The Imitation Game
di Morten Tyldum
Gran Bretagna – USA, 2014
Con: Benedict Cumberbatch (Alan Turing), Keira Knightley (Joan Clarke), Mark Strong (Stewart Menzies), Matthew Goode (Hugh Alexander), Charles Dance (Denniston), Rory Kinnear (Nock)
Trailer del film
L’esercito tedesco andava conquistando tutte le capitali europee. Londra subiva massicci attacchi aerei e non riceveva più rifornimenti a causa delle incursioni contro le sue navi. Gli inglesi erano riusciti a procurarsi un esemplare della macchina con la quale i comandi tedeschi scambiavano tra di loro informazioni criptate. Macchina chiamata Enigma, che alla mezzanotte di ogni giorno modificava i propri codici rendendo impossibile ogni tentativo di decifrazione. Alan Turing -un matematico di Cambridge non ancora trentenne- venne posto alla direzione del progetto volto alla decodificazione di Enigma. Turing progettò e realizzò un’altra macchina –Bomba– in grado di raggiungere l’obiettivo, dando in questo modo un contributo fondamentale alla vittoria degli Alleati nella II Guerra mondiale. Di questa operazione, assolutamente segreta, vennero cancellate quasi tutte le tracce. E così quando nel 1951 Alan venne inquisito per omosessualità -reato rimasto in vigore in Gran Bretagna sino al 1967- non ci fu nessuno a difenderlo, a dimostrare quanto la nazione inglese gli dovesse. Condannato al carcere o alla castrazione chimica, Turing scelse la seconda soluzione. Alla fine preferì uccidersi, mordendo una mela con dentro del cianuro (Apple?). Nel 2009 il governo inglese formulò le scuse ufficiali per questo suicidio-omicidio e nel 2013 la regina Elisabetta II elargì a Turing la grazia postuma.
The Imitation Game racconta in modo classico e inevitabilmente fantasioso questa vicenda (i documenti furono appunto in gran parte distrutti), intersecando i piani temporali che dal processo degli anni Cinquanta vanno agli anni del conflitto e a quelli del College. In verità, in che cosa sia consistito il genio di Turing non viene mai davvero spiegato. Il titolo del film allude (senza parlarne mai) al celebre Test con il quale Turing volle sostenere la possibilità per le macchine non di pensare -questione secondo lui mal posta- ma di comportarsi come se stessero pensando. Se infatti un software (come il Siri dell’iPhone) risponde alle domande di un interlocutore in un modo indistinguibile dalle risposte che darebbe una persona, secondo Turing ciò dimostra che il software ha capacità logico-sintattiche analoghe a quelle di un cervello umano. Su questa base comportamentista Turing progettò la sua altrettanto famosa Macchina, la quale costituisce la struttura di base anche del computer sul quale sto scrivendo. Si tratta infatti di una macchina digitale che può compiere qualunque calcolo mediante la logica binaria dello 0/1, dell’accesso/spento. Turing era convinto che al più tardi entro gli anni Sessanta del Novecento le macchine/software sarebbero state indistinguibili dagli umani. E tuttavia sono passati quasi ottanta anni dall’articolo che diede inizio a tutto questo –On computable numbers, with an application to the Entscheidungsproblem– (1936)- e nessun software è stato sinora in grado di superare il Test di Turing. La ragione l’hanno indicata molti filosofi -tra i quali John Searle con il suo celebre esperimento mentale denominato Chinese Room– e consiste sostanzialmente nel fatto che il pensiero è un’attività certamente anche sintattica ma soprattutto semantica e pragmatica. Pensare non vuol dire processare simboli, in forma binaria o in altro modo, ma conoscere il significato di quei simboli ed essere in grado di utilizzarli nel movimento spaziotemporale in cui l’esserci consiste. E questo nessun software/hardware conosciuto è in grado di farlo.
«Lo stesso Turing –che era stato spinto ai suoi studi anche dalla speranza che la mente del suo amico più caro e morto prematuramente esistesse ancora da qualche parte, seppure separata dai suoi atomi– riconobbe che intelligenza e mente non possono esistere senza una qualche relazione con il mondo» (La mente temporale. Corpo Mondo Artificio, p. 230). Quell’amico si chiamava Christopher Morcom e Christopher è il nome che nel film Alan dà alla sua macchina. L’enigma più grande rimane il nostro corpomente e la sua coscienza d’esistere, comprese le passioni che lo intessono.
4 commenti
diegod56
condivido il parere della signora Fausta sul film, un buon film che riesce nel suo intento cinematografico
sicuramente non approfondisce le tematiche «profonde» che scaturiscono dalle intuizioni di Turing, anche se nel dialogo centrale con il poliziotto, che fa anche da perno narrativo per i flash back, qualche spunto interessante c’è
la grande intuizione di Turing è l’idea che la macchina possa trovare delle soluzioni, una volta avviata, con una velocità che alla mente umana è preclusa, anticipando l’era del computer e le modifiche che questa ha portato alla nostra mente
se la mente è quel processo così ben individuato dal nostro filosofo preferito ne «la mente temporale», essa di allarga oltre i confini biologici, oltre il cervello, ed incorpora i supporti (ricordo una bella conferenza a Sarzana di Ferraris, dalt titolo «l’anima e l’Ipad»
l’idea dell’intelligenza disincarnata appare molto irrealizzabile anche se vi sono tutto futurologi che la prevedono, anche se io nella mia modesta riflessione, seguendo Biuso ed anche il grande Longo, ritengo impossibile un’intelligenza senza un corpo che «vive» ed è parte della mente (appunto «corpomente»)
sul problema dell’autocoscienza, molto ci sarebbe da scrivere, anche se anche di recente Rizzolatti ha dichiarato che in pratica non l’abbiamo risolto
tornando al film, direi molto opportuna la tematica del rispetto verso le inclinazioni sessuali, ancor oggi, purtroppo, attuale, sia in occidente e, ancor peggio, nel mondo islamico
scusa la prolissità Alberto carissimo
fausta squatriti
ho appena visto il film, che mi ha colpito per la sua efficacia drammatica, il personaggio del grande matematico è molto ben tratteggiata, romanzesca o veritiera che sia, e commovente. Non sapevo nulla di Turing. Anche gli altri personaggi sono molto ben tratteggiati, e il continuo scambio di scala di valori, tra i geniali matematici, compreso la spia, con più ottusi guerrieri, corrisponde allo stereotipo della stessa -militarità- che non può permettersi rischi, e così facendo, sbaglia, a confronto con la lungimiranza di Churchil, che attinge alle sue qualità di intuizione. Senza intuizione, nessuno può creare nulla.
E’ una storia cinematografica, e sapere che c’è del vero, fa neppure gli scienziati. Sapere che c’è del vero, aumenta il pathos, con il crescendo della drammatica sorte di un eroe dell’intelligenza, condannato per la sua natura. Per fortuna adesso molto è cambiato, ma c’è voluto del tempo, ovunque, per non mescolare natura e potere, il potere di dividere, giudicare, vietare.
agbiuso
Ho scritto per l’appunto che il film spiega poco. Al di là della circostanza -credo sì fantasiosa- in cui a Turing arriva l'”illuminazione”, la sua capacità è consistita nel ‘mettersi nei panni’ di una macchina digitale e nel trarre da pochi elementi decifrati la via per decodificare tutti gli altri.
Sulla questione comunque si sa poco, o almeno io so poco. Molto di più si sa sulla Macchina e sul Test di Turing perché il matematico ne scrisse con assoluta lucidità prima e dopo Enigma. Mentre il Test è secondo molti -me compreso- del tutto insufficiente per spiegare che cosa significhi pensare, la Macchina Universale di Turing ha cambiato la vita di tutti noi, poiché è a partire dalla sua struttura logica che vennero costruiti i primi calcolatori elettronici, ed è la stessa struttura sulla quale continuano a essere progettati e migliorati.
Per vedere dei computer non interamente fondati sulla UTM –Universal Turing Machine– sarà probabilmente necessario aspettare lo sviluppo delle macchine quantistiche, un settore nel quale si lavora ormai da tempo.
Adriana Bolfo
Vedendo il film, mi sono fatta l’idea che il genio di Turing sia consistito anzitutto nel ravvisare la necessità di una macchina in grado di “interfacciarsi”, diremmo ora, con un’altra macchina, cioè di dialogare con quella, dato che qualunque sforzo umano di decifrazione era continuamente vanificato non solo dalla breve durata del codice (un giorno) ma, parrebbe, dalla complessità dello stesso.
Invece non sono sicura di aver capito come tale macchina che, pur costruita, girava a vuoto, sia stata messa concretamente in grado di dialogare con quella tedesca: è bastata, dopo tentativi vani, la scoperta casuale del codice-base, non quello di un solo giorno, con cui “nutrire” la macchina inglese?
Se qualcuno che ha capito risponde, tenga conto che sono del tutto digiuna di matematica e di informatica e tenti una spiegazione “for dummies”. Grazie! 🙂