Marc Chagall
Una retrospettiva 1908-1985
Palazzo Reale – Milano
A cura di Claudia Zevi e Meret Meyer
Sino al 1 febbraio 2015
Imponente riepilogo dell’opera di questo longevo Maestro (1887-1985), la mostra milanese ne percorre la vicenda dal villaggio russo della giovinezza alle capitali del mondo -Parigi soprattutto- nelle quali Chagall ebbe la fortuna di vedere riconosciuto da vivo il proprio valore. Si può, in questo modo, osservare la costanza nella differenza. Costanza nei temi -i contadini; gli animali simbolici come la capra, il gallo, l’asino, la vacca; la coppia; i riti ebraici-, differenza nelle forme, nel percorso dentro molti stili ma sempre con una inconfondibile spazialità capovolta e dinamica. I risultati più coinvolgenti mi sembrano quelli segnati dal cubismo e da variabili geometrie. Mano a mano che si procede dentro l’opera e dentro il secolo, i colori diventano sempre più accesi, cupi, profondi; il simbolismo ebraico-cristiano sempre più pervasivo; la materia pittorica sempre più raggrumata sulla tela.
Rispetto alle assai conosciute spose volanti e rabbini preganti, tre opere spezzano un poco la monotonia simbolica. Un Bue squartato che è quello di Rembrandt ma sullo sfondo di un villaggio russo (1947), la Composizione con cerchi e capra (1920) frutto dell’iniziale slancio delle avanguardie post-rivoluzionarie, un quadro che va al di là del sogno e della felicità, cogliendo la pura forma come senso del dipingere; il Don Chisciotte del 1974, un dipinto storico e cosmico la cui struttura si ispira a El Greco e riassume la coralità che costituisce la vera cifra dell’opera di Chagall.
4 commenti
fausta squatriti
il tema della reiterazione delle idee, in arte, è un po’ il contrario del meccanismo creativo, che vorrebbe essere attivo e mutevole, in relazione alla percezione che l’artista ha nel tempo, di una sua realtà come chiave di lettura dell’esistente. ora, non è credibile che un uomo rimanga in eterno legato ad una sola visione del mondo, e della sua ricostruzione fantastica nell’opera d’arte. L ‘avanguardia è di per se stessa breve, folgorante, per dare dopo luogo alla maniera, allo stile, e si assiste alla sua diluizione nel buon senso della poetica di comodo per molte generazioni a venire. Ma fa pena e danno vedere come gli stessi protagonisti delle avanguardie, siano i primi ad usare come stracci vecchi per pulircisi la coscienza, e abbandonarsi alla replica quasi seriale di lavori che hanno perduto ogni vigore. E proprio questi sono i lavori che più riscuotono successo, sono infatti una specie di surrogato dell’avanguardia, e come tale, fanno meno paura. Questo è un fenomeno tipico del ‘900, tutto invecchia e si sciupa, e anche Chagall, perché si era partiti parlando di lui, con una lunga vita a disposizione, ha lavorato da mestierante. Va detto che lui una vera avanguardia non l’ha partecipata, ha usufruito di quello che aveva a disposizione agli inizi del secolo scorso, se ne è servito molto bene, ha ricucinato un po’ di simbolismo, di Espressionismo, pochissimo astrattismo, ci ha messo il focolare, la Bibbia, un buon pennello, ed ha cucinato il suo mondo poetico, facile, capibile da quasi tutti, dessi, dopo un secolo, capibile da tutti. Gli artisti dei secoli passati invece, non avevano questo roveto del mercato, e lavoravano per tutta la vita, i maestri, con la necessità di essere sempre dentro alla spiritualità a loro connessa, sapendo che avevano chi li capiva, i pochi che erano anche in grado, per censo, di acquistare il loro lavoro. Non dovevano piacere a tutti, anche se il loro lavoro era assai più -popolare – di quello degli artisti del ‘900, senza un pubblico che attraverso di loro, si acculturava anche senza saperlo, essendo l’arte figurativa il grande spettacolo offerto a tutti, dalle chiese e dai palazzi pubblici. .
diego
è molto interessante la critica appalesata dalla signora Fausta, perchè mi fa ricordare alcune conversazioni di amici artisti
sono due pittori abbastanza affermati, specie il più anziano dei due, ed entrambi, alla critica loro rivolta, seppur bonariamente, di una certa ripetitività. la risposta è stata: «io ci devo vivere con i quadri, non insegno storia dell’arte a scuola come altri colleghi»
preciso che non v’era alcun disprezzo per i colleghi a stipendio garantito, ma era semplicemente la logica spiegazione
ecco, la ben scritta riflessione dell’amica Fausta (che bel nome!) mi fa ragionare che esistono due strade, talvolta s’incrociano ma altre volte divergono, che percorre un artista: la ricerca, la creazione, l’arte in senso alto, da un lato, ma anche il creare più artigianale, legato alla committenza, al mercato (non uso la parola con disprezzo) di oggetti comunque non dozzinali anche se non «nuovi»
un mio amico pittore molto colto mi ha detto che questa doppia natura del «mestiere» dell’arte è normale che ci sia, ed è giusto che ci sia
certo Chagall forse era già benestante quando si ripeteva, per cui non ne aveva bisogno, ma forse il ripetersi è un modo sincero d’essere
facendo di mestiere il grafico, sono abituato a «creare» dentro un obbligo, altrimenti non mi pagano, eppure son convinto che anche la libertà, se non ne hai voglia, porti afasia
agbiuso
Cara Fausta, come si può intuire dal mio testo, condivido le tue perplessità e ti ringrazio per averle espresse con tanta competenza.
Ripetere se stessi è il rischio di ogni manierismo e mi sembra che Chagall non lo abbia evitato. Senza arrivare ai modi di Picasso -che non è uno ma è tanti pittori insieme- è comunque sempre possibile cercare e percorrere nuove strade, anche se allontanarsi da quelle che hanno condotto al successo non è facile per nessuno.
fausta squatriti
a me Chagall non piace, non mi piace la sterminata opera che replica la sua invenzione, quel misto di simbolismo alla Redon, con la più fresca e leggera – poeticità- di certe figurazioni, un po’ di passaggio obbligato dai coevi russi, dal folclore, dalle storie ebraiche. Di sicuro, fare volare gli asini, o le donne amate, è facilmente ascrivibile ai pensieri poetici. Bellissimi sono i lavori in cui la spinta di personale innovazione, riveste carica d’urgenza, e si percepisce la bellezza di un pensiero fantastico e febbricitante, necessario. L’avanguardia, anche quella personale, dura poco, è una fiammata che lascia cenere, e se la si vuole perpetrare, si fa accademia. La frescehzza dei mezzi pittorici, nei tantissimi lavori della maturità dell’artista, si fa grezza, materica, affrettata, è una, a mio avviso, stanca replica. Poi esiste il valore della comunicazione che l’artista fa con il suo pubblico, e di fronte a questo, anche un lavoro meno teso, meno necessario, riscatta quanto a me pare un disvalore, vale a dire la stanchezza, la serialità.