopo.
Vi abbraccio.
diegod56
la questione Italia: il nostro è un paese ostacolo di sé stesso.
questa affermazione è triste ma assai divertente
Pasquale
Per quanto si possa detestarlo Schäuble si scrive Schäuble. Mi scuso per il refuso. P.
Pasquale
E, a compendio di tutto quanto detto un video edificante del 23 luglio scorso. Da guardare perché questi sono gli uomini del nord, la polizia è del nord ecc. ecc. ma da qui a pensare che ci sia un meglio diffuso, hhhhm… scusino se mi sono diffuso in pensieri rateali.
diego
Tre giorni fa in autobus un amico, che di mestiere non è un filosofo o un pericoloso antagonista ma è un funzionario di importante azienda finanziaria, mi ha spiegato che a suo avviso l’uscita dall’euro, seppur con qualche passaggio doloroso, sarebbe un beneficio per l’economia produttiva e soprattutto per il lavoro italiano. Secondo lui l’inevitabile svalutazione spalmerebbe il sacrificio su tutti i soggetti e non, come accade ora, solo sul costo del lavoro dipendente (in specie privato). In compenso renderebbe molto più competitive le esportazioni verso l’area del marco e, alla fine, anche un’inflazione più alta sarebbe ben compensata da una crescita occupazionale assai vivace. Naturalmente tutte queste sono considerazioni «interne» ad una concezione non certo socialista dell’economia, ma servono a ragionare su come l’euro finisca per essere un dogma non sostenibile sempre e ad ogni costo. Non sono un competente, ma credo sia ora di ragionare tutti, in europa, senza preconcetti. Certo non basta stampare moneta, sicuramente una buona amministrazione pubblica è necessaria, ma per lo meno sostituire i nipotini della scuola di chicago con i nipotini di keynes sarebbe comunque ragionevole, un ragionevole nuovo inizio
Pasquale
Aggiungo appena appena che il nostro è un paese superstizioso e antropologicamente arretrato. È un paese islamico che non se ne rende conto. Il confronto anche e forzato con gli altri, un po’, poco, aiuta. L’isolamento sarebbe un disastro.Credo, dico sempre credo. Non so quanti di voi, tra noi, in tempi lontani hanno provato la desolazione di tornare in Italia dopo otto giorni a Parigi. L’Italia è davvero un’espressione geografica. E dicendo espressione le si fa già una grande concessione. P.
Pasquale
A margine di quanto scrive l’ottimo Dario, tengo ad esprimere il mio dissenso dalle conclusioni di Badiale e Tringali . Per quanto il loro discorso sia al contrario condivisibile nell’analisi e nelle premesse inoppugnabili, è nel prospettare l’azione che, a mio modo di ragionare, gli difetta un efficiente esame di realtà. Capisco che i nostri prospettano una rivolta, da attuarsi non so, forse con referendum – ne strillano insieme M5S e la Lega ma tra i due il legame dov’è (?) – , referendum che in Italia verrebbe nascosto, osteggiato e alla fine disatteso dalla coalizione oligarchica, la cui fine è lontana e, nel mio pensiero, ineliminabile senza violenza. A meno che non sorga dalle ceneri un altro potentissimo gruppo mani pulite. Una violenza diversa ma efficace forse. Benché riempire le brutte galere italiane e i posti di villeggiatura con questo gruppo dominante non so che effetto clean up potrebbe avere. Perché , è qui che si spinge il mio esame di realtà, noi difettiamo persino di un’ipotesi di compagine politica alternativa, di pensiero voglio dire, pensiero, pensare che ha permesso in passato, non è così Dario?, ai politici di vincere o perdere, mettendosi in discussione anche fisicamente; leggi perciò i fatti della Guerra di Spagna,e prima ancora e indietro, leggi l’azione dei Rosselli. Tanto temuti dal duce. Per paradosso e ancora di più a margine credo che la guida politica di un movimento di liberazione (sic) potrebbe venire da gente come Alberto, Dario, persino da tipi come me, e da tante persone di bel pensare che però non stimolano gli appetiti dei tribuni come Salvini, un manzo in scatola, e Grillo e Casaleggio, una ditta di import export. ( tra parentesi: qui a Lecco ha rivinto con successo il vecchio sindaco PD che non è un aquila ma almeno si dice sia brava persona, attento molto al sociale, Lecco è piena di iniziative in questo senso, e poco ai cestini dei rifiuti. Il sindaco è un tiepido sociologo, il suo competitor di M5S funzionario di Unicredit, guarda un po’, con un sorriso da dentista della pubblicità e nessuna, dicasi nessuna idea espressa da uno slogan anche solo passabile. M5s è autoestinguente).
Tornando a sopra una tale guida politica dovrebbe di fatto assumere un ruolo protagonista ché i condottieri o sono tali sul serio o sono parodie; e i nomi che corrono sulla bocca di tutti lo sono. Una tale guida politica dovrebbe di necessità muovere masse. Cosa che sanno fare i tribuni. E qui ricasca l’asino. Mi fermo perché qui le cose si complicano e salto dunque a un abborracciata conclusione.Tempo di attuazione a parte, fattore di non poca importanza ché di mertate un avvenire migliore siamo credo un po’ tutti stuferrimi, il difetto che rilevo nel piano di Badiale e Tringali è che salta a piè pari la questione Italia: il nostro è un paese ostacolo di sé stesso. Caso più unico che raro nel quadro politico mondiale e nella storia che io ricordo. Ostacolo di sé stesso e lo si vede, lo si legge tutti i giorni. Molto banalmente credo che persistere nell’unione di fatto con i potenti della terra almeno ci garantisce di essere visti nel ridicolo orbace che persistiamo ad indossare, loro, non noi che leggiamo Alberto. Rende visibile la iattanza con cui un pretino leva gli scudi contro una sentenza che impone alla sua chiesuola di pagare le tasse. Rende visibile per contrasto le affermazioni di una minestra della Repubica che parla di riflessioni da fare. Lo dica a uno specchio, e non di legno. Intendo dire che almeno un po’ l’Europa costituisce un piccolo freno all’orgasmo di questo coito anale senza fine tra parlamentari e chiesa , tra chiesa e finanza ( ci sono diecimila alberghi e ristoranti vaticani solo a Roma, 700 milioni di fatturato annuo. Soluzione, o bruciarli o confiscarli o far pagare le tasse, si tratta solo di capire quale soluzione è la più ardua da perseguire). Non so se mi sono inteso. Questa finta unione ci permette di mangiare alla mensa dei forti i loro avanzi, ma almeno c’è la possibilità di rovesciare piatti e bicchieri, cosa che mi sarebbe piaciuto avesse fatto, de facto, Tzipras ( io mi conosco, avrei messo le mani addosso a quel Schaeuble e preso a pedate nel culo la Merkel, cose all’antica che funzionano ancora, il prepotente capisce solo il linguaggio che lo rivela, nudo e feroce, e allora giù botte Tzipras, altro che giacchette). In sintesi si va via quando si è forti o ragionevolmente forti. Dico civilmente, logisticamente, amministrativamente. LA Spagna potrebbe, il Portogallo forse, persino la Grecia, di sicuro la Francia. Non so, uso uno strumento difettoso , lo spannometro. Per l’Italia un’uscita sarebbe secondo me senza via d’uscita, di scampo, come se Calabria, Sicilia e Campania dichiarassero la loro indipendenza. Consegnarsi alla malavita, del tutto, senza nemmeno il parasole di un magistrato d’assalto e di qualche carabiniere onesto. È raggiunato? Un caro e fraterno saluto a tutti anche a Badiale e Tringali ovviamente.
P.s. Piuttosto mi viene in mente che un distacco dall’Unione potrebbe essere attuato spaccando l’Unione in due, Unione del Sud con una Costituzione politica vera e solida, basta copiarne una, non è difficile, sentire in merito Podemos e tutti i Contras che non mancano, stuzzicare la Francia a scrollarsi da dosso la Germania. La Grecia è qui accanto. Stati del Nord a tenersi il loro regolamento condominiale. Ci provarono in America. Ci dichiarerebbero guerra da Berlino? Non lo so.
Dario Generali
Caro Alberto,
ho sempre creduto, penso come te, nell’Europa, ma in quella che rappresenta la fonte della cultura e del pensiero occidentale, nei cui valori ci siamo formati e crediamo. L’Europa delle banche e dei banchieri è altro e, oltre a essere sopraffattrice, è anche volgare e banale, come lo sono le sue logiche da bottegai. Solo dei commercianti ignoranti potrebbero per esempio pensare a un’Europa senza Grecia, perché è da lì che il pensiero occidentale è nato.
Già nei primi anni del secondo dopoguerra un grande europeista come Giambattista Angioletti aveva delineato la strada da seguire per realizzare quell’unione che oggi invece si presenta nei termini disastrosi che tutti abbiamo sotto gli occhi. L’Europa che vorremmo è proprio questa, delineata ormai più di sessant’anni fa con chiarezza e intelligenza, purtroppo rimaste del tutto ignorate:
«Se l’immagine dell’Europa deve rimanere limpida, affidiamola dunque agli uomini che crearono una civiltà assimilabile in tutte le nazioni, una civiltà senza frontiere, priva di iattanza o di rancore […] Questa Europa dovrà vivere. Noi vorremmo vederla fortissima e calma come l’arte, come il pensiero di coloro che scegliamo a suoi maestri e patroni. Vorremmo che, abbandonata per sempre ogni bramosia di dominio, si proponesse al mondo come modello di saggezza, tuttavia pronta a rintuzzare ogni oltraggio, a sventare ogni disegno aggressivo, e a rifiutare il proprio aiuto a chi persegua mire insensate o sopraffattrici […] Se si vuol fare, l’Europa si farà; se gli europei si renderanno conto che la tranquillità apparente di questi anni non è affatto una garanzia per il domani, e che anzi proprio nell’assopirsi delle energie covano i più gravi pericoli; se vorranno ancora rappresentare nel mondo la loro parte di maestri, pur rinunciando a quella di dominatori, allora essi avranno quella sola parola da dire. La parola più alta, più nobile della sua storia, la parola che determinerà il suo futuro: unione», Giovambattista Angioletti, Un europeo d’Italia. Inchiesta in Occidente (Edizioni Radio Italiana), Torino, SEI, 1951, pp. 192-195.