La sperimentazione animale non è una pratica scientifica
Mente & cervello 126 – Giugno 2015
«La mente umana è un prolifico generatore di credenze sul mondo» (D. Ovadia, p. 28). La mente umana è dunque, come spesso in questo spazio si ripete, un complesso dispositivo semantico, il cervello è una potente macchina ermeneutica. La mente non è una res ma è un fieri, non è ciò che fa la struttura cerebrale ma è ciò che accade all’intero corpo che nel mondo è immerso. Si va sempre più affermando anche in ambito neurologico e medico ciò che molti filosofi (non tutti, certo) sostengono da millenni, vale a dire l’unità dell’essere vivente, non riducibile a nessuna delle sue funzioni e strutture. «Infatti i processi cognitivi non sono separati dal corpo, ma nascono solo quando percepiamo il mondo e ci muoviamo al suo interno. Questo approccio prende il nome di embodiment o embodied cognition, ossia ‘cognizione incorporata’. Questa teoria non è nuova. Da tempo filosofi e psicologi si chiedono che rapporto abbiano corpo e mente. La ricerca sulla embodied cognition propone una spiegazione nuova: nei primi anni della nostra vita facciamo esperienze concrete, per esempio impariamo che cosa significa la pulizia del corpo. È su questa base che poi sviluppiamo concetti simili ma astratti, come le idee della pulizia morale e della virtù. Questi concetti però restano legati alle proprietà fisiche» (K. Kaspar, 99). Recensendo un volume di Norman Doidge, Pierangelo Garzia conferma che «così come abbiamo fatto con il dualismo corpo-anima, dovremmo una buona volta deciderci a non vederci più neppure come corpo-cervello. Ma come un tutt’uno» (p. 104).
Queste antiche e rinnovate convinzioni confliggono in modo persino stridente con le superstizioni riduzionistiche che tendono a uniformare la complessità e la differenza della vita in paradigmi che ne smarriscono la molteplicità, la non riducibilità l’una all’altra di strutture, funzioni, modelli, specie. Un appiattimento che ai suoi sostenitori costa sempre più fatica, dubbi, performance dialettiche (assai poco scientifiche, in verità). E così, pur convinto che «i test con gli animali saranno inevitabili anche in futuro» (p. 94), Christian Wolf analizza i limiti dei modelli animali e ammette che essi sono spesso sbagliati e radicalmente insufficienti. Una delle ragioni è che i ricercatori, pur di ottenere ancora i finanziamenti necessari ai propri progetti, nascondono i fallimenti terapeutici dei farmaci testati su altre specie e applicati agli umani. Fallimenti che sono assai frequenti. «Anche uno studio del 2010 sospetta che gli studi su animali con risultati negativi siano repentinamente messi nel cassetto. […] Questi studi vengono dunque esclusi dalle rassegne panoramiche, e la terapia sarà vista sotto una luce più positiva del dovuto» (p. 95). Un’altra ragione dei fallimenti è costituita dalla semplice ma decisiva circostanza «che alcuni meccanismi cellulari dell’uomo e dell’animale sono molto differenti» (92) e che di conseguenza i topi (vittime predilette di tali pratiche) non sviluppano spontaneamente alcune malattie che negli umani sono invece frequenti e gravi. Una di esse è il morbo di Parkinson, che bisogna dunque indurre artificialmente nella struttura fisiologica dei topi. Il risultato è che «i pazienti non miglioravano con la terapia. In definitiva, i topi erano serviti solo come modello della formazione della placche amiloidi nel cervello» (95). Vale a dire che il loro sacrificio non era stato soltanto inutile ma anche sviante rispetto a dei farmaci davvero adeguati.
«Alla luce di queste argomentazioni, è plausibile che buona parte degli interventi efficaci negli animali si siano rivelati un fiasco nella realtà clinica» (92). Ma inerzie metodologiche, pregiudizi epistemologici, paradigmi errati ed enormi interessi finanziari in gioco continuano a mettere a rischio la salute umana e a causare inaudite sofferenze ad altri animali.
7 commenti
Biuso
VIVISEZIONE, L’INGANNO DEI VENDITORI DI MALATTIE
Normalmente non commentiamo studi esteri già avvenuti, cercando di mettere in evidenza l’assurdità del modello animale nelle ricerche svolte nel nostro Paese, affinché tutti sappiano come e quanti fondi vengono sperperati quotidianamente per in ricerche assurde e chiaramente inutili.
Un articolo pubblicato oggi sul sito di Focus, però, riporta una sperimentazione talmente incredibile che merita un commento, soprattutto per rispondere alle numerose prese di posizione a favore della sperimentazione animale, venduta come un sistema di ricerca insostituibile e persino fatto in maniera “etica”.
L’industria del farmaco inventa ogni giorno malattie cercando di assuefare le persone a dipendere da un composto chimico che il più delle volte è inutile o dannoso. La novità americana è la SAD, seasonal affective disorder: una forma stagionale di disturbo dell’umore che colpisce per lo più in inverno ma che non scompare durante i mesi più caldi.
Nonostante i numerosi studi effettuati su vasti campioni di persone, i ricercatori della Vanderbilt University (Tennessee) per comprendere i meccanismi di questa risposta umorale ai cambiamenti stagionali, hanno condotto dei test su varie generazioni di topi, esponendoli a cicli di luce-buio differenti, per simulare l’alternarsi dell’estate con l’inverno, e misurare i livelli di serotonina, l’ormone della felicità.
La sperimentazione ha visto poi coinvolti questi esseri senzienti sottoposti a un test che li ha esposti al livello più alto di dolore: la prova del nuoto forzato. I topo sono stati messi in una piscina dove i “ricercatori” hanno misurato per quanto tempo gli animali nuotavano per raggiungere il bordo prima di abbandonarsi a un galleggiamento passivo che precede l’annegamento.
Davanti a questa totale aberrazione mentale vengono in mente mille domande, ma la più importante è: come si fa ad autorizzare una procedura così invasiva che non simula minimamente nessuna forma di depressione umana e per di più su un’altra specie in cui artificialmente vengono persino ricreate le stagioni con un semplice buio-luce?
Le risposte sono sempre le stesse, gli interessi economici per i venditori di malattie vanno oltre ogni morale, calpestando il valore della vita di tutti, una vergogna per chi si cela dietro la parola ricercatore e millanta il progresso della scienza.
Dobbiamo urlare BASTA! NO VIVISEZIONE!
Michela Kuan
Responsabile LAV Vivisezione
Damiano A.
Sulla base di quali assunti è possibile definire quali paradigmi siano errati o giusti? Se da un lato le sue tesi sono condivisibili, dall’altro, chi sostiene la sperimentazione formula argomentazioni e produce dati statistici muovendo da paradigmi che sembrano altrettanto condivisibili. Sulla scorta di questo, sembrerebbe che i due paradigmi risultino essere incommensurabili tra loro, ed entrambi muovano da presupposti, da “Weltanschauung” altrettanto (se non maggiormente) incommensurabili tra loro. Nel grande dubbio, l’unica risposta credo possa essere rappresentata dall’intensificazione del dialogo tra due mondi: quello delle “scienze naturali” e quello delle scienze umanistiche. Dialogo che, ahimè, troppo spesso viene invece snobbato dagli appartenenti al primo mondo, o meglio, da chi applica il paradigma del primo mondo.
Felice di aver letto la sua riflessione
Pasquale D'Ascola
@diego
Noi accadiamo e basta. Già. E talvolta non è poco. Grazie. P.
agbiuso
Caro Diego, grazie non soltanto per le parole che mi rivolgi ma anche e soprattutto per la chiarezza con la quale hai assimilato i miei argomenti 🙂
Davvero non esistiamo se non nel flusso del divenire di cui siamo parte, “noi accadiamo e basta”.
diegod56
Io sono convinto che l’ «io» è solo un espediente evolutivo utile, in animali intelligenti, a organizzare e stimolare un desiderio di autoconservazione; io credo che non esistiamo, ma che siamo solo un trucco del nostro corpo per costringerci a campare. E la tua filosofia, nitida, poetica e rigorosa al contempo, così profondamente onesta, combacia con questa mia opinione. Certo, grazie al linguaggio abbiamo creazioni magnifiche (tragedia greca, scritti di Nietzsche e Schopenhauer, poesia di Leopardi, pittura di Piero della Francesca e tante altre cose meravigliose), ma i prodotti dell’umano esistono, ma non significa che «noi» esistiamo, noi accadiamo e basta.
agbiuso
“L’orrore di ingerire morti”, almeno da questo io e te- Pasquale- ci siamo liberati.
“Lascia che i morti mangino i loro morti, tu va nella luce dell’Intero”.
Pasquale D'Ascola
Sono le 22:30 e sono stanco morto dopo una giornata di bellezza suprema tra le piante di villa Carlotta. Ma non posso fare a meno di dirti che ti ho letto. Che condivido, che non ho mai capito, nemmeno da bambino quando si è più facili alle storielle, che cosa fosse il corpo e cosa e dove l’anima disgiunta da quel corpo che sono. Psiche. Che ogni volta che assumo un farmaco temo più di avere nuociuto a qualcuno che nuocere a me stesso non badando agli effetti secondari. La scelta vegetariana oltre che dall’orrore di ingerire morti viene dettata dall’orrore che l’idea di spadroneggiare sui viventi procura. Bon basta così per oggi. Un abbraccio P.