Edmund Husserl
MEDITAZIONI CARTESIANE
con l’aggiunta dei DISCORSI PARIGINI
(Cartesianische Meditationen und Pariser Vorträge [1950])
Nuova edizione italiana a cura di Filippo Costa
Presentazione di Renato Cristin
Bompiani, 1989
Pagine XVIII-179
Le Cartesianische Meditationen costituiscono una sintesi efficace e assai chiara del programma filosofico di Husserl. Soprattutto la Quinta fa da tramite fra le riflessioni logiche e gnoseologiche -oggetto delle grandi opere husserliane- e la sempre più densa attenzione nei confronti del ‘mondo della vita’. È in quest’ultima meditazione infatti che l’ego cogito mostra la propria costitutiva intersoggettività. Già nei Discorsi parigini (1929) Husserl aveva proposto il superamento della questione cartesiana dell’ego, affermando che «per tanto che io mi appercepisco come uomo naturale, debbo avere già prima appercepito il mondo dello spazio, essermi colto nello spazio in cui io ho anche un fuori-di-me!» (p. 27).
Il debito della fenomenologia verso il cartesianesimo è dunque sempre un debito critico, dal quale nascono i suoi concetti fondamentali, quelli che la rendono non una corrente tra le altre nella cultura teoretica del Novecento ma un sinonimo stesso della filosofia. L’obiettivo da Husserl costantemente perseguito è infatti fare della filosofia una «scienza universale» (I Med., p. 43) da conseguire tramite l’«unità di una fondazione razionale assoluta» (D.P., p. 3). Per realizzare tale obiettivo -che sembra in ogni caso asintotico, infinito- bisogna guardare il mondo, osservare ciò che si offre alla nostra percezione e riflessione «prima di ogni considerazione filosofica» (V, 166), La filosofia è insomma, prima di tutto, la sapienza dell’evidenza.
Dopo aver sospeso ogni giudizio -tramite l’epoché- l’evidenza che rimane fuori da ogni possibile dubbio è l’ego, non però inteso in senso astratto e neppure empirico, tanto meno solipsistico, bensì l’ego nel «flusso costante dell’essere e del vivere cogitante», per cui la sua formula completa sarà «ego cogito cogitatum» (D.P., 12), dove il ‘cogitatum’ è tutto ciò verso cui la coscienza si rivolge intenzionalmente per coglierne il senso. In tal modo l’essere delle cose è costituito dall’essere dell’ego puro: «Il piano d’essere naturale è secondario nel suo valore d’essere; esso presuppone costantemente quello trascendentale» (I, 54). Trascendentale significa che l’intero è costituito non dagli enti ma neppure dall’io -l’io parziale e psicologico dei singoli soggetti– bensì dalla relazione costante tra la coscienza e il mondo. Husserl descrive la fenomenologia come «teoria trascendentale della conoscenza» (IV, 105), «autorappresentazione mondanizzante» (V, 121), «metafisica trascendentale» (V, 160). Ed è per questo che l’io fenomenologico «deve divenire spettatore imparziale» (II, 67), garanzia di uno sguardo che è tutt’uno con il mondo. La purezza di tale sguardo è possibile soltanto tramite un «a priori innato» (D.P., 24), cioè tramite una forma del conoscere che non presuppone nulla ma contiene in sé le leggi costanti della percezione, della riflessione, dell’analisi e del giudizio. Il trascendentale è dunque una sorta di innatismo metodologico che subordina a sé ogni soggettività empirica.
All’ingenuità della «vita pratica quotidiana» (D.P., 31; cfr. anche Conclusione, p. 168) che esperisce, valuta, agisce entro un mondo già dato di cui comprende ben poco -pur illudendosi di possederne le chiavi- Husserl oppone la filosofia come attingimento della verità nella coscienza-mondo: «La via che conduce necessariamente a una conoscenza che nel senso più alto possieda il fondamento ultimo, ossia a una conoscenza filosofica, è quella della conoscenza universale di sé, prima monadica e poi intermonadica. Il motto delfico gnōti sauton ha ora un significato nuovo» (D.P., 33; Conclusione, 171-172).
Epoché; fondazione razionale assoluta; evidenza; trascendentalismo; a priori; intenzionalità; riduzione fenomenologica; intuizione eidetica; noesi e noema; interiorità e intersoggettività. Questi sono i concetti cardine delle Meditazioni che hanno offerto alla filosofia successiva il suo più speculativo e rigoroso strumento di elaborazione teoretica. La filosofia è in primo luogo non l’analisi di questo o di quell’ambito ma è una teoresi pura e universale.
La questione della ‘attualità’ della fenomenologia non si pone, proprio perché essa è viva e presente ogni volta che si tenta di pensare davvero. La sua «base ultima non è data dall’assioma ‘ego cogito’ ma dall’autoriflessione universale» (Conclusione, 171). La filosofia è quindi ciò che una parte della materia -la mente- fa quando cerca di pensare la propria condizione; quando cerca di pensare la propria struttura nella potenza degli atomi, delle molecole e delle leggi che li guidano; quando cerca di pensare lo spaziotempo con il quale e dentro il quale costruisce ogni volta il proprio mondo.
2 commenti
agbiuso
Caro Diego,
quando qui -e quasi sempre- scrivo mente è da intendere come corpomente e quindi come l’insieme delle funzioni della materia umana.
Se ho capito la tua domanda, la mia risposta è questa: il bisogno e la capacità del corpomente di pensarsi sono innati, sono costitutivi della corporeità spaziotemporale che siamo.
Sono molto differenti, invece, le forme storico-culturali nelle quali tale facoltà si è esplicata e si esplica. Qui si dispiega la bellezza e la potenza della molteplicità. Anche per questo non condivido molto le prospettive basate sul ‘superamento”. Il “substrato oracolare e mistico” è filosofia, come filosofia sono molte opere -ad esempio- del buddhismo.
La filosofia europea nasce con i pensatori greci delle origini; la filosofia universale li precede.
diego
La filosofia è quindi ciò che una parte della materia -la mente- fa quando cerca di pensare la propria condizione
vorrei porti una domanda, caro Alberto, che emerge in me di fronte a questa definizione, così densa e abbastanza esatta (anche se la mente non è materia tout court ma il processo che la coinvolge)
questo tentativo di pensarsi, nella mente umana, è incardinato da sempre e per sempre (cioè appartiene alla specie homo sapiens in quanto tale) oppure questo tentativo di pensarsi è incardinato in una civiltà, in una fase storica lunghissima ma comunque parziale dell’umana vicenda?
Colli poneva un passaggio, dal religioso al razionale, dove, dal substrato oracolare e mistico emergeva, con una svolta, la sapienza dei Greci
io domando: la filosofia non nasce con la sapienza greca?
perdonami l’approssimazione, sicuramente la tua limpida intelligenza sopperisce all’oscurità del mio quesito